Intervista concessa a Zenit, Roma (31-III-2010)
“La Messa, una questione d’amore”, intervista raccolta da Jesús Colina.
— Che cosa raccomanderebbe ai cattolici che dicono di “annoiarsi” a Messa?
Raccomanderei loro di
partecipare con sincerità alla Messa, cercando e amando Gesù. Scrisse San Josemaría in Cammino: “La Messa è lunga, dici, e io aggiungo: perché il tuo amore è corto”.
Non bisogna dare troppa importanza al sentimento: entusiasmo o apatia, voglia o mancanza di voglia. La Messa è sacrificio: Cristo si dona per noi. È un’azione di Dio, e non ne possiamo cogliere pienamente la grandezza per la nostra condizione limitata di creature, ma dobbiamo sforzarci non solo di stare a Messa, ma anche di vivere la Messa in unione con Cristo e con la Chiesa.
— Quando ha scoperto il mistero che nasconde e rivela l’Eucaristia?
Grazie a Dio, cerco di riscoprirlo tutti i giorni: nella liturgia della Parola — che aiuta a mantenere la conversazione con Dio durante la giornata — e nella liturgia eucaristica. Dovremmo sempre stupirci di fronte a questa realtà che ci supera, ma a cui il Signore ci permette di partecipare, o meglio, a cui ci invita a partecipare.
Nella Messa si realizza non solo una comunicazione discendente del dono redentore di Dio, ma anche una azione ascendente, offerta dell’uomo a Dio: il suo lavoro e le sue sofferenze, le sue pene e le sue gioie, tutto questo unito a Cristo: per Lui, con Lui e in Lui. Devo riconoscere che vedere come San Josemaría celebrava il Santo Sacrificio, contemplare com’era la sua devozione eucaristica quotidiana, mi ha colpito molto.
Scuote profondamente la considerazione per cui nella presentazione delle offerte il sacerdote chiede a Dio di accogliere il pane e il vino, che sono “frutto della terra (o della vite) e del lavoro dell’uomo”. L’uomo può offrire il suo lavoro a Dio in qualsiasi circostanza, ma nella Messa questa offerta raggiunge senso e valore pieno, perché Cristo la unisce al suo sacrificio, che offre al Padre per la salvezza degli uomini.
Quando la Messa è il centro e la causa della giornata del cristiano, quando tutto il suo essere è orientato al sacrificio eucaristico, si può affermare che tutta la sua giornata è una Messa e che il suo luogo di lavoro è un altare, dove si dona pienamente a Dio come suo amato figlio.
— Nel suo pontificato, Benedetto XVI sta promuovendo una riscoperta dell’immensità di questo Sacramento. Qual è l’aspetto delle parole o dei gesti del Papa sull’Eucaristia che ha richiamato maggiormente la sua attenzione?
In questo momento, mi sembra particolarmente importante la sua insistenza sul fatto che la liturgia è azione di Dio, e come tale viene ricevuta nella continuità della Chiesa.
Il Papa ha scritto che la miglior catechesi sull’Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata. Il primo dovere di pietà del sacerdote che celebra la Messa o del fedele che vi partecipa deve essere quindi l’osservanza attenta, devota, delle prescrizioni liturgiche: l’obbedienza della pietas.
D’altro canto, il Pontefice insiste anche sul fatto che l’Eucaristia è il cuore della Chiesa: Dio presente sull’altare, il Dio vicino, edifica la Chiesa, riunisce i fedeli e li invia a tutti gli uomini.
— Qualcosa di più personale: in base ai suoi ricordi, che cos’era per San Josemaría l’Eucaristia? Quale ruolo aveva nella sua giornata?
Ho aiutato San Josemaría nella Messa molte volte. In quelle occasioni mi chiedeva di pregare perché non si abituasse a compiere quell’azione così sublime, così sacra. Ho potuto verificare, infatti, una cosa che ha detto una volta: che sperimentava la Messa come un lavoro, uno sforzo a volte estenuante, tanta era l’intensità con cui la viveva.
Durante la giornata ricordava i testi che aveva letto, in particolare il Vangelo, e molte volte li commentava, con naturalezza, come un alimento della sua vita spirituale e umana.
Era consapevole del fatto che nella Messa il protagonista è Gesù Cristo, non il ministro, e che il compimento fedele delle prescrizioni permette al sacerdote di “scomparire”, perché brilli solo Gesù. Molte persone che assistettero alle sue Messe — anche nelle difficili circostanze della guerra civile spagnola — commentarono in seguito che il suo modo di celebrarle possedeva qualcosa che le aveva convinte del fatto che ciò che toccava quanti partecipavano — quanti partecipavamo — alla sua Messa era proprio questo: che lasciava che apparisse Cristo, e non la sua persona.
Romana, n. 50, Gennaio-Giugno 2010, p. 113-114.