Torreciudad 10-IX-2006. Nell’ordinazione sacerdotale di fedeli della Prelatura, Santuario di Torreciudad, Spagna
Carissimi figli miei che state per ricevere l’ordinazione sacerdotale,
Carissimi fratelli e sorelle,
1. Le parole del Salmo 23 proclamano una verità che riempie di consolazione noi cri-stiani: «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce e mi rinfranca»[1]. Qualunque sia il posto in cui ci tro-viamo, non ci verranno mai a mancare la vicinanza, la protezione e le attenzioni di Dio no-stro Padre. Lo aveva promesso Egli stesso per bocca dei profeti dell’Antico Testamento. Ge-remia, di fronte al triste spettacolo dei cattivi pastori che fuorviavano il popolo d’Israele, an-nuncia da parte del Signore: «Vi darò pastori secondo il mio cuore, che vi pasceranno con scienza e dottrina»[2]. E dall’esilio nel quale si trovava il popolo d’Israele, Ezechiele avverte che arriverà il momento di ritornare alla casa paterna: «Questo dice il Signore Dio: Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine [...]. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio»[3].
Queste promesse divine si sono compiute pienamente in Gesù Cristo, il Figlio di Dio in-carnato, che si presenta come il Pastore annunciato dalle antiche Scritture. «Io sono il buon pastore»[4] — dice —, inviato da Dio Padre per salvare tutti gli uomini. Come ricorda san Paolo, ci ha redento al prezzo del suo sangue[5]. Quale sicura speranza ci anima l’avere un Buon Pastore come quello datoci da Dio nostro Padre! Fiduciosi nella sua amore-vole assistenza, ognuno di noi può far proprio il versetto del Salmo: «Mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me»[6]. Gustiamolo anche nelle parole del Fondatore dell’Opus Dei: «Dio mio, com’è facile perseverare, sapendo che Tu sei il Buon Pastore, e noi — tu e io... — pecore del tuo gregge!»[7].
2. Gesù è anche la Porta d’ingresso dell’ovile; solo attraverso di Lui possiamo accedere al Padre celeste. «Nessuno va al Padre se non per mezzo di me»[8], precisa. E Cristo lo troviamo nella Chiesa, suo Corpo Mistico.
Nella sua infinita bontà, prima di salire in Cielo, il Maestro scelse alcuni uomini, gli Apostoli, affinché — come suoi vicari sulla terra — pascessero in suo nome e con la sua autorità le pecore da Lui redente con il suo sangue. Perciò la vigilia della sua Passione, nell’ultima Cena, con le parole «Fate questo in memoria di me»[9] istituì, insieme con il sacra-mento dell’Eucaristia, l’Ordine Sacro. Conferì agli Apostoli la potestà sacerdotale, affinché essi a loro volta la trasferissero ad altri, mediante l’imposizione delle mani, nel corso dei secoli.
Questa potestà sacra che gli Apostoli ricevettero perdura nei Vescovi e, in grado subor-dinato, nei presbiteri, che partecipano «dell’autorità con cui Cristo stesso edifica, santifica e governa il suo Corpo»[10]. Essi fanno le veci del Cristo Pastore in mezzo al suo po-polo, rappresentandolo visibilmente. E oggi abbiamo la gioia di assistere ancora una volta, nella storia millenaria della Chiesa, alla trasmissione di questi sacri poteri.
Ora mi rivolgo a voi, ordinandi: figli miei, che nella vostra mente rimanga sempre acce-sa la luce di questa nuova chiamata. Sarete intermediari visibili del Sommo ed Eterno Sacer-dote che guida tutti noi dal Cielo. Specchiatevi in un così divino Modello. Imparate gli inse-gnamenti che Egli ci dà. Prima di tutto, la ferma decisione — seguendo i passi di Cristo — di spendere la vostra vita per le pecore: quelle che vi saranno affidate momento per momento nel vostro iter terreno e l’umanità intera, perché il ministero sacerdotale, benché debba eser-citarsi soprattutto nell’ambito del pusillus grex affidato a ciascuno[11], in re-altà non si limita a quel piccolo gregge, ma ha sempre una proiezione universale.
Il Signore sottolinea che il buon pastore entra «per la porta», mentre «chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigan-te»[12]. Pochi mesi fa Benedetto XVI spiegava così questo passo: «Questa parola “sale” evoca l’immagine di qualcuno che si arrampica sul recinto per giungere, scavalcando, là dove legittimamente non potrebbe arrivare. “Salire”: si può qui vedere anche l’immagine dell’arrivismo, del tentativo di arrivare “in alto”, di procurarsi una posizione mediante la Chiesa: servirsi, non servire. È l’immagine dell’uomo che, attraverso il sacerdozio, vuol farsi importante, diventare un personaggio; l’immagine di colui che ha di mira la propria esalta-zione e non l’umile servizio di Gesù Cristo»[13].
San Josemaría, fin da quando intravide le prime luci divine che lo conducevano al sa-cerdozio, capì che il Signore lo avviava verso una abnegata e gioiosa donazione a Dio e alle anime. Mai gli venne in mente — anzi, lo faceva inorridire — la possibilità di considerare il sacerdozio una carriera, una conquista. Sapeva bene — lo aveva imparato dallo stesso Gesù — che si tratta di un servizio agli altri, esigente e generoso, senza che mai si possa dire "basta".
Voi, figli miei diaconi, siete entrati dalla porta. Avete risposto all’invito del vostro legit-timo Pastore, dopo anni di intensa formazione, e vi ordinate per servire le anime mediante la predicazione della Parola di Dio, l’amministrazione dei sacramenti, specialmente la Confes-sione e l’Eucaristia, e la direzione spirituale. Siete spinti solo dal desiderio di dedicare tutte le vostre attenzioni a Dio e alle anime. Da ora in poi è questo, se così si può dire, il vostro nuovo lavoro professionale, che a voi richiede una dedizione completa. Lo ribadisco con pa-role di San Josemaría: «Dovranno, infatti, studiare incessantemente la scienza di Dio, orien-tare spiritualmente tante anime, ascoltare molte confessioni, predicare instancabilmente e pregare tanto, tanto, avendo il cuore sempre là, nel Tabernacolo, ove è realmente presente Colui che ci ha scelti per essere suoi in una dedizione meravigliosa e piena di gioia, pur nelle prove da cui nessuna creatura è immune»[14].
3. Benedetto XVI, nell’omelia alla quale mi sono or ora riferito, fa osservare che sull’autentico pastore il Signore ci insegna tre cose: «Egli dà la propria vita per le pecore; le conosce ed esse lo conoscono; sta a servizio dell’unità»[15].
Dare la vita per le pecore è un programma per tutti i giorni, nei mille risvolti del lavoro sacerdotale, senza aspettare l’occasione di compiere un atto eroico, straordinario. Questa di-sposizione vale anche per gli altri fedeli che, in virtù dell’anima sacerdotale e del sacerdozio comune ricevuto nel Battesimo, devono impegnarsi in un amabile servizio agli altri. Quante occasioni si presentano a tutti noi ogni giorno, nell’ambito familiare, nel lavoro professiona-le, nei momenti di riposo, nelle relazioni sociali...! Esaminiamo le nostre giornate e verifichiamo con sincerità se in ogni momento ci adoperiamo senza riserve — questo significa dare la vita — per le persone che trattiamo.
Il buon pastore conosce le sue pecore, le chiama per nome, e le pecore vanno da lui fiduciose. Dobbiamo essere affettuosi, dobbiamo impegnare il cuore quando trattiamo le altre persone, sempre alla luce della fede. San Josemaría affermava che con le anime dobbiamo agire «sempre con il cuore, ma non solo con il cuore». Così andava alla ricerca dei due ne-mici che potrebbero paralizzare l’azione apostolica del sacerdote e del cristiano: la freddezza di chi, non impegnando il cuore, non riesce ad attrarre nessuno verso il Signore; e il senti-mentalismo di chi permette che il cuore segua gli impulsi sentimentali, senza assoggettarsi alla ragione illuminata dalla fede.
«Il pastore non può accontentarsi di sapere i nomi e le date — continuava il Santo Padre —. Il suo conoscere le pecore deve essere sempre anche un conoscere con il cuore. Questo pe-rò è realizzabile in fondo soltanto se il Signore ha aperto il nostro cuore [...]. Deve essere un conoscere col cuore di Gesù e orientato verso di Lui, un conoscere che non lega l’uomo a me, ma lo guida verso Gesù»[16].
Infine, il buon pastore è sempre al servizio dell’unità, come Gesù stesso afferma alla fi-ne di questo passo evangelico: «E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pasto-re»[17]. L’unità deve costituire per tutti — laici e sacerdoti — una nobile passione da accrescere in continuazione. Se amiamo l’unità della Chiesa, pregheremo ogni giorno per il Santo Padre e per i Vescovi in comunione con il Papa; se desideriamo che si realizzi quanto prima l’unione dei cristiani sotto un solo Pastore Supremo, chiederemo con insistenza allo Spirito Santo di guidare l’azione ecumenica della Chiesa. Se, come fedeli della Prelatura dell’Opus Dei, desideriamo conservare l’unità di questa piccola porzione della Chiesa, cer-cheremo di vivere con «un solo cuore e un’anima sola»[18], come i primi cristiani, ben sapendo così di servire nel modo migliore la Chiesa, il Romano Pontefice e tutte le anime.
Non dimentichiamo, tuttavia, che «l’unità si paga con la Croce»[19]. Le braccia aperte del Crocifisso ci dicono in modo eloquente che il Signore morì «per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi»[20]. Perciò lavorare per l’unità comporta farsi in-chiodare gioiosamente con Cristo sul Legno santo, aprendo con Lui le braccia e il cuore a tutte le creature. Ogni cristiano è chiamato a rendere presente questo amore redentore nel proprio ambiente; lì deve piantare l’albero della Croce con la sua vita intera, spendendosi con gioia per la salvezza delle anime.
Mi congratulo di tutto cuore con i genitori, i fratelli, i parenti e gli amici dei nuovi sa-cerdoti. A tutti ricordo che abbiamo il dovere di pregare per il Papa, per i Vescovi, per l’Ordinario di questa amatissima Diocesi di Barbastro, per i presbiteri del mondo intero, af-finché rimaniamo fedeli alla vocazione che abbiamo ricevuto. Inoltre chiediamo a Dio nostro Padre di mandare alla sua Chiesa molte vocazioni di sacerdoti santi, allegri e generosi, capa-ci di donarsi pienamente alle anime.
Lo supplichiamo ricorrendo all’intercessione della Vergine Santissima, Madre specialis-sima dei sacerdoti, che in questo santuario di Torreciudad e sotto l’invocazione di Nostra Si-gnora degli Angeli dimostra di essere sempre disposta ad ascoltare le nostre preghiere. Così sia.
[1] Sal 23 (22),1-3.
[2] Ger 3,15.
[3] Ez 34,11-15.
[4] Gv 10,11.
[5] Cfr. 1 Cor 7,23.
[6] Sal 23 (22),3-4.
[7] SAN JOSEMARÍA, Forgia, n. 319.
[8] Gv 14,6.
[9] Lc 22,19.
[10] CONCILIO VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 2.
[11] Cfr. Lc 12,32.
[12] Gv 10,1.
[13] BENEDETTO XVI, Omelia in una ordinazione sacerdotale, 7-V-2006.
[14] SAN JOSEMARÍA, Sacerdote per l’eternità, 13-IV-1973.
[15] BENEDETTO XVI, Omelia in una ordinazione sacerdotale, 7-V-2006.
[16] Ibidem.
[17] Gv 10,16.
[18] At 4,32.
[19] BENEDETTO XVI, Omelia in una ordinazione sacerdotale, 7-V-2006
[20] Gv 11,52.
Romana, n. 43, Luglio-Dicembre 2006, p. 199-202.