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Roma 20-III-2004 . All’apertura della Causa di Canonizzazione di Mons. Álvaro del Portillo nel Tribunale della Prelatura, Pontificia Università della Santa Croce

Permettetemi di cominciare con un ricordo personale del carissimo don Álvaro. Era il 17 marzo 1994, appena una settimana prima del suo improvviso e piissimo transito. Da Gerusalemme, una delle tappe del viaggio di preghiera che stava compiendo nei Santi Luoghi, il mio predecessore mandò alcune cartoline a diverse persone per le quali aveva pregato con particolare intensità ed affetto in quei giorni. Una delle cartoline era indirizzata a Mons. Stanislaw Dziwisz, Segretario personale del Santo Padre.

Oggi, la lettura di quel breve testo, manoscritto da don Álvaro, acquista un rilievo particolare alla luce di ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco: Carissimo amico: da questi santi luoghi ho pregato — abbiamo pregato — tanto per Lei, vir fidelis, e con la supplica di voler presentare al Santo Padre il nostro desiderio di essere fideles usque ad mortem, nel servizio alla Santa Chiesa ed al Santo Padre. Si può dire che il Signore lo abbia preso in parola — usque ad mortem —: poche ore dopo essere rientrato a Roma, infatti, questo servo buono e fedele — così lo definì Giovanni Paolo II — venne chiamato al cospetto di Dio.

Quest’episodio — che cito con l’esplicita autorizzazione del destinatario di quella cartolina — mi sembra molto adatto ad inquadrare la cerimonia per la quale siamo convenuti qui oggi e che ha per protagonista un Pastore che, fino alla fine, ci ha lasciato una testimonianza, appunto, di fedeltà.

Avevo già da qualche tempo avviato le procedure previste dalla legislazione canonica vigente, quando vide la luce l’Esortazione apostolica Pastores gregis, che faceva seguito alla X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo, dedicata alla riflessione sulla figura ed il ruolo del Vescovo. In questo documento il Santo Padre richiama la perenne attualità del programma proposto dal capitolo quinto della Lumen gentium con la proclamazione della vocazione universale alla santità. In questo contesto, il Papa si sofferma ancora una volta su quella “pedagogia della santità” già in precedenza indicata quale priorità pastorale per il nuovo millennio (cfr. Lettera ap. Novo millennio ineunte, nn. 29-41).

Di questa pedagogia Giovanni Paolo II sottolinea, fra l’altro, un’applicazione assai precisa: «Per fare emergere la testimonianza della santità, esorto i miei fratelli Vescovi a volere cogliere e a mettere in luce i segni della santità e delle virtù eroiche, che ancora oggi si manifestano» (Es. ap. Pastores gregis, n. 41). Quindi, precisa così la funzione di tali iniziative nel ministero pastorale dei Vescovi: «Ciò potrà essere per tutti un segno di speranza e, per il cammino del popolo di Dio, un motivo d’incoraggiamento nella sua testimonianza, di fronte al mondo, della permanente presenza della grazia nel tessuto delle umane vicende» (ibid.).

In un altro punto del documento, osservando come la Chiesa abbia avuto Vescovi davvero santi, «che hanno lasciato nel popolo speciale eredità di ammirazione e di affetto», aggiunge: «Sono essi le spirituali sentinelle che guidano dal cielo il cammino della Chiesa pellegrina nel tempo» (n. 25) e ricorda come, allo scopo di conservare sempre viva la memoria della fedeltà dei Vescovi eminenti nell’esercizio del loro ministero, l’Assemblea sinodale abbia raccomandato di farne conoscere ai fedeli la figura e, se è il caso, di esaminare l’opportunità di introdurre le loro cause di canonizzazione (cfr. ibid.).

La lettura dei testi appena citati mi confermò che il percorso intrapreso con l’avvio della Causa di canonizzazione del mio predecessore era pienamente rispondente ai programmi pastorali raccomandati dal Papa. Sì, tutte le testimonianze che ci sono pervenute, nei 10 anni ormai trascorsi dalla sua scomparsa, mostrano che Mons. Álvaro del Portillo ha veramente lasciato dietro di sé «una speciale eredità di ammirazione e di affetto».

Questa realtà cominciò ad apparire evidente subito dopo la sua scomparsa, avvenuta il 23 marzo 1994. Da quel giorno si ebbero segni eloquenti di una estesa fama di santità, che crebbe poi progressivamente. Fra l’altro, ben presto cominciarono a pervenirmi narrazioni firmate di favori spirituali e materiali attribuiti alla sua intercessione: essi oggi ammontano a diverse migliaia. Inoltre, mi arrivarono numerose testimonianze scritte che confermavano la diffusione di una solida fama di santità già in vita di Mons. del Portillo ed auspicavano il sollecito inizio della sua Causa di canonizzazione. Fra queste, circa 200 lettere di Vescovi (fra cui 35 Cardinali) di 25 Paesi.

Prendendo atto di tutto questo, in applicazione del dettato della Cost. ap. Divinus perfectionis Magister, I, n. 1, cominciai ex officio l’inchiesta sulla vita e le virtù di S.E. Mons. Álvaro del Portillo. Ben presto ebbi modo di constatare la consistenza degli elementi che via via emergevano dalle ricerche compiute dal Postulatore in conformità con la legislazione ecclesiastica (cfr. Normae servandae in inquisitionibus ad Episcopis faciendis in Causis Sanctorum, nn, 10-14). La fama di santità del primo Prelato dell’Opus Dei era accertata da una serie molto ampia di solide prove documentali.

Allo scadere dei cinque anni dalla morte del Servo di Dio, nominai due Censori teologi (cfr. Normae, n. 13), i cui voti sugli scritti editi di Mons. del Portillo evidenziarono la piena corrispondenza del loro contenuto con la dottrina della Chiesa e la ricchezza della personalità spirituale del loro autore. Inoltre, le ricerche d’archivio eseguite (cfr. Normae, n. 14) ci hanno prospettato, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’esemplarità cristiana della vicenda biografica di Mons. del Portillo.

Queste ricerche, fra l’altro, insieme alle risultanze dell’editto che emanai il 6 dicembre 2002 e rivolsi ai fedeli della Prelatura della S. Croce e Opus Dei (cfr. Normae, n. 11 b), permisero di appurare la completa inesistenza di ostacoli di qualunque genere contro la Causa (cfr. ibid., n. 12).

Così, agli inizi del 2003, inoltrai a Sua Eminenza il Cardinale Camillo Ruini, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, copia dei documenti che avevano motivato la mia decisione di introdurre detta Causa di canonizzazione, con la proposta di designare un Tribunale del Vicariato per l’esame di alcuni testi residenti a Roma: fra questi, io stesso, alcuni esponenti della Curia romana ed altri membri dei Consigli generali della Prelatura che per anni hanno collaborato da vicino con Mons. del Portillo. Altri testi, residenti qui o altrove, sarebbero stati interrogati dal Tribunale della Prelatura o da altri Tribunali: mi riservavo, infatti, di chiedere ai Vescovi competenti l’istruzione di Processi rogatoriali.

Il Card. Ruini accettò tale proposta e, come previsto dalla legge (cfr. Normae, n. 11 a), sottopose l’opportunità della Causa alla Conferenza Episcopale del Lazio, ricevendone il parere positivo il 10 giugno 2003; quindi (cfr. Normae, n. 11 b), in data 4 luglio 2003, a sua volta pubblicò un editto che invitava i fedeli della diocesi di Roma ad inviargli notizie riguardanti la Causa e scritti inediti di cui fossero eventualmente in possesso.

Il 21 novembre 2003 la Congregazione delle Cause dei Santi autorizzò che l’istruzione dell’inchiesta diocesana venisse eseguita aequaliter, cioè con lo stesso grado di competenza, dal Tribunale del Vicariato di Roma e da quello della Prelatura. Infine, il 21 gennaio 2004 mi comunicò formalmente che nemmeno da parte della Santa Sede esistevano ostacoli alla Causa del Servo di Dio Álvaro del Portillo.

In conseguenza di ciò, il Tribunale del Vicariato ha aperto i propri lavori il 5 marzo scorso e quello da me designato lo farà fra pochi istanti. Prima di procedere ai giuramenti di rito, desidero aggiungere alcune brevi considerazioni.

Anzitutto vorrei precisare che se, per aprire l’indagine canonica, abbiamo lasciato trascorrere 10 anni dalla morte del Servo di Dio, invece dei 5 previsti come termine minimo dalla normativa in vigore, non lo abbiamo fatto certo per trascuratezza, bensì perché — fino a poco più di un anno fa — siamo stati occupati dalla preparazione della canonizzazione di San Josemaría Escrivá: un lavoro, questo, che ha assorbito tutte le energie disponibili. Che gioia avrebbe provato don Álvaro ad ascoltare come lo stesso Santo Padre ed il Card. Ratzinger, nei discorsi del 21 dicembre 2002 alla Curia romana per gli auguri natalizi, l’abbiano citata fra gli eventi da ricordare in quell’anno di pontificato!

Mi sembra inoltre opportuno chiarire le motivazioni che mi hanno indotto a chiedere al Cardinale Vicario di Roma di designare un Tribunale del Vicariato. I Tribunali inquirenti hanno solo funzione istruttoria, cioè di semplice raccolta delle prove; in secondo luogo, interviene la Congregazione delle Cause dei Santi che, attraverso le sue diverse istanze, anzitutto valuta la regolarità dell’indagine e la completezza dell’apparato probatorio, ordinando — nel caso — i necessari supplementi di indagine; e quindi — ecco il punto essenziale — è la stessa Congregazione ad esprimere il giudizio di merito; e la decisione definitiva è di esclusiva competenza del Santo Padre. Pur essendo tutto ciò perfettamente noto, ho tuttavia preferito che fosse un Tribunale estraneo alla Prelatura — ed universalmente stimato per il suo rigore — ad interrogare personalità della Curia romana, me stesso e altri membri dei Consigli generali della Prelatura.

Con l’osservanza più scrupolosa delle procedure fissate dal legislatore, assunte sempre nell’interpretazione più rigorosa, desidero si svolgano anche i lavori del Tribunale che inizia oggi la propria indagine.

Consentitemi un altro ricordo personale, che non vuole di certo, neppure indirettamente, anticipare il futuro giudizio della Chiesa sulle virtù di Mons. del Portillo né condizionare il lavoro di chi è stato chiamato a svolgere un ruolo nell’inchiesta canonica. Don Álvaro è stato per me un esempio continuo di fedeltà allo spirito di San Josemaría. In vita del Fondatore, vennero aperte due Cause di canonizzazione di fedeli dell’Opus Dei: Isidoro Zorzano e Montse Grases. Quando la conversazione cadeva su quest’argomento, San Josemaría non mancava mai di rammentarci che la santità consiste nel compimento fedele, per amore, dei doveri quotidiani. Lo spirito dell’Opera — diceva — ci porta a cercare di santificarci nel nascondimento, senza dare spettacolo, facendo il lavoro di tremila persone ed il rumore di tre.

Quando si cominciò a lavorare alla preparazione della futura Causa di canonizzazione di San Josemaría, don Álvaro, fedele a quest’insegnamento, non perdeva occasione per farci osservare che tale decisione non mirava a procurare la gloria umana dell’Opus Dei, bensì il bene della Chiesa, l’edificazione delle anime. Questo era il traguardo da tener sempre presente. Egli era certo che la Causa avrebbe contribuito ad ampliare fra i cristiani la diffusione della conoscenza del Fondatore, delle sue opere di spiritualità e del suo messaggio di santificazione nel lavoro. E molti sarebbero stati i frutti di conversione, di ritorno ad una pratica coerente della fede, vocazioni di ogni genere... In effetti, la storia della Causa si può riassumere proprio in una serie ininterrotta di eventi di grazia come questi. Questo è il motivo principale per cui la Chiesa procede ad elevare agli altari tanti suoi figli esemplari: il bene delle anime.

Ebbene, io confido che anche la Causa di canonizzazione di Mons. Álvaro del Portillo apporterà benefici altrettanto tangibili al popolo cristiano. Sono certo che, attraverso la sua figura, molti scopriranno il volto paterno di Dio, che sorride, incoraggia, perdona.

Al termine del suo discorso durante la cerimonia di apertura della parte dell’inchiesta diocesana che verrà svolta dal Tribunale del Vicariato, il Card. Ruini ha voluto invocare la protezione di San Josemaría sui lavori del Tribunale. Di cuore voglio affidare anch’io il lavoro di questo Tribunale all’intercessione di colui del quale Mons. del Portillo fu un figlio fedelissimo.

Romana, n. 38, Gennaio-Giugno 2004, p. 48-51.

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