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Il cammino della conversione

L’ultimo anno di preparazione al Giubileo vede la Chiesa procedere nell’alveo dell’amicizia filiale con la prima Persona della Trinità. È giunto il momento di riscoprire che Dio è un Padre «ricco di misericordia»[1]. Ed è pure una buona occasione per approfondire il rapporto fra la misericordia divina e la conversione personale.

Occorre iniziare dalla considerazione dell’iniziativa d’amore di Dio: l’uomo si converte perché Dio è misericordioso. «La conversione a Dio —ha scritto il Papa— consiste sempre nello scoprire la sua misericordia, cioè quell’amore che è paziente e benigno (cfr 1 Cor 13, 4), a misura del Creatore e Padre: l’amore a cui Dio (...) è fedele fino alle estreme conseguenze nella storia dell’alleanza con l’uomo: fino alla croce, alla morte e risurrezione del Figlio»[2]. Dio è fedele al suo amore. Per questo il cammino della conversione comincia con l’accettazione riconoscente del dono divino della misericordia. «Sia tu benedetto, Signore, Padre che sei nei cieli, perché nella tua infinita misericordia ti sei chinato sulla miseria dell’uomo e ci hai dato Gesù, Figlio tuo, nato da donna, nostro salvatore e amico, fratello e redentore»[3].

L’azione di Dio, pertanto, precede e accompagna quella dell’uomo. Prima ancora che divenga realtà nell’anima del cristiano, la conversione è preparata dall’intervento della Santissima Trinità: del Padre che invia il Figlio; del Figlio che rivela il Padre; dello Spirito Santo che «apre le porte dei cuori»[4]. Nel suo senso più profondo, «la conversione è dono di Dio, opera della Trinità»[5]. Per questo motivo il cristiano, se davvero vuole disporsi alla conversione, deve riuscire a stare molto vicino alla Santissima Trinità: al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. I sacramenti, la preghiera e le opere trasformate in orazione, un’amicizia costante nella Parola e nel Pane[6]: è questo il cammino della conversione. Come insegna Giovanni Paolo II nella sua enciclica sulla misericordia divina, «l’autentica conoscenza del Dio della misericordia, dell’amore benigno, è una costante e inesauribile fonte di conversione, non soltanto come momentaneo atto interiore, ma anche come stabile disposizione, come stato d’animo. Coloro che in tal modo arrivano a conoscere Dio, che in tal modo lo “vedono”, non possono vivere altrimenti che convertendosi continuamente a lui. Vivono dunque in statu conversionis; ed è questo stato che traccia la più profonda componente del pellegrinaggio di ogni uomo sulla terra in statu viatoris»[7].

La conversione del cuore non è, da parte dell’uomo, un semplice desiderio di amare Dio, formulato in un dato momento. Neppure è un assenso teorico alla grazia. Bisogna invece rinnovare attivamente il proposito della prima conversione: acquisire l’abito di convertirsi al Signore molte volte, di orientare a Lui tutte le azioni, raddrizzandole quando la direzione è sbagliata. La vita cristiana è un continuo cominciare e ricominciare, un rinnovarsi ogni giorno[8], insegna il Fondatore dell’Opus Dei. Soltanto allora la conversione può tradursi in fatti —nei «frutti degni di penitenza»[9], che Giovanni il Battista chiedeva ai Giudei come manifestazione di conversione— e non restare a livello puramente sentimentale.

Diverse sono le esigenze che la conversione comporta per ogni persona, ma si tratta sempre di un moto del cuore che, se è autentico, deve tradursi in fatti quotidiani. Il cammino della conversione non si esaurisce nei sentimenti, ma sbocca nella coerenza di vita: non si tratta solo di evitare il male, ma di fare il bene. Se la genuina conversione, come ha scritto Giovanni Paolo II, «comprende sia un aspetto “negativo” di liberazione dal peccato, quanto un aspetto “positivo” di scelta del bene»[10], allora in questo momento della storia, caratterizzato dall’individualismo e da una morale riduttiva, è particolarmente importante offrire al mondo la testimonianza autenticamente cristiana di una scommessa positiva sul Bene in ogni istante della nostra giornata.

[1] Ef 2, 4.

[2] GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Dives in misericordia, 30-XI-1980, n. 13.

[3] GIOVANNI PAOLO II, Preghiera per il terzo anno di preparazione al grande Giubileo del 2000.

[4] GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptoris missio, 7-XII-1990, n. 46.

[5] Ibidem.

[6] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, È Gesù che passa, n. 153.

[7] GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Dives in misericordia, 30-XI-1980, n. 13.

[8] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, È Gesù che passa, n. 114.

[9] Lc 3, 8.

[10] GIOVANNI PAOLO II, Lett. apost. Tertio Millennio adveniente, 10-XI-1994, n. 50.

Romana, n. 28, Gennaio-Giugno 1999, p. 8-9.

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