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Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis sulla Eucaristia sorgente e culmine della vita e della missione della Chiesa, Roma (22-II-2007)

Introduzione

1. Sacramento della carità[1], la Santissima Eucaristia è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l’amore infinito di Dio per ogni uomo. In questo mirabile Sacramento si manifesta l’amore «più grande», quello che spinge a «dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). Gesù, infatti, «li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Con questa espressione, l’Evangelista introduce il gesto di infinita umiltà da Lui compiuto: prima di morire sulla croce per noi, messosi un asciugatoio attorno ai fianchi, Egli lava i piedi ai suoi discepoli. Allo stesso modo, Gesù nel Sacramento eucaristico continua ad amarci «fino alla fine», fino al dono del suo corpo e del suo sangue. Quale stupore deve aver preso il cuore degli Apostoli di fronte ai gesti e alle parole del Signore durante quella Cena! Quale meraviglia deve suscitare anche nel nostro cuore il Mistero eucaristico!

Il cibo della verità

2. Nel Sacramento dell’altare, il Signore viene incontro all’uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,27), facendosi suo compagno di viaggio. In questo Sacramento, infatti, il Signore si fa cibo per l’uomo affamato di verità e di libertà. Poiché solo la verità può renderci liberi davvero (cfr. Gv 8,36), Cristo si fa per noi cibo di Verità. Con acuta conoscenza della realtà umana, sant’Agostino ha messo in evidenza come l’uomo si muova spontaneamente, e non per costrizione, quando si trova in relazione con ciò che lo attrae e suscita in lui desiderio. Domandandosi, allora, che cosa possa ultimamente muovere l’uomo nell’intimo, il santo Vescovo esclama: «Che cosa desidera l’anima più ardentemente della verità?»[2]. Ogni uomo, infatti, porta in sé l’insopprimibile desiderio della verità, ultima e definitiva. Per questo, il Signore Gesù, «via, verità e vita» (Gv 14,6), si rivolge al cuore anelante dell’uomo, che si sente pellegrino e assetato, al cuore che sospira verso la fonte della vita, al cuore mendicante della Verità. Gesù Cristo, infatti, è la Verità fatta Persona, che attira a sé il mondo. «Gesù è la stella polare della libertà umana: senza di Lui essa perde il suo orientamento, poiché senza la conoscenza della verità la libertà si snatura, si isola e si riduce a sterile arbitrio. Con Lui, la libertà si ritrova»[3]. Nel sacramento dell’Eucaristia Gesù ci mostra in particolare la verità dell’amore, che è la stessa essenza di Dio. È questa verità evangelica che interessa ogni uomo e tutto l’uomo. Per questo la Chiesa, che trova nell’Eucaristia il suo centro vitale, si impegna costantemente ad annunciare a tutti, opportune importune (cfr. 2 Tm 4,2), che Dio è amore[4]. Proprio perché Cristo si è fatto per noi cibo di Verità, la Chiesa si rivolge all’uomo, invitandolo ad accogliere liberamente il dono di Dio.

Lo sviluppo del rito eucaristico

3. Guardando alla storia bimillenaria della Chiesa di Dio, guidata dalla sapiente azione dello Spirito Santo, ammiriamo, pieni di gratitudine, lo sviluppo, ordinato nel tempo, delle forme rituali in cui facciamo memoria dell’evento della nostra salvezza. Dalle molteplici forme dei primi secoli, che ancora splendono nei riti delle antiche Chiese di Oriente, fino alla diffusione del rito romano; dalle chiare indicazioni del Concilio di Trento e del Messale di san Pio V fino al rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II: in ogni tappa della storia della Chiesa la Celebrazione eucaristica, quale fonte e culmine della sua vita e missione, risplende nel rito liturgico in tutta la sua multiforme ricchezza. La XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, svoltasi dal 2 al 23 ottobre 2005 in Vaticano, ha espresso nei confronti di questa storia un profondo ringraziamento a Dio, riconoscendo operante in essa la guida dello Spirito Santo. In particolare, i Padri sinodali hanno constatato e ribadito il benefico influsso che la riforma liturgica attuata a partire dal Concilio ecumenico Vaticano II ha avuto per la vita della Chiesa[5]. Il Sinodo dei Vescovi ha avuto la possibilità di valutare la sua ricezione dopo le Assise conciliari. Moltissimi sono stati gli apprezzamenti. Le difficoltà ed anche taluni abusi rilevati, è stato affermato, non possono oscurare la bontà e la validità del rinnovamento liturgico, che contiene ancora ricchezze non pienamente esplorate. Si tratta in concreto di leggere i cambiamenti voluti dal Concilio all’interno dell’unità che caratterizza lo sviluppo storico del rito stesso, senza introdurre artificiose rotture[6].

Il Sinodo dei Vescovi e l’Anno dell’Eucaristia

4. È necessario inoltre sottolineare il rapporto del recente Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia con quanto è accaduto negli ultimi anni nella vita della Chiesa. Innanzitutto, dobbiamo ricollegarci idealmente al Grande Giubileo del 2000, con il quale il mio amato Predecessore, il servo di Dio Giovanni Paolo II, ha introdotto la Chiesa nel terzo millennio cristiano. L’Anno Giubilare è stato indubbiamente caratterizzato in senso fortemente eucaristico. Non si può poi dimenticare che il Sinodo dei Vescovi è stato preceduto, ed in un certo senso anche preparato, dall’Anno dell’Eucaristia, voluto con grande lungimiranza da Giovanni Paolo II per tutta la Chiesa. Tale periodo, iniziato con il Congresso Eucaristico Internazionale a Guadalajara nell’ottobre 2004, si è concluso il 23 ottobre 2005, al termine della XI Assemblea Sinodale, con la canonizzazione di cinque Beati, che si sono particolarmente distinti per la pietà eucaristica: il Vescovo Józef Bilczewski, i presbiteri Gaetano Catanoso, Zygmunt Gorazdowski e Alberto Hurtado Cruchaga, e il religioso cappuccino Felice da Nicosia. Grazie agli insegnamenti proposti da Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Mane nobiscum Domine[7] e ai preziosi suggerimenti della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti[8], sono state numerose le iniziative che le diocesi e le diverse realtà ecclesiali hanno intrapreso per risvegliare ed accrescere nei credenti la fede eucaristica, per migliorare la cura delle celebrazioni e promuovere l’adorazione eucaristica, per incoraggiare una fattiva solidarietà che partendo dall’Eucaristia raggiungesse i bisognosi. Infine, è necessario menzionare l’importanza dell’ultima Enciclica del mio venerato Predecessore,Ecclesia de Eucharestia[9], con la quale egli ci ha lasciato un sicuro riferimento magisteriale sulla dottrina eucaristica e un’ultima testimonianza circa il posto centrale che questo divino Sacramento occupava nella sua esistenza.

Scopo della presente Esortazione

5. Questa Esortazione apostolica postsinodale ha lo scopo di riprendere la multiforme ricchezza di riflessioni e proposte emerse nella recente Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi — a partire dai, Lineamenta fino alle Propositiones, passando attraverso l’ Instrumentum laboris, le Relationes ante et post disceptationem, gli interventi dei Padri sinodali, degli auditores e dei delegati fraterni —, nell’intento di esplicitare alcune fondamentali linee di impegno, volte a destare nella Chiesa nuovo impulso e fervore eucaristico. Consapevoli del vasto patrimonio dottrinale e disciplinare accumulato nel corso dei secoli intorno a questo Sacramento[10], nel presente documento desidero soprattutto raccomandare, accogliendo il voto dei Padri sinodali[11], che il popolo cristiano approfondisca la relazione tra il Mistero eucaristico, l’azione liturgica e il nuovo culto spirituale derivante dall’Eucaristia, quale sacramento della carità. In questa prospettiva intendo porre la presente Esortazione in relazione con la mia prima Lettera enciclica Deus caritas est, nella quale ho parlato più volte del sacramento dell’Eucaristia per sottolineare il suo rapporto con l’amore cristiano, sia in riferimento a Dio che al prossimo: «Il Dio incarnato ci attrae tutti a sé. Da ciò si comprende come agape sia ora diventata anche un nome dell’Eucaristia: in essa l’agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi»[12].

Prima parte

Eucaristia, mistero da credere

«Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato» (Gv 6,29)

La fede eucaristica della Chiesa

6. «Mistero della fede!». Con questa espressione pronunciata immediatamente dopo le parole della consacrazione, il sacerdote proclama il mistero celebrato e manifesta il suo stupore di fronte alla conversione sostanziale del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore Gesù, una realtà che supera ogni comprensione umana. In effetti, l’Eucaristia è per eccellenza «mistero della fede»: «è il compendio e la somma della nostra fede»[13]. La fede della Chiesa è essenzialmente fede eucaristica e si alimenta in modo particolare alla mensa dell’Eucaristia. La fede e i Sacramenti sono due aspetti complementari della vita ecclesiale. Suscitata dall’annuncio della Parola di Dio, la fede è nutrita e cresce nell’incontro di grazia col Signore risorto che si realizza nei Sacramenti: «La fede si esprime nel rito e il rito rafforza e fortifica la fede»[14]. Per questo, il Sacramento dell’altare sta sempre al centro della vita ecclesiale; «grazie all’Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo!»[15]. Quanto più viva è la fede eucaristica nel Popolo di Dio, tanto più profonda è la sua partecipazione alla vita ecclesiale mediante la convinta adesione alla missione che Cristo ha affidato ai suoi discepoli. Di ciò è testimone la stessa storia della Chiesa. Ogni grande riforma è legata, in qualche modo, alla riscoperta della fede nella presenza eucaristica del Signore in mezzo al suo popolo.

Santissima Trinità ed Eucaristia

Il pane disceso dal cielo

7. La prima realtà della fede eucaristica è il mistero stesso di Dio, amore trinitario. Nel dialogo di Gesù con Nicodemo, troviamo un’espressione illuminante a questo proposito: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3,16-17). Queste parole mostrano la radice ultima del dono di Dio. Gesù nell’Eucaristia dà non «qualche cosa» ma se stesso; egli offre il suo corpo e versa il suo sangue. In tal modo dona la totalità della propria esistenza, rivelando la fonte originaria di questo amore. Egli è l’eterno Figlio dato per noi dal Padre. Nel Vangelo ascoltiamo ancora Gesù che, dopo aver sfamato la moltitudine con la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ai suoi interlocutori che lo avevano seguito fino alla sinagoga di Cafarnao dice: «Il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv 6,32-33), ed arriva ad identificare se stesso, la propria carne e il proprio sangue, con quel pane: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). Gesù si manifesta così come il pane della vita, che l’eterno Padre dona agli uomini.

Dono gratuito della Santissima Trinità

8. Nell’Eucaristia si rivela il disegno di amore che guida tutta la storia della salvezza (cfr. Ef 1,10; 3,8-11). In essa il Deus Trinitas, che in se stesso è amore (cfr. 1 Gv 4,7-8), si coinvolge pienamente con la nostra condizione umana. Nel pane e nel vino, sotto le cui apparenze Cristo si dona a noi nella cena pasquale (cfr. Lc 22,14-20; 1 Cor 11,23-26), è l’intera vita divina che ci raggiunge e si partecipa a noi nella forma del Sacramento. Dio è comunione perfetta di amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Già nella creazione l’uomo è chiamato a condividere in qualche misura il soffio vitale di Dio (cfr. Gn 2,7). Ma è in Cristo morto e risorto e nell’effusione dello Spirito Santo, dato senza misura (cfr. Gv 3,34), che siamo resi partecipi dell’intimità divina[16]. Gesù Cristo, dunque, che «con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio» (Eb 9,14), nel dono eucaristico ci comunica la stessa vita divina. Si tratta di un dono assolutamente gratuito, che risponde soltanto alle promesse di Dio, compiute oltre ogni misura. La Chiesa accoglie, celebra, adora questo dono in fedele obbedienza. Il «mistero della fede» è mistero di amore trinitario, al quale siamo per grazia chiamati a partecipare. Anche noi dobbiamo pertanto esclamare con sant’Agostino: «Se vedi la carità, vedi la Trinità»[17].

Eucaristia: Gesù vero Agnello immolato

La nuova ed eterna alleanza nel sangue dell’Agnello

9. La missione per la quale Gesù è venuto fra noi giunge a compimento nel Mistero pasquale. Dall’alto della croce, dalla quale attira tutti a sé (cfr. Gv 12,32), prima di «consegnare lo Spirito», Egli dice: «Tutto è compiuto» (Gv 19,30). Nel mistero della sua obbedienza fino alla morte, e alla morte di croce (cfr. Fil 2,8), si è compiuta la nuova ed eterna alleanza. La libertà di Dio e la libertà dell’uomo si sono definitivamente incontrate nella sua carne crocifissa in un patto indissolubile, valido per sempre. Anche il peccato dell’uomo è stato espiato una volta per tutte dal Figlio di Dio (cfr. Eb 7,27; 1 Gv 2,2; 4,10). Come ho già avuto modo di affermare, «nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo — amore, questo, nella sua forma più radicale»[18]. Nel Mistero pasquale si è realizzata davvero la nostra liberazione dal male e dalla morte. Nell’istituzione dell’Eucaristia Gesù stesso aveva parlato della «nuova ed eterna alleanza», stipulata nel suo sangue versato (cfr. Mt 26,28; Mc 14,24; Lc 22,20). Questo scopo ultimo della sua missione era già ben evidente all’inizio della sua vita pubblica. Infatti, quando, sulle rive del Giordano, Giovanni il Battista vede Gesù venire verso di lui, esclama: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo» (Gv 1,29). È significativo che la stessa espressione ricorra, ogni volta che celebriamo la santa Messa, nell’invito del sacerdote ad accostarsi all’altare: «Beati gli invitati alla cena del Signore, ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo». Gesù è il vero agnello pasquale che ha offerto spontaneamente se stesso in sacrificio per noi, realizzando così la nuova ed eterna alleanza. L’Eucaristia contiene in sé questa radicale novità, che si ripropone a noi in ogni celebrazione[19].

L’istituzione dell’Eucaristia

10. In tal modo siamo portati a riflettere sull’istituzione dell’Eucaristia nell’Ultima Cena. Ciò accadde nel contesto di una cena rituale che costituiva il memoriale dell’avvenimento fondante del popolo di Israele: la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Questa cena rituale, legata all’immolazione degli agnelli (cfr. Es 12,1-28.43-51), era memoria del passato ma, nello stesso tempo, anche memoria profetica, ossia annuncio di una liberazione futura. Infatti, il popolo aveva sperimentato che quella liberazione non era stata definitiva, poiché la sua storia era ancora troppo segnata dalla schiavitù e dal peccato. Il memoriale dell’antica liberazione si apriva così alla domanda e all’attesa di una salvezza più profonda, radicale, universale e definitiva. È in questo contesto che Gesù introduce la novità del suo dono. Nella preghiera di lode, la Berakah, Egli ringrazia il Padre non solo per i grandi eventi della storia passata, ma anche per la propria «esaltazione». Istituendo il sacramento dell’Eucaristia, Gesù anticipa ed implica il Sacrificio della croce e la vittoria della risurrezione. Al tempo stesso, Egli si rivela come il vero agnello immolato, previsto nel disegno del Padre fin dalla fondazione del mondo, come si legge nella Prima Lettera di Pietro (cfr. 1,18-20). Collocando in questo contesto il suo dono, Gesù manifesta il senso salvifico della sua morte e risurrezione, mistero che diviene realtà rinnovatrice della storia e del cosmo intero. L’istituzione dell’Eucaristia mostra, infatti, come quella morte, di per sé violenta ed assurda, sia diventata in Gesù supremo atto di amore e definitiva liberazione dell’umanità dal male.

Figura transit in veritatem

11. In questo modo Gesù inserisce il suo novum radicale all’interno dell’antica cena sacrificale ebraica. Quella cena per noi cristiani non è più necessario ripeterla. Come giustamente dicono i Padri, figura transit in veritatem: ciò che annunciava le realtà future ha ora lasciato il posto alla verità stessa. L’antico rito si è compiuto ed è stato superato definitivamente attraverso il dono d’amore del Figlio di Dio incarnato. Il cibo della verità, Cristo immolato per noi, dat... figuris terminum[20]. Con il comando «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19; 1 Cor 11,25), Egli ci chiede di corrispondere al suo dono e di rappresentarlo sacramentalmente. Con queste parole, pertanto, il Signore esprime, per così dire, l’attesa che la sua Chiesa, nata dal suo sacrificio, accolga questo dono, sviluppando sotto la guida dello Spirito Santo la forma liturgica del Sacramento. Il memoriale del suo dono perfetto, infatti, non consiste nella semplice ripetizione dell’Ultima Cena, ma propriamente nell’Eucaristia, ossia nella novità radicale del culto cristiano. Gesù ci ha così lasciato il compito di entrare nella sua «ora»: «L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione»[21]. Egli «ci attira dentro di sé»[22]. La conversione sostanziale del pane e del vino nel suo corpo e nel suo sangue pone dentro la creazione il principio di un cambiamento radicale, come una sorta di «fissione nucleare», per usare un’immagine a noi oggi ben nota, portata nel più intimo dell’essere, un cambiamento destinato a suscitare un processo di trasformazione della realtà, il cui termine ultimo sarà la trasfigurazione del mondo intero, fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15,28).

Lo Spirito Santo e l’Eucaristia

Gesù e lo Spirito Santo

12. Con la sua parola e con il pane ed il vino il Signore stesso ci ha offerto gli elementi essenziali del culto nuovo. La Chiesa, sua Sposa, è chiamata a celebrare il convito eucaristico giorno dopo giorno in memoria di Lui. Essa inscrive così il sacrificio redentore del suo Sposo nella storia degli uomini e lo rende presente sacramentalmente in tutte le culture. Questo grande mistero viene celebrato nelle forme liturgiche che la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, sviluppa nel tempo e nello spazio[23]. A tale proposito è necessario risvegliare in noi la consapevolezza del ruolo decisivo esercitato dallo Spirito Santo nello sviluppo della forma liturgica e nell’approfondimento dei divini misteri. Il Paraclito, primo dono ai credenti[24], operante già nella creazione (cfr. Gn 1,2), è pienamente presente in tutta l’esistenza del Verbo incarnato: Gesù Cristo, infatti, è concepito dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo (cfr. Mt 1,18; Lc 1,35); all’inizio della sua missione pubblica, sulle rive del Giordano, lo vede scendere su di sé in forma di colomba (cfr. Mt 3,16 e par); in questo stesso Spirito agisce, parla ed esulta (cfr. Lc 10,21); ed è in Lui che egli può offrire se stesso (cfr. Eb 9,14). Nei cosiddetti «discorsi di addio», riportati da Giovanni, Gesù mette in chiara relazione il dono della sua vita nel mistero pasquale con il dono dello Spirito ai suoi (cfr. Gv 16,7). Una volta risorto, portando nella sua carne i segni della passione, Egli può effondere lo Spirito (cfr. Gv 20,22), rendendo i suoi partecipi della sua stessa missione (cfr. Gv 20,21). Sarà poi lo Spirito ad insegnare ai discepoli ogni cosa e a ricordare loro tutto ciò che Cristo ha detto (cfr. Gv 14,26), perché spetta a Lui, in quanto Spirito di verità (cfr. Gv 15,26), introdurre i discepoli alla verità tutta intera (cfr. Gv 16,13). Nel racconto degli Atti lo Spirito discende sugli Apostoli radunati in preghiera con Maria nel giorno di Pentecoste (cfr. 2,1-4), e li anima alla missione di annunciare a tutti i popoli la buona novella. Pertanto, è in forza dell’azione dello Spirito che Cristo stesso rimane presente ed operante nella sua Chiesa, a partire dal suo centro vitale che è l’Eucaristia.

Spirito Santo e Celebrazione eucaristica

13. In questo orizzonte si comprende il ruolo decisivo dello Spirito Santo nella Celebrazione eucaristica ed in particolare in riferimento alla transustanziazione. La consapevolezza di ciò è ben documentabile nei Padri della Chiesa. San Cirillo di Gerusalemme, nelle sue Catechesi, ricorda che noi «invochiamo Dio misericordioso di inviare il suo Santo Spirito sulle oblate che ci stanno dinanzi, affinché Egli trasformi il pane in corpo di Cristo e il vino in sangue di Cristo. Ciò che lo Spirito Santo tocca è santificato e trasformato totalmente»[25]. Anche san Giovanni Crisostomo rileva che il sacerdote invoca lo Spirito Santo quando celebra il Sacrificio[26]: come Elia, il ministro — egli dice — attira lo Spirito Santo affinché «discendendo la grazia sulla vittima si accendano per mezzo di essa le anime di tutti»[27]. È quanto mai necessaria per la vita spirituale dei fedeli una coscienza più chiara della ricchezza dell’anafora: insieme alle parole pronunciate da Cristo nell’Ultima Cena, essa contiene l’epiclesi, quale invocazione al Padre perché faccia discendere il dono dello Spirito affinché il pane e il vino diventino il corpo ed il sangue di Gesù Cristo e perché «la comunità tutta intera diventi sempre più corpo di Cristo»[28]. Lo Spirito, invocato dal celebrante sui doni del pane e del vino posti sull’altare, è il medesimo che riunisce i fedeli «in un solo corpo», rendendoli un’offerta spirituale gradita al Padre[29].

Eucaristia e Chiesa

Eucaristia principio causale della Chiesa

14. Attraverso il Sacramento eucaristico Gesù coinvolge i fedeli nella sua stessa «ora»; in tal modo Egli ci mostra il legame che ha voluto tra sé e noi, tra la sua persona e la Chiesa. Infatti, Cristo stesso nel sacrificio della croce ha generato la Chiesa come sua sposa e suo corpo. I Padri della Chiesa hanno lungamente meditato sulla relazione tra l’origine di Eva dal fianco di Adamo dormiente (cfr. Gn 2,21-23) e della nuova Eva, la Chiesa, dal fianco aperto di Cristo, immerso nel sonno della morte: dal costato trafitto, racconta Giovanni, uscì sangue ed acqua (cfr. Gv 19,34), simbolo dei sacramenti[30]. Uno sguardo contemplativo «a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37) ci porta a considerare il legame causale tra il sacrificio di Cristo, l’Eucaristia e la Chiesa. La Chiesa, in effetti, «vive dell’Eucaristia»[31]. Poiché in essa si rende presente il sacrificio redentore di Cristo, si deve innanzitutto riconoscere che «c’è un influsso causale dell’Eucaristia alle origini stesse della Chiesa»[32]. L’Eucaristia è Cristo che si dona a noi, edificandoci continuamente come suo corpo. Pertanto, nella suggestiva circolarità tra Eucaristia che edifica la Chiesa e Chiesa stessa che fa l’Eucaristia[33], la causalità primaria è quella espressa nella prima formula: la Chiesa può celebrare e adorare il mistero di Cristo presente nell’Eucaristia proprio perché Cristo stesso si è donato per primo ad essa nel sacrificio della Croce. La possibilità per la Chiesa di «fare» l’Eucaristia è tutta radicata nella donazione che Cristo le ha fatto di se stesso. Anche qui scopriamo un aspetto convincente della formula di san Giovanni: «Egli ci ha amati per primo» (1 Gv 4,19). Così anche noi in ogni celebrazione confessiamo il primato del dono di Cristo. L’influsso causale dell’Eucaristia all’origine della Chiesa rivela in definitiva la precedenza non solo cronologica ma anche ontologica del suo averci amati «per primo». Egli è per l’eternità colui che ci ama per primo.

Eucaristia e comunione ecclesiale

15. L’Eucaristia, dunque, è costitutiva dell’essere e dell’agire della Chiesa. Per questo l’antichità cristiana designava con le stesse parole Corpus Christi il Corpo nato dalla Vergine Maria, il Corpo eucaristico e il Corpo ecclesiale di Cristo[34]. Questo dato ben presente nella tradizione ci aiuta ad accrescere in noi la consapevolezza dell’inseparabilità tra Cristo e la Chiesa. Il Signore Gesù, offrendo se stesso in sacrificio per noi, ha efficacemente preannunciato nel suo dono il mistero della Chiesa. È significativo che la seconda preghiera eucaristica, invocando il Paraclito, formuli in questo modo la preghiera per l’unità della Chiesa: «per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo». Questo passaggio fa ben comprendere come la res del Sacramento eucaristico sia l’unità dei fedeli nella comunione ecclesiale. L’Eucaristia si mostra così alla radice della Chiesa come mistero di comunione[35].

Sulla relazione tra Eucaristia e communio aveva già attirato l’attenzione il servo di Dio Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Ecclesia de Eucharestia. Egli ha parlato del memoriale di Cristo come della «suprema manifestazione sacramentale della comunione nella Chiesa»[36]. L’unità della comunione ecclesiale si rivela concretamente nelle comunità cristiane e si rinnova nell’atto eucaristico che le unisce e le differenzia in Chiese particolari, «in quibus et ex quibus una et unica Ecclesia catholica exsistit»[37]. Proprio la realtà dell’unica Eucaristia che viene celebrata in ogni Diocesi intorno al proprio Vescovo ci fa comprendere come le stesse Chiese particolari sussistano in e ex Ecclesia. Infatti, «l’unicità e indivisibilità del Corpo eucaristico del Signore implica l’unicità del suo Corpo mistico, che è la Chiesa una ed indivisibile. Dal centro eucaristico sorge la necessaria apertura di ogni comunità celebrante, di ogni Chiesa particolare: attratta fra le braccia aperte del Signore, essa viene inserita nel suo Corpo, unico ed indiviso»[38]. Per questo motivo, nella celebrazione dell’Eucaristia ogni fedele si trova nella sua Chiesa, cioè nella Chiesa di Cristo. In questa prospettiva eucaristica, adeguatamente compresa, la comunione ecclesiale si rivela realtà per natura sua cattolica[39]. Sottolineare questa radice eucaristica della comunione ecclesiale può contribuire efficacemente anche al dialogo ecumenico con le Chiese e con le Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Sede di Pietro. Infatti, l’Eucaristia stabilisce obiettivamente un forte legame di unità tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse, che hanno conservato la genuina e integra natura del mistero dell’Eucaristia. Al tempo stesso, il rilievo dato al carattere ecclesiale dell’Eucaristia può diventare elemento privilegiato nel dialogo anche con le Comunità nate dalla Riforma[40].

Eucaristia e Sacramenti

Sacramentalità della Chiesa

16. Il Concilio Vaticano II ha ricordato che «tutti i Sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere d’apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini, i quali sono in tal modo invitati e indotti a offrire assieme a Lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create»[41]. Questa relazione intima dell’Eucaristia con tutti gli altri Sacramenti e con l’esistenza cristiana è compresa nella sua radice quando si contempla il mistero della Chiesa stessa come sacramento[42]. A questo proposito il Concilio Vaticano II ha affermato che «la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»[43]. Essa, in quanto «popolo — come dice san Cipriano — adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»[44], è sacramento della comunione trinitaria.

Il fatto che la Chiesa sia «sacramento universale di salvezza»[45] mostra come l’«economia» sacramentale determini ultimamente il modo in cui Cristo, unico Salvatore, mediante lo Spirito raggiunge la nostra esistenza nella specificità delle sue circostanze. La Chiesa si riceve e insieme si esprime nei sette Sacramenti, attraverso i quali la grazia di Dio influenza concretamente l’esistenza dei fedeli affinché tutta la vita, redenta da Cristo, diventi culto gradito a Dio. In questa prospettiva desidero qui sottolineare alcuni elementi, messi in evidenza dai Padri sinodali, che possono aiutare a cogliere la relazione di tutti i Sacramenti con il Mistero eucaristico.

I. Eucaristia e iniziazione cristiana

Eucaristia, pienezza dell’iniziazione cristiana

17. Se davvero l’Eucaristia è fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, ne consegue innanzitutto che il cammino di iniziazione cristiana ha come suo punto di riferimento la possibilità di accedere a tale sacramento. A questo proposito, come hanno detto i Padri sinodali, dobbiamo chiederci se nelle nostre comunità cristiane sia sufficientemente percepito lo stretto legame fra Battesimo, Confermazione ed Eucaristia[46]. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che veniamo battezzati e cresimati in ordine all’Eucaristia. Tale dato implica l’impegno di favorire nella prassi pastorale una comprensione più unitaria del percorso di iniziazione cristiana. Il sacramento del Battesimo, con il quale siamo resi conformi a Cristo[47], incorporati nella Chiesa e resi figli di Dio, costituisce la porta di accesso a tutti i Sacramenti. Con esso veniamo inseriti nell’unico Corpo di Cristo (cfr. 1 Cor 12,13), popolo sacerdotale. Tuttavia è la partecipazione al Sacrificio eucaristico a perfezionare in noi quanto ci è donato nel Battesimo. Anche i doni dello Spirito sono dati per l’edificazione del Corpo di Cristo (1 Cor 12) e per la maggiore testimonianza evangelica nel mondo[48]. Pertanto la santissima Eucaristia porta a pienezza l’iniziazione cristiana e si pone come centro e fine di tutta la vita sacramentale[49].

L’ordine dei Sacramenti dell’iniziazione

18. A questo riguardo è necessario porre attenzione al tema dell’ordine dei Sacramenti dell’iniziazione. Nella Chiesa vi sono tradizioni differenti. Tale diversità si manifesta con evidenza nelle consuetudini ecclesiali dell’Oriente[50], e nella stessa prassi occidentale per quanto concerne l’iniziazione degli adulti[51], rispetto a quella dei bambini[52]. Tuttavia tali differenziazioni non sono propriamente di ordine dogmatico, ma di carattere pastorale. Concretamente, è necessario verificare quale prassi possa in effetti aiutare meglio i fedeli a mettere al centro il sacramento dell’Eucaristia, come realtà cui tutta l’iniziazione tende. In stretta collaborazione con i competenti Dicasteri della Curia Romana, le Conferenze Episcopali verifichino l’efficacia degli attuali percorsi di iniziazione, affinché il cristiano dall’azione educativa delle nostre comunità sia aiutato a maturare sempre di più, giungendo ad assumere nella sua vita un’impostazione autenticamente eucaristica, così da essere in grado di dare ragione della propria speranza in modo adeguato per il nostro tempo (cfr. 1Pt 3,15).

Iniziazione, comunità ecclesiale e famiglia

19. Occorre tenere sempre presente che l’intera iniziazione cristiana è cammino di conversione da compiere con l’aiuto di Dio ed in costante riferimento alla comunità ecclesiale, sia quando è l’adulto a chiedere di entrare nella Chiesa, come avviene nei luoghi di prima evangelizzazione e in tante zone secolarizzate, sia quando i genitori chiedono i Sacramenti per i loro figli. A questo proposito, desidero portare l’attenzione soprattutto sul rapporto tra iniziazione cristiana e famiglia. Nell’opera pastorale si deve associare sempre la famiglia cristiana all’itinerario di iniziazione. Ricevere il Battesimo, la Cresima ed accostarsi per la prima volta all’Eucaristia sono momenti decisivi non solo per la persona che li riceve ma anche per l’intera famiglia, la quale deve essere sostenuta nel suo compito educativo dalla comunità ecclesiale, nelle sue varie componenti[53]. Qui vorrei sottolineare la rilevanza della prima Comunione. In tantissimi fedeli questo giorno rimane giustamente impresso nella memoria come il primo momento in cui, seppur ancora in modo iniziale, si è percepita l’importanza dell’incontro personale con Gesù. La pastorale parrocchiale deve valorizzare adeguatamente questa occasione così significativa.

II. Eucaristia e sacramento della Riconciliazione

Loro nesso intrinseco

20. Giustamente, i Padri sinodali hanno affermato che l’amore all’Eucaristia porta ad apprezzare sempre più anche il sacramento della Riconciliazione[54]. A causa del legame tra questi sacramenti, un’autentica catechesi riguardo al senso dell’Eucaristia non può essere disgiunta dalla proposta di un cammino penitenziale (cfr. 1 Cor 11,27-29). Certo, constatiamo come nel nostro tempo i fedeli si trovino immersi in una cultura che tende a cancellare il senso del peccato[55], favorendo un atteggiamento superficiale, che porta a dimenticare la necessità di essere in grazia di Dio per accostarsi degnamente alla comunione sacramentale[56]. In realtà, perdere la coscienza del peccato comporta sempre anche una certa superficialità nell’intendere l’amore stesso di Dio. Giova molto ai fedeli richiamare quegli elementi che, all’interno del rito della santa Messa, esplicitano la coscienza del proprio peccato e, contemporaneamente, della misericordia di Dio[57]. Inoltre, la relazione tra Eucaristia e Riconciliazione ci ricorda che il peccato non è mai una realtà esclusivamente individuale; esso comporta sempre anche una ferita all’interno della comunione ecclesiale, nella quale siamo inseriti grazie al Battesimo. Per questo la Riconciliazione, come dicevano i Padri della Chiesa, è laboriosus quidam baptismus[58], sottolineando in tal modo che l’esito del cammino di conversione è anche il ristabilimento della piena comunione ecclesiale, che si esprime nel riaccostarsi all’Eucaristia[59].

Alcune attenzioni pastorali

21. Il Sinodo ha ricordato che è compito pastorale del Vescovo promuovere nella propria Diocesi un deciso recupero della pedagogia della conversione che nasce dalla Eucaristia e favorire tra i fedeli la confessione frequente. Tutti i sacerdoti si dedichino con generosità, impegno e competenza all’amministrazione del sacramento della Riconciliazione[60]. A questo proposito si deve fare attenzione a che i confessionali nelle nostre chiese siano ben visibili ed espressivi del significato di questo Sacramento. Chiedo ai Pastori di vigilare attentamente sulla celebrazione del sacramento della Riconciliazione, limitando la prassi dell’assoluzione generale esclusivamente ai casi previsti[61], essendo solo quella personale la forma ordinaria[62]. Di fronte alla necessità di riscoprire il perdono sacramentale, in tutte le Diocesi vi sia sempre il Penitenziere[63]. Infine, alla nuova presa di coscienza della relazione tra Eucaristia e Riconciliazione può essere di valido aiuto una equilibrata ed approfondita prassi dell’indulgenza, lucrata per sé o per i defunti. Con essa si ottiene «la remissione davanti a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa»[64]. L’uso delle indulgenze ci aiuta a comprendere che con le nostre sole forze non saremmo capaci di riparare al male compiuto e che i peccati di ciascuno recano danno a tutta la comunità; inoltre, la pratica dell’indulgenza, implicando oltre alla dottrina degli infiniti meriti di Cristo anche quella della comunione dei santi, ci dice «quanto intimamente siamo uniti in Cristo gli uni con gli altri e quanto la vita soprannaturale di ciascuno possa giovare agli altri»[65]. Poiché la sua stessa forma prevede, tra le condizioni, l’accostarsi alla confessione e alla comunione sacramentale, la sua pratica può sostenere efficacemente i fedeli nel cammino di conversione e nella scoperta della centralità dell’Eucaristia nella vita cristiana.

III. Eucaristia e Unzione degli infermi

22. Gesù non ha soltanto inviato i suoi discepoli a curare gli infermi (cfr. Mt 10,8; Lc 9,2; 10,9), ma ha anche istituito per loro uno specifico sacramento: l’Unzione degli infermi[66]. La Lettera di Giacomo ci attesta la presenza di questo gesto sacramentale già nella prima comunità cristiana (cfr. 5,14-16). Se l’Eucaristia mostra come le sofferenze e la morte di Cristo siano state trasformate in amore, l’Unzione degli infermi, da parte sua, associa il sofferente all’offerta che Cristo ha fatto di sé per la salvezza di tutti, così che anch’egli possa, nel mistero della comunione dei santi, partecipare alla redenzione del mondo. La relazione tra questi Sacramenti si manifesta, inoltre, di fronte all’aggravarsi della malattia: «A coloro che stanno per lasciare questa vita, la Chiesa offre, oltre all’Unzione degli infermi, l’Eucaristia come viatico»[67]. Nel passaggio al Padre, la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo si manifesta come seme di vita eterna e potenza di risurrezione: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54). Poiché il Santo Viatico schiude all’infermo la pienezza del mistero pasquale, è necessario assicurarne la pratica[68]. L’attenzione e la cura pastorale verso coloro che si trovano nella malattia ridondano sicuramente a vantaggio spirituale di tutta la comunità, sapendo che quanto avremo fatto al più piccolo lo avremo fatto a Gesù stesso (cfr. Mt 25,40).

IV. Eucaristia e sacramento dell’Ordine

In persona Christi capitis

23. Il nesso intrinseco fra Eucaristia e sacramento dell’Ordine risulta dalle parole stesse di Gesù nel Cenacolo: «Fate questo in memoria di me» (Lc 22,19). Gesù, infatti, alla vigilia della sua morte, ha istituito l’Eucaristia e fondato allo stesso tempo il sacerdozio della Nuova Alleanza. Egli è sacerdote, vittima ed altare: mediatore tra Dio Padre ed il popolo (cfr. Eb 5,5-10), vittima di espiazione (cfr. 1 Gv 2,2; 4,10) che offre se stessa sull’altare della croce. Nessuno può dire «questo è il mio corpo» e «questo è il calice del mio sangue» se non nel nome e nella persona di Cristo, unico sommo sacerdote della nuova ed eterna Alleanza (cfr. Eb 8-9). Il Sinodo dei Vescovi già in altre assemblee aveva messo a tema il Sacerdozio ordinato, sia per quanto riguarda l’identità del ministero[69], sia per la formazione dei candidati[70]. In questa circostanza, alla luce del dialogo avvenuto all’interno dell’ultima Assemblea sinodale, mi preme richiamare alcuni valori relativi al rapporto tra Sacramento eucaristico e Ordine. Innanzitutto è necessario ribadire che il legame tra l’Ordine sacro e l’Eucaristia è visibile proprio nella Messa presieduta dal Vescovo o dal presbitero in persona di Cristo capo.

La dottrina della Chiesa fa dell’ordinazione sacerdotale la condizione imprescindibile per la celebrazione valida dell’Eucaristia[71]. Infatti, «nel servizio ecclesiale del ministro ordinato è Cristo stesso che è presente alla sua Chiesa, in quanto Capo del suo corpo, Pastore del suo gregge, Sommo Sacerdote del sacrificio redentore»[72]. Certamente il ministro ordinato «agisce anche a nome di tutta la Chiesa allorché presenta a Dio la preghiera della Chiesa e soprattutto quando offre il sacrificio eucaristico»[73]. È necessario, pertanto, che i sacerdoti abbiano coscienza che tutto il loro ministero non deve mai mettere in primo piano loro stessi o le loro opinioni, ma Gesù Cristo. Contraddice l’identità sacerdotale ogni tentativo di porre se stessi come protagonisti dell’azione liturgica. Il sacerdote è più che mai servo e deve impegnarsi continuamente ad essere segno che, come strumento docile nelle mani di Cristo, rimanda a Lui. Ciò si esprime particolarmente nell’umiltà con la quale il sacerdote guida l’azione liturgica, in obbedienza al rito, corrispondendovi con il cuore e la mente, evitando tutto ciò che possa dare la sensazione di un proprio inopportuno protagonismo. Raccomando, pertanto, al clero di approfondire sempre la coscienza del proprio ministero eucaristico come umile servizio a Cristo e alla sua Chiesa. Il sacerdozio, come diceva sant’Agostino, è amoris officium[74], è l’ufficio del buon pastore, che offre la vita per le pecore (cfr. Gv 10,14-15).

Eucaristia e celibato sacerdotale

24. I Padri sinodali hanno voluto sottolineare che il sacerdozio ministeriale richiede, attraverso l’Ordinazione, la piena configurazione a Cristo. Pur nel rispetto della differente prassi e tradizione orientale, è necessario ribadire il senso profondo del celibato sacerdotale, ritenuto giustamente una ricchezza inestimabile, e confermato anche dalla prassi orientale di scegliere i Vescovi solo tra coloro che vivono nel celibato e che tiene in grande onore la scelta del celibato operata da numerosi presbiteri. In tale scelta del sacerdote, infatti, trovano peculiare espressione la dedizione che lo conforma a Cristo e l’offerta esclusiva di se stesso per il Regno di Dio[75]. Il fatto che Cristo stesso, sacerdote in eterno, abbia vissuto la sua missione fino al sacrificio della croce nello stato di verginità costituisce il punto di riferimento sicuro per cogliere il senso della tradizione della Chiesa latina a questo proposito. Pertanto, non è sufficiente comprendere il celibato sacerdotale in termini meramente funzionali. In realtà, esso rappresenta una speciale conformazione allo stile di vita di Cristo stesso. Tale scelta è innanzitutto sponsale; è immedesimazione con il cuore di Cristo Sposo che dà la vita per la sua Sposa. In unità con la grande tradizione ecclesiale, con il Concilio Vaticano II[76] e con i Sommi Pontefici miei predecessori[77], ribadisco la bellezza e l’importanza di una vita sacerdotale vissuta nel celibato come segno espressivo della dedizione totale ed esclusiva a Cristo, alla Chiesa e al Regno di Dio, e ne confermo quindi l’obbligatorietà per la tradizione latina. Il celibato sacerdotale vissuto con maturità, letizia e dedizione è una grandissima benedizione per la Chiesa e per la stessa società.

Scarsità di clero e pastorale vocazionale

25. A proposito del legame tra sacramento dell’Ordine ed Eucaristia, il Sinodo si è soffermato sulla situazione di disagio che si viene a creare in diverse Diocesi quando ci si trova a dover fare i conti con la scarsità di sacerdoti. Ciò accade non solo in alcune zone di prima evangelizzazione, ma anche in molti Paesi di lunga tradizione cristiana. Certamente giova alla soluzione del problema una più equa distribuzione del clero. Occorre dunque un lavoro di sensibilizzazione capillare. I Vescovi coinvolgano nelle necessità pastorali gli Istituti di Vita Consacrata e le nuove realtà ecclesiali, nel rispetto del carisma loro proprio, e sollecitino tutti i membri del clero a una più grande disponibilità per servire la Chiesa là dove ve ne sia bisogno, anche a costo di sacrificio[78]. Inoltre, all’interno del Sinodo si è anche discusso sulle attenzioni pastorali da mettere in atto per favorire, soprattutto nei giovani, l’apertura interiore alla vocazione sacerdotale. Tale situazione non può trovare soluzione in semplici accorgimenti pragmatici. Si deve evitare che i Vescovi, spinti da pur comprensibili preoccupazioni funzionali per la mancanza di clero, non svolgano un adeguato discernimento vocazionale e ammettano alla formazione specifica e all’ordinazione candidati che non possiedono le caratteristiche necessarie per il servizio sacerdotale[79]. Un clero non sufficientemente formato, ammesso all’ordinazione senza il doveroso discernimento, difficilmente potrà offrire una testimonianza atta a suscitare in altri il desiderio di corrispondere con generosità alla chiamata di Cristo. La pastorale vocazionale, in realtà, deve coinvolgere tutta la comunità cristiana in ogni suo ambito[80]. Ovviamente, in questo capillare lavoro pastorale è inclusa anche l’opera di sensibilizzazione delle famiglie, spesso indifferenti se non addirittura contrarie all’ipotesi della vocazione sacerdotale. Si aprano con generosità al dono della vita ed educhino i figli ad essere disponibili alla volontà di Dio. In sintesi, occorre soprattutto avere il coraggio di proporre ai giovani la radicalità della sequela di Cristo mostrandone il fascino.

Gratitudine e speranza

26. Infine, è necessario avere maggiore fede e speranza nella iniziativa divina. Anche se in alcune regioni si registra scarsità di clero, non deve mai venire meno la fiducia che Cristo continui a suscitare uomini, i quali, abbandonata ogni altra occupazione, si dedichino totalmente alla celebrazione dei sacri misteri, alla predicazione del Vangelo e al ministero pastorale. In questa circostanza desidero dare voce alla gratitudine della Chiesa intera per tutti i Vescovi e i presbiteri, che svolgono con fedele dedizione ed impegno la propria missione. Naturalmente il ringraziamento della Chiesa va anche ai diaconi, cui sono imposte le mani «non per il sacerdozio ma per il servizio»[81]. Come ha raccomandato l’Assemblea del Sinodo, uno speciale grazie rivolgo ai presbiteri fidei donum, che con competenza e generosa dedizione edificano la comunità annunciandole la Parola di Dio e spezzando il Pane della vita, senza risparmiare energie nel servizio alla missione della Chiesa[82]. Occorre ringraziare Dio per i tanti sacerdoti che hanno sofferto fino al sacrificio della vita per servire Cristo. In essi si rivela con l’eloquenza dei fatti che cosa significhi essere sacerdote sino in fondo. Si tratta di testimonianze commoventi che possono ispirare tanti giovani a seguire a loro volta Cristo ed a spendere la loro vita per gli altri, trovando proprio così la vita vera.

V. Eucaristia e Matrimonio

Eucaristia, sacramento sponsale

27. L’Eucaristia, sacramento della carità, mostra un particolare rapporto con l’amore tra l’uomo e la donna, uniti in matrimonio. Approfondire questo legame è una necessità propria del nostro tempo[83]. Il Papa Giovanni Paolo II ha avuto più volte l’occasione di affermare il carattere sponsale dell’Eucaristia ed il suo rapporto peculiare con il sacramento del Matrimonio: «L’Eucaristia è il sacramento della nostra redenzione. È il sacramento dello Sposo, della Sposa»[84]. Del resto, «tutta la vita cristiana porta il segno dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa. Già il Battesimo, che introduce nel Popolo di Dio, è un mistero nuziale: è per così dire il lavacro delle nozze che precede il banchetto delle nozze, l’Eucaristia»[85]. L’Eucaristia corrobora in modo inesauribile l’unità e l’amore indissolubili di ogni Matrimonio cristiano. In esso, in forza del sacramento, il vincolo coniugale è intrinsecamente connesso all’unità eucaristica tra Cristo sposo e la Chiesa sposa (cfr. Ef 5,31-32). Il reciproco consenso che marito e moglie si scambiano in Cristo, e che li costituisce in comunità di vita e di amore, ha anch’esso una dimensione eucaristica. Infatti, nella teologia paolina, l’amore sponsale è segno sacramentale dell’amore di Cristo per la sua Chiesa, un amore che ha il suo punto culminante nella Croce, espressione delle sue «nozze» con l’umanità e, al contempo, origine e centro dell’Eucaristia. Per questo la Chiesa manifesta una particolare vicinanza spirituale a tutti coloro che hanno fondato la loro famiglia sul sacramento del Matrimonio[86]. La famiglia — Chiesa domestica[87] — è un ambito primario della vita della Chiesa, specialmente per il ruolo decisivo nei confronti dell’educazione cristiana dei figli[88]. In questo contesto il Sinodo ha raccomandato anche di riconoscere la singolare missione della donna nella famiglia e nella società, una missione che va difesa, salvaguardata e promossa[89]. Il suo essere sposa e madre costituisce una realtà imprescindibile che non deve mai essere svilita.

Eucaristia e unicità del matrimonio

28. È propriamente alla luce di questa relazione intrinseca tra matrimonio, famiglia ed Eucaristia che è possibile considerare alcuni problemi pastorali. Il legame fedele, indissolubile ed esclusivo che unisce Cristo e la Chiesa, e che trova espressione sacramentale nell’Eucaristia, si incontra con il dato antropologico originario per cui l’uomo deve essere unito in modo definitivo ad una sola donna e viceversa (cfr. Gn 2,24; Mt 19,5). In questo orizzonte di pensieri, il Sinodo dei Vescovi ha affrontato il tema della prassi pastorale nei confronti di chi incontra l’annuncio del Vangelo provenendo da culture in cui è praticata la poligamia. Coloro che si trovano in una tale situazione e che si aprono alla fede cristiana devono essere aiutati ad integrare il loro progetto umano nella novità radicale di Cristo. Nel percorso di catecumenato, Cristo li raggiunge nella loro condizione specifica e li chiama alla piena verità dell’amore passando attraverso le rinunce necessarie, in vista della comunione ecclesiale perfetta. La Chiesa li accompagna con una pastorale piena di dolcezza e insieme di fermezza[90], soprattutto mostrando loro la luce che dai misteri cristiani si riverbera sulla natura e sugli affetti umani.

Eucaristia e indissolubilità del matrimonio

29. Se l’Eucaristia esprime l’irreversibilità dell’amore di Dio in Cristo per la sua Chiesa, si comprende perché essa implichi, in relazione al sacramento del Matrimonio, quella indissolubilità alla quale ogni vero amore non può che anelare[91]. Più che giustificata quindi l’attenzione pastorale che il Sinodo ha riservato alle situazioni dolorose in cui si trovano non pochi fedeli che, dopo aver celebrato il sacramento del Matrimonio, hanno divorziato e contratto nuove nozze. Si tratta di un problema pastorale spinoso e complesso, una vera piaga dell’odierno contesto sociale che intacca in misura crescente gli stessi ambienti cattolici. I Pastori, per amore della verità, sono obbligati a discernere bene le diverse situazioni, per aiutare spiritualmente nei modi adeguati i fedeli coinvolti[92]. Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr. Mc 10,2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia. I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l’ascolto della Parola di Dio, l’Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l’impegno educativo verso i figli.

Là dove sorgono legittimamente dei dubbi sulla validità del Matrimonio sacramentale contratto, si deve intraprendere quanto è necessario per verificarne la fondatezza. Bisogna poi assicurare, nel pieno rispetto del diritto canonico[93], la presenza sul territorio dei tribunali ecclesiastici, il loro carattere pastorale, la loro corretta e pronta attività[94]. Occorre che in ogni Diocesi ci sia un numero sufficiente di persone preparate per il sollecito funzionamento dei tribunali ecclesiastici. Ricordo che «è un obbligo grave quello di rendere l’operato istituzionale della Chiesa nei tribunali sempre più vicino ai fedeli»[95]. È necessario, tuttavia, evitare di intendere la preoccupazione pastorale come se fosse in contrapposizione col diritto. Si deve piuttosto partire dal presupposto che fondamentale punto d’incontro fra diritto e pastorale è l’amore per la verità: questa infatti non è mai astratta, ma «si integra nell’itinerario umano e cristiano di ogni fedele»[96]. Infine, là dove non viene riconosciuta la nullità del vincolo matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia questi fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della legge di Dio, come amici, come fratello e sorella; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni previste dalla provata prassi ecclesiale. Tale cammino, perché sia possibile e porti frutti, deve essere sostenuto dall’aiuto dei pastori e da adeguate iniziative ecclesiali, evitando, in ogni caso, di benedire queste relazioni, perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del Matrimonio[97].

Data la complessità del contesto culturale in cui vive la Chiesa in molti Paesi, il Sinodo ha, poi, raccomandato di avere la massima cura pastorale nella formazione dei nubendi e nella previa verifica delle loro convinzioni circa gli impegni irrinunciabili per la validità del sacramento del Matrimonio. Un serio discernimento a questo riguardo potrà evitare che impulsi emotivi o ragioni superficiali inducano i due giovani ad assumere responsabilità che non sapranno poi onorare[98]. Troppo grande è il bene che la Chiesa e l’intera società s’attendono dal matrimonio e dalla famiglia su di esso fondata per non impegnarsi a fondo in questo specifico ambito pastorale. Matrimonio e famiglia sono istituzioni che devono essere promosse e difese da ogni possibile equivoco sulla loro verità, perché ogni danno arrecato ad esse è di fatto una ferita che si arreca alla convivenza umana come tale.

Eucaristia ed Escatologia

Eucaristia: dono all’uomo in cammino

30. Se è vero che i Sacramenti sono una realtà che appartiene alla Chiesa pellegrinante nel tempo[99] verso la piena manifestazione della vittoria di Cristo risorto, è tuttavia altrettanto vero che, specialmente nella liturgia eucaristica, ci è dato di pregustare il compimento escatologico verso cui ogni uomo e tutta la creazione sono in cammino (cfr. Rm 8,19 ss.). L’uomo è creato per la felicità vera ed eterna, che solo l’amore di Dio può dare. Ma la nostra libertà ferita si smarrirebbe, se non fosse possibile già fin d’ora sperimentare qualcosa del compimento futuro. Del resto, ogni uomo per poter camminare nella direzione giusta ha bisogno di essere orientato verso il traguardo finale. Questa meta ultima, in realtà, è lo stesso Cristo Signore vincitore del peccato e della morte, che si rende presente a noi in modo speciale nella Celebrazione eucaristica. Così, pur essendo noi ancora «stranieri e pellegrini» (1 Pt 2,11) in questo mondo, nella fede già partecipiamo alla pienezza della vita risorta. Il banchetto eucaristico, rivelando la sua dimensione fortemente escatologica, viene in aiuto alla nostra libertà in cammino.

Il banchetto escatologico

31. Riflettendo su questo mistero, possiamo dire che con la sua venuta Gesù si è posto in rapporto con l’attesa presente nel popolo di Israele, nell’intera umanità ed in fondo nella stessa creazione. Con il dono di se stesso, Egli ha obiettivamente inaugurato il tempo escatologico. Cristo è venuto per chiamare a raccolta il Popolo di Dio disperso (cfr. Gv 11,52), manifestando chiaramente l’intenzione di radunare la comunità dell’alleanza, per portare a compimento le promesse di Dio fatte agli antichi padri (cfr. Ger 23,3; 31,10; Lc 1,55.70). Nella chiamata dei Dodici, da porre in relazione con le dodici tribù di Israele, e nel mandato loro affidato nell’Ultima Cena, prima della sua Passione redentrice, di celebrare il suo memoriale, Gesù ha mostrato di voler trasferire all’intera comunità da Lui fondata il compito di essere, nella storia, segno e strumento del raduno escatologico, in Lui iniziato. Pertanto, in ogni Celebrazione eucaristica si realizza sacramentalmente il radunarsi escatologico del Popolo di Dio. Il banchetto eucaristico è per noi reale anticipazione del banchetto finale, preannunziato dai Profeti (cfr. Is 25,6-9) e descritto nel Nuovo Testamento come «le nozze dell’Agnello» (Ap 19,7.9), da celebrarsi nella gioia della comunione dei santi[100].

Preghiera per i defunti

32. La Celebrazione eucaristica, nella quale annunciamo la morte del Signore, proclamiamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta, è pegno della gloria futura in cui anche i nostri corpi saranno glorificati. Celebrando il Memoriale della nostra salvezza si rafforza in noi la speranza della risurrezione della carne e della possibilità di incontrare di nuovo, a faccia a faccia, coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede. In questo orizzonte, insieme ai Padri sinodali, vorrei ricordare a tutti i fedeli l’importanza della preghiera di suffragio per i defunti, in particolare della celebrazione di sante Messe per loro[101], affinché, purificati, possano giungere alla visione beatifica di Dio. Riscoprendo la dimensione escatologica insita nell’Eucaristia, celebrata ed adorata, siamo così sostenuti nel nostro cammino e confortati nella speranza della gloria (cfr. Rm 5,2; Tt 2,13).

L’Eucaristia e la Vergine Maria

33. Dalla relazione tra l’Eucaristia e i singoli Sacramenti, e dal significato escatologico dei santi Misteri emerge nel suo insieme il profilo dell’esistenza cristiana, chiamata ad essere in ogni istante culto spirituale, offerta di se stessa gradita a Dio. E se è vero che noi tutti siamo ancora in cammino verso il pieno compimento della nostra speranza, questo non toglie che si possa già ora con gratitudine riconoscere che quanto Dio ci ha donato trova perfetta realizzazione nella Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra: la sua Assunzione al cielo in corpo ed anima è per noi segno di sicura speranza, in quanto indica a noi, pellegrini nel tempo, quella meta escatologica che il sacramento dell’Eucaristia ci fa fin d’ora pregustare.

In Maria Santissima vediamo perfettamente attuata anche la modalità sacramentale con cui Dio raggiunge e coinvolge nella sua iniziativa salvifica la creatura umana. Dall’Annunciazione alla Pentecoste, Maria di Nazaret appare come la persona la cui libertà è totalmente disponibile alla volontà di Dio. La sua Immacolata Concezione si rivela propriamente nella docilità incondizionata alla Parola divina. La fede obbediente è la forma che la sua vita assume in ogni istante di fronte all’azione di Dio. Vergine in ascolto, ella vive in piena sintonia con la volontà divina; serba nel suo cuore le parole che le vengono da Dio e, componendole come in un mosaico, impara a comprenderle più a fondo (cfr. Lc 2,19.51); Maria è la grande Credente che, piena di fiducia, si mette nelle mani di Dio, abbandonandosi alla sua volontà[102]. Tale mistero si intensifica fino ad arrivare al pieno coinvolgimento nella missione redentrice di Gesù. Come ha affermato il Concilio Vaticano II, «la beata Vergine avanzò nella pellegrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette (cfr. Gv 19,25) soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di Lui, amorosamente consenziente all’immolazione della vittima da lei generata; e finalmente, dallo stesso Gesù morente in croce fu data quale madre al discepolo con queste parole: Donna, ecco tuo figlio»[103]. Dall’Annunciazione fino alla Croce, Maria è colei che accoglie la Parola fattasi carne in lei e giunta fino ad ammutolire nel silenzio della morte. È lei, infine, che riceve nelle sue braccia il corpo donato, ormai esanime, di Colui che davvero ha amato i suoi «sino alla fine» (Gv 13,1).

Per questo, ogni volta che nella liturgia eucaristica ci accostiamo al Corpo e al Sangue di Cristo, ci rivolgiamo anche a Lei che, aderendovi pienamente, ha accolto per tutta la Chiesa il sacrificio di Cristo. Giustamente i Padri sinodali hanno affermato che «Maria inaugura la partecipazione della Chiesa al sacrificio del Redentore»[104]. Ella è l’Immacolata che accoglie incondizionatamente il dono di Dio e, in tal modo, viene associata all’opera della salvezza. Maria di Nazaret, icona della Chiesa nascente, è il modello di come ciascuno di noi è chiamato ad accogliere il dono che Gesù fa di se stesso nell’Eucaristia.

Seconda parte

Eucaristia, mistero da celebrare

«In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo,

ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero»(Gv 6,32)

Lex orandi e lex credendi

34. Il Sinodo dei Vescovi ha riflettuto molto sulla relazione intrinseca tra fede eucaristica e celebrazione, mettendo in evidenza il nesso tra lex orandi e lex credendi e sottolineando il primato dell’azione liturgica. È necessario vivere l’Eucaristia come mistero della fede autenticamente celebrato, nella chiara consapevolezza che «l’intellectus fidei è sempre originariamente in rapporto con l’azione liturgica della Chiesa»[105]. In questo ambito, la riflessione teologica non può mai prescindere dall’ordine sacramentale istituito da Cristo stesso. Dall’altra parte, l’azione liturgica non può mai essere considerata genericamente, a prescindere dal mistero della fede. La sorgente della nostra fede e della liturgia eucaristica, infatti, è il medesimo evento: il dono che Cristo ha fatto di se stesso nel Mistero pasquale.

Bellezza e liturgia

35. Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor. Nella liturgia rifulge il Mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione. In Gesù, come soleva dire san Bonaventura, contempliamo la bellezza e il fulgore delle origini[106]. Tale attributo cui facciamo riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore[107]. Già nella creazione Dio si lascia intravedere nella bellezza e nell’armonia del cosmo (cfr. Sap 13,5; Rm 1,19-20). Nell’Antico Testamento poi troviamo ampi segni del fulgore della potenza di Dio, che si manifesta con la sua gloria attraverso i prodigi operati in mezzo al popolo eletto (cfr. Es 14; 16,10; 24,12-18; Nm 14,20-23). Nel Nuovo Testamento si compie definitivamente questa epifania di bellezza nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo[108]: Egli è la piena manifestazione della gloria divina. Nella glorificazione del Figlio risplende e si comunica la gloria del Padre (cfr. Gv 1,14; 8,54; 12,28; 17,1). Tuttavia, questa bellezza non è una semplice armonia di forme; «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45 [44],3) è anche misteriosamente colui che «non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi» (Is 53,2). Gesù Cristo ci mostra come la verità dell’amore sa trasfigurare anche l’oscuro mistero della morte nella luce irradiante della risurrezione. Qui il fulgore della gloria di Dio supera ogni bellezza intramondana. La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale.

La bellezza della liturgia è parte di questo mistero; essa è espressione altissima della gloria di Dio e costituisce, in un certo senso, un affacciarsi del Cielo sulla terra. Il memoriale del sacrificio redentore porta in se stesso i tratti di quella bellezza di Gesù di cui Pietro, Giacomo e Giovanni ci hanno dato testimonianza, quando il Maestro, in cammino verso Gerusalemme, volle trasfigurarsi davanti a loro (cfr. Mc 9,2). La bellezza, pertanto, non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione. Tutto ciò deve renderci consapevoli di quale attenzione si debba avere perché l’azione liturgica risplenda secondo la sua natura propria.

La Celebrazione eucaristica opera del «Christus totus»

Christus totus in capite et in corpore

36. La bellezza intrinseca della liturgia ha come soggetto proprio il Cristo risorto e glorificato nello Spirito Santo, che include la Chiesa nel suo agire[109]. In questa prospettiva è assai suggestivo richiamare alla mente le parole di sant’Agostino che in modo efficace descrivono questa dinamica di fede propria dell’Eucaristia. Il grande Santo di Ippona, proprio in riferimento al Mistero eucaristico, mette in rilievo come Cristo stesso ci assimili a sé: «Quel pane che voi vedete sull’altare, santificato con la parola di Dio, è il corpo di Cristo. Il calice, o meglio quel che il calice contiene, santificato con le parole di Dio, è sangue di Cristo. Con questi [segni] Cristo Signore ha voluto affidarci il suo corpo e il suo sangue, che ha sparso per noi per la remissione dei peccati. Se voi li avete ricevuti bene, voi stessi siete quel che avete ricevuto»[110]. Pertanto «non soltanto siamo diventati cristiani, ma siamo diventati Cristo stesso»[111]. Da qui possiamo contemplare la misteriosa azione di Dio che comporta l’unità profonda tra noi e il Signore Gesù: «Non bisogna credere infatti che il Cristo sia nel capo senza essere anche nel corpo, ma egli è tutto intero nel capo e nel corpo»[112].

Eucaristia e Cristo risorto

37. Poiché la liturgia eucaristica è essenzialmente actio Dei che ci coinvolge in Gesù per mezzo dello Spirito, il suo fondamento non è a disposizione del nostro arbitrio e non può subire il ricatto delle mode del momento. Anche qui vale l’irrefragabile affermazione di san Paolo: «Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» (1 Cor 3,11). È ancora l’Apostolo delle genti ad assicurarci che, in riferimento all’Eucaristia, egli non ci comunica una sua personale dottrina, ma quello che a sua volta ha ricevuto (cfr. 1 Cor 11,23). La celebrazione dell’Eucaristia implica, infatti, la Tradizione viva. La Chiesa celebra il Sacrificio eucaristico in obbedienza al comando di Cristo, a partire dall’esperienza del Risorto e dall’effusione dello Spirito Santo. Per questo motivo, la comunità cristiana, fin dagli inizi, si riunisce per la fractio panis nel Giorno del Signore. Il giorno in cui Cristo è risorto dai morti, la Domenica, è anche il primo giorno della settimana, quello in cui la tradizione veterotestamentaria vedeva l’inizio della creazione. Il giorno della creazione è ora diventato il giorno della «creazione nuova», il giorno della nostra liberazione nel quale facciamo memoria di Cristo morto e risorto[113].

Ars celebrandi

38. Nei lavori sinodali è stata più volte raccomandata la necessità di superare ogni possibile separazione tra l’ars celebrandi, cioè l’arte di celebrare rettamente, e la partecipazione piena, attiva e fruttuosa di tutti i fedeli. In effetti, il primo modo con cui si favorisce la partecipazione del Popolo di Dio al Rito sacro è la celebrazione adeguata del Rito stesso. L’ars celebrandi è la migliore condizione per l’actuosa participatio[114]. L’ars celebrandi scaturisce dall’obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la celebrazione in quanto Popolo di Dio, sacerdozio regale, nazione santa (cfr. 1 Pt 2,4-5.9)[115].

Il Vescovo, liturgo per eccellenza

39. Se è vero che tutto il Popolo di Dio partecipa alla liturgia eucaristica, tuttavia in relazione alla corretta ars celebrandi un compito imprescindibile spetta a coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine. Vescovi, sacerdoti e diaconi, ciascuno secondo il proprio grado, devono considerare la celebrazione come loro principale dovere[116]. Innanzitutto il Vescovo diocesano: egli infatti, quale «primo dispensatore dei misteri di Dio nella Chiesa particolare a lui affidata, è la guida, il promotore e il custode di tutta la vita liturgica»[117]. Tutto ciò è decisivo per la vita della Chiesa particolare non solo in quanto la comunione con il Vescovo è la condizione perché ogni celebrazione sul territorio sia legittima, ma anche perché egli stesso è il liturgo per eccellenza della propria Chiesa[118]. A lui spetta salvaguardare la concorde unità delle celebrazioni nella sua Diocesi. Pertanto deve essere «impegno del Vescovo fare in modo che i presbiteri, i diaconi e i fedeli comprendano sempre più il senso autentico dei riti e dei testi liturgici e così siano condotti ad un’attiva e fruttuosa celebrazione dell’Eucaristia»[119]. In particolare, esorto a fare quanto è necessario perché le celebrazioni liturgiche svolte dal Vescovo nella Chiesa cattedrale avvengano nel pieno rispetto dell’ars celebrandi, in modo che possano essere considerate come modello da tutte le chiese sparse sul territorio[120].

Il rispetto dei libri liturgici e della ricchezza dei segni

40. Sottolineando l’importanza dell’ars celebrandi, si pone in luce di conseguenza il valore delle norme liturgiche[121]. L’ars celebrandi deve favorire il senso del sacro e l’utilizzo di quelle forme esteriori che educano a tale senso, come, ad esempio, l’armonia del rito, delle vesti liturgiche, dell’arredo e del luogo sacro. La celebrazione eucaristica trova giovamento là dove i sacerdoti e i responsabili della pastorale liturgica si impegnano a fare conoscere i vigenti libri liturgici e le relative norme, mettendo in evidenza le grandi ricchezze dell’Ordinamento Generale del Messale Romano e dell’Ordinamento delle Letture della Messa. Nelle comunità ecclesiali si dà forse per scontata la loro conoscenza ed il loro giusto apprezzamento, ma spesso così non è. In realtà, sono testi in cui sono contenute ricchezze che custodiscono ed esprimono la fede e il cammino del Popolo di Dio lungo i due millenni della sua storia. Altrettanto importante per una giusta ars celebrandi è l’attenzione verso tutte le forme di linguaggio previste dalla liturgia: parola e canto, gesti e silenzi, movimento del corpo, colori liturgici dei paramenti. La liturgia, in effetti, possiede per sua natura una varietà di registri di comunicazione che le consentono di mirare al coinvolgimento di tutto l’essere umano. La semplicità dei gesti e la sobrietà dei segni posti nell’ordine e nei tempi previsti comunicano e coinvolgono di più che l’artificiosità di aggiunte inopportune. L’attenzione e l’obbedienza alla struttura propria del rito, mentre esprimono il riconoscimento del carattere di dono dell’Eucaristia, manifestano la volontà del ministro di accogliere con docile gratitudine tale ineffabile dono.

Arte al servizio della celebrazione

41. Il legame profondo tra la bellezza e la liturgia deve farci considerare con attenzione tutte le espressioni artistiche poste al servizio della celebrazione[122]. Una componente importante dell’arte sacra è certamente l’architettura delle chiese[123], nelle quali deve risaltare l’unità tra gli elementi propri del presbiterio: altare, crocifisso, tabernacolo, ambone, sede. A tale proposito si deve tenere presente che lo scopo dell’architettura sacra è di offrire alla Chiesa che celebra i misteri della fede, in particolare l’Eucaristia, lo spazio più adatto all’adeguato svolgimento della sua azione liturgica[124]. Infatti, la natura del tempio cristiano è definita dall’azione liturgica stessa, che implica il radunarsi dei fedeli (ecclesia), i quali sono le pietre vive del tempio (cfr. 1 Pt 2,5).

Lo stesso principio vale per tutta l’arte sacra in genere, specialmente la pittura e la scultura, nelle quali l’iconografia religiosa deve essere orientata alla mistagogia sacramentale. Un’approfondita conoscenza delle forme che l’arte sacra ha saputo produrre lungo i secoli può essere di grande aiuto per coloro che, di fronte ad architetti ed artisti, hanno la responsabilità della committenza di opere artistiche legate all’azione liturgica. Perciò è indispensabile che nella formazione dei seminaristi e dei sacerdoti sia inclusa, come disciplina importante, la storia dell’arte con speciale riferimento agli edifici di culto alla luce delle norme liturgiche. In definitiva, è necessario che in tutto quello che riguarda l’Eucaristia vi sia gusto per la bellezza. Rispetto e cura dovranno aversi anche per i paramenti, gli arredi, i vasi sacri, affinché, collegati in modo organico e ordinato tra loro, alimentino lo stupore per il mistero di Dio, manifestino l’unità della fede e rafforzino la devozione[125].

Il canto liturgico

42. Nell’ars celebrandi un posto di rilievo viene occupato dal canto liturgico[126]. A ragione sant’Agostino in un suo famoso sermone afferma: «L’uomo nuovo sa qual è il cantico nuovo. Il cantare è espressione di gioia e, se pensiamo a ciò con un po’ più di attenzione, è espressione di amore»[127]. Il Popolo di Dio radunato per la celebrazione canta le lodi di Dio. La Chiesa, nella sua bimillenaria storia, ha creato, e continua a creare, musica e canti che costituiscono un patrimonio di fede e di amore che non deve andare perduto. Davvero, in liturgia non possiamo dire che un canto vale l’altro. A tale proposito, occorre evitare la generica improvvisazione o l’introduzione di generi musicali non rispettosi del senso della liturgia. In quanto elemento liturgico, il canto deve integrarsi nella forma propria della celebrazione[128]. Di conseguenza tutto — nel testo, nella melodia, nell’esecuzione — deve corrispondere al senso del mistero celebrato, alle parti del rito e ai tempi liturgici[129]. Infine, pur tenendo conto dei diversi orientamenti e delle differenti tradizioni assai lodevoli, desidero, come è stato chiesto dai Padri sinodali, che venga adeguatamente valorizzato il canto gregoriano[130], in quanto canto proprio della liturgia romana[131].

La struttura della celebrazione eucaristica

43. Dopo aver ricordato gli elementi portanti dell’ars celebrandi emersi nei lavori sinodali, vorrei richiamare l’attenzione più specificamente su alcune parti della struttura della Celebrazione eucaristica, che nel nostro tempo necessitano di una particolare cura, al fine di restare fedeli all’intenzione profonda del rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II, in continuità con tutta la grande tradizione ecclesiale.

Unità intrinseca dell’azione liturgica

44. Prima di tutto è necessario riflettere sull’unità intrinseca del rito della santa Messa. Bisogna evitare che, sia nelle catechesi sia nella modalità di celebrazione, si dia adito ad una visione giustapposta delle due parti del rito. Liturgia della Parola e liturgia eucaristica - oltre ai riti di introduzione e di conclusione - «sono così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto»[132]. Infatti, esiste un legame intrinseco tra la Parola di Dio e l’Eucaristia. Ascoltando la Parola di Dio nasce o si rafforza la fede (cfr. Rm 10,17); nell’Eucaristia il Verbo fatto carne si dà a noi come cibo spirituale[133]. Così «dalle due mense della Parola di Dio e del Corpo di Cristo la Chiesa riceve ed offre ai fedeli il Pane di vita»[134]. Pertanto, si deve costantemente tener presente che la Parola di Dio, dalla Chiesa letta e annunziata nella liturgia, conduce all’Eucaristia come al suo fine connaturale.

La liturgia della Parola

45. Insieme al Sinodo, chiedo che la liturgia della Parola sia sempre debitamente preparata e vissuta. Pertanto, raccomando vivamente che nelle liturgie si ponga grande attenzione alla proclamazione della Parola di Dio da parte di lettori ben preparati. Non dimentichiamo mai che «quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua Parola, annunzia il Vangelo»[135]. Se le circostanze lo rendono opportuno, si può pensare a poche parole di introduzione che aiutino i fedeli a prenderne rinnovata coscienza. La Parola di Dio per essere ben compresa deve essere ascoltata ed accolta con spirito ecclesiale e nella consapevolezza della sua unità con il Sacramento eucaristico. Infatti, la Parola che annunciamo ed ascoltiamo è il Verbo fatto carne (cfr. Gv 1,14) ed ha un intrinseco riferimento alla persona di Cristo e alla modalità sacramentale della sua permanenza. Cristo non parla nel passato ma nel nostro presente, come Egli è presente nell’azione liturgica. In questo orizzonte sacramentale della rivelazione cristiana[136], la conoscenza e lo studio della Parola di Dio ci permettono di apprezzare, celebrare e vivere meglio l’Eucaristia. Anche qui si rivela in tutta la sua verità l’affermazione secondo cui «l’ignoranza della Scrittura è ignoranza di Cristo»[137].

A questo scopo è necessario che i fedeli siano aiutati ad apprezzare i tesori della Sacra Scrittura presenti nel lezionario attraverso iniziative pastorali, celebrazioni della Parola e la lettura orante (lectio divina). Inoltre, non si dimentichi di promuovere le forme di preghiera confermate dalla tradizione: la liturgia delle Ore, soprattutto le Lodi, i Vespri, la Compieta e anche le celebrazioni vigiliari. La preghiera dei Salmi, le letture bibliche e quelle della grande tradizione presentate nell’Ufficio divino possono condurre ad un’approfondita esperienza dell’avvenimento di Cristo e dell’economia della salvezza, che a sua volta può arricchire la comprensione e la partecipazione alla Celebrazione eucaristica[138].

L’omelia

46. In relazione all’importanza della Parola di Dio si pone la necessità di migliorare la qualità dell’omelia. Essa infatti «è parte dell’azione liturgica»[139]; ha il compito di favorire una più piena comprensione ed efficacia della Parola di Dio nella vita dei fedeli. Per questo i ministri ordinati devono «preparare accuratamente l’omelia, basandosi su una conoscenza adeguata della Sacra Scrittura»[140]. Si evitino omelie generiche o astratte. In particolare, chiedo ai ministri di fare in modo che l’omelia ponga la Parola di Dio proclamata in stretta relazione con la celebrazione sacramentale[141] e con la vita della comunità, in modo tale che la Parola di Dio sia realmente sostegno e vita della Chiesa[142]. Si tenga presente, pertanto, lo scopo catechetico ed esortativo dell’omelia. Si ritiene opportuno che, partendo dal lezionario triennale, siano sapientemente proposte ai fedeli omelie tematiche che, lungo l’anno liturgico, trattino i grandi temi della fede cristiana, attingendo a quanto proposto autorevolmente dal Magistero nei quattro “pilastri” del Catechismo della Chiesa Cattolica e nel recente Compendio: la professione della fede, la celebrazione del mistero cristiano, la vita in Cristo, la preghiera cristiana[143].

Presentazione dei doni

47. I Padri sinodali hanno richiamato l’attenzione anche sulla presentazione dei doni. Non si tratta semplicemente di un sorta di «intervallo» tra la liturgia della Parola e quella eucaristica. Ciò farebbe venir meno, tra l’altro, il senso dell’unico rito composto di due parti connesse. In questo gesto umile e semplice si manifesta, in realtà, un significato molto grande: nel pane e nel vino che portiamo all’altare tutta la creazione è assunta da Cristo Redentore per essere trasformata e presentata al Padre[144]. In questa prospettiva portiamo all’altare anche tutta la sofferenza e il dolore del mondo, nella certezza che tutto è prezioso agli occhi di Dio. Questo gesto, per essere vissuto nel suo autentico significato, non ha bisogno di essere enfatizzato con complicazioni inopportune. Esso permette di valorizzare l’originaria partecipazione che Dio chiede all’uomo per portare a compimento l’opera divina in lui e dare in tal modo senso pieno al lavoro umano, che attraverso la Celebrazione eucaristica viene unito al sacrificio redentore di Cristo.

La preghiera eucaristica

48. La preghiera eucaristica è «momento centrale e culminante dell’intera celebrazione»[145]. La sua importanza merita di essere adeguatamente sottolineata. Le differenti preghiere eucaristiche contenute nel Messale ci sono tramandate dalla Tradizione viva della Chiesa e si distinguono per una ricchezza teologica e spirituale inesauribile. I fedeli devono essere messi in grado di apprezzarla. L’Ordinamento Generale del Messale Romano ci aiuta in questo ricordandoci gli elementi fondamentali di ogni preghiera eucaristica: azione di grazie, acclamazione, epiclesi, racconto dell’istituzione, consacrazione, anamnesi, offerta, intercessione e dossologia conclusiva[146]. In particolare, la spiritualità eucaristica e la riflessione teologica vengono illuminate se si contempla la profonda unità nell’anafora tra l’invocazione dello Spirito Santo e il racconto dell’istituzione[147], in cui «si compie il sacrificio che Cristo stesso istituì nell’Ultima Cena»[148]. Infatti, «la Chiesa implora con speciali invocazioni la potenza dello Spirito Santo, perché i doni offerti dagli uomini siano consacrati, cioè diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, e perché la vittima immacolata, che si riceve nella Comunione, giovi per la salvezza di coloro che vi parteciperanno»[149].

Scambio della pace

49. L’Eucaristia è per sua natura Sacramento della pace.

Questa dimensione del Mistero eucaristico trova nella Celebrazione liturgica specifica espressione nel rito dello scambio della pace. Si tratta indubbiamente di un segno di grande valore (cfr. Gv 14,27). Nel nostro tempo, così spaventosamente carico di conflitti, questo gesto acquista, anche dal punto di vista della sensibilità comune, un particolare rilievo in quanto la Chiesa avverte sempre più come compito proprio quello di implorare dal Signore il dono della pace e dell’unità per se stessa e per l’intera famiglia umana. La pace è certamente un anelito insopprimibile, presente nel cuore di ciascuno. La Chiesa si fa voce della domanda di pace e di riconciliazione che sale dall’animo di ogni persona di buona volontà, rivolgendola a Colui che «è la nostra pace» (Ef 2,14) e che può rappacificare popoli e persone, anche dove falliscono i tentativi umani. Da tutto ciò si comprende l’intensità con cui spesso il rito della pace è sentito nella Celebrazione liturgica. A questo proposito, tuttavia, durante il Sinodo dei Vescovi è stata rilevata l’opportunità di moderare questo gesto, che può assumere espressioni eccessive, suscitando qualche confusione nell’assemblea proprio prima della Comunione. È bene ricordare come non tolga nulla all’alto valore del gesto la sobrietà necessaria a mantenere un clima adatto alla celebrazione, per esempio facendo in modo di limitare lo scambio della pace a chi sta più vicino[150].

Distribuzione e ricezione dell’Eucaristia

50. Un altro momento della celebrazione a cui è necessario accennare è la distribuzione e la ricezione della santa Comunione. Chiedo a tutti, in particolare ai ministri ordinati e a coloro che, adeguatamente preparati, in caso di reale necessità, vengono autorizzati al ministero della distribuzione dell’Eucaristia, di fare il possibile perché il gesto nella sua semplicità corrisponda al suo valore di incontro personale con il Signore Gesù nel Sacramento. Per quanto riguarda le prescrizioni per la corretta prassi rimando ai documenti recentemente emanati[151]. Tutte le comunità cristiane si attengano fedelmente alle norme vigenti, vedendo in esse l’espressione della fede e dell’amore che tutti dobbiamo avere nei confronti di questo sublime Sacramento. Inoltre, non venga trascurato il tempo prezioso del ringraziamento dopo la Comunione: oltre all’esecuzione di un canto opportuno, assai utile può essere anche il rimanere raccolti in silenzio[152].

A questo proposito, vorrei richiamare l’attenzione ad un problema pastorale in cui frequentemente accade di imbattersi nel nostro tempo. Mi riferisco al fatto che in alcune circostanze, come ad esempio nelle sante Messe celebrate in occasione di matrimoni, funerali o eventi analoghi, sono presenti alla celebrazione, oltre ai fedeli praticanti, anche altri che magari da anni non si accostano all’altare, o forse si trovano in una situazione di vita che non permette l’accesso ai Sacramenti. Altre volte capita che siano presenti persone di altre confessioni cristiane o addirittura di altre religioni. Circostanze simili si verificano anche in chiese che sono meta di visitatori, soprattutto nelle grandi città d’arte. Si comprende la necessità che si trovino allora modi brevi ed incisivi per richiamare tutti al senso della comunione sacramentale e alle condizioni per la sua ricezione. Laddove vi siano situazioni in cui non sia possibile garantire la doverosa chiarezza sul significato dell’Eucaristia, si deve valutare l’opportunità di sostituire la Celebrazione eucaristica con una celebrazione della Parola di Dio[153].

Il congedo: «Ite, missa est»

51. Infine, vorrei soffermarmi su quanto i Padri sinodali hanno detto circa il saluto di congedo al termine della Celebrazione eucaristica. Dopo la benedizione, il diacono o il sacerdote congeda il popolo con le parole: Ite, missa est. In questo saluto ci è dato di cogliere il rapporto tra la Messa celebrata e la missione cristiana nel mondo. Nell’antichità «missa» significava semplicemente «dimissione». Tuttavia essa ha trovato nell’uso cristiano un significato sempre più profondo. L’espressione «dimissione», in realtà, si trasforma in «missione». Questo saluto esprime sinteticamente la natura missionaria della Chiesa. Pertanto, è bene aiutare il Popolo di Dio ad approfondire questa dimensione costitutiva della vita ecclesiale, traendone spunto dalla liturgia. In questa prospettiva può essere utile disporre di testi, opportunamente approvati, per l’orazione sul popolo e la benedizione finale che esplicitino tale legame[154].

Actuosa participatio

Autentica partecipazione

52. Il Concilio Vaticano II aveva posto giustamente una particolare enfasi sulla partecipazione attiva, piena e fruttuosa dell’intero Popolo di Dio alla Celebrazione eucaristica[155]. Certamente, il rinnovamento attuato in questi anni ha favorito notevoli progressi nella direzione auspicata dai Padri conciliari. Tuttavia, non dobbiamo nasconderci il fatto che a volte si è manifestata qualche incomprensione precisamente circa il senso di questa partecipazione. Conviene pertanto mettere in chiaro che con tale parola non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione. In realtà, l’attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l’esistenza quotidiana. Ancora pienamente valida è la raccomandazione della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, che esortava i fedeli a non assistere alla liturgia eucaristica «come estranei o muti spettatori», ma a partecipare «all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente»[156]. Il Concilio proseguiva sviluppando la riflessione: i fedeli «formati dalla Parola di Dio, si nutrano alla mensa del Corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per mezzo di Cristo Mediatore, siano perfezionati nell’unità con Dio e tra di loro»[157].

Partecipazione e ministero sacerdotale

53. La bellezza e l’armonia dell’azione liturgica trovano una significativa espressione nell’ordine con cui ciascuno è chiamato a partecipare attivamente. Ciò comporta il riconoscimento dei diversi ruoli gerarchici implicati nella celebrazione stessa. È utile ricordare che la partecipazione attiva ad essa non coincide di per sé con lo svolgimento di un ministero particolare. Soprattutto non giova alla causa della partecipazione attiva dei fedeli una confusione che venisse ingenerata dalla incapacità di distinguere, nella comunione ecclesiale, i diversi compiti spettanti a ciascuno[158]. In particolare, è necessario che vi sia chiarezza riguardo ai compiti specifici del sacerdote. Egli è in modo insostituibile, come attesta la tradizione della Chiesa, colui che presiede l’intera Celebrazione eucaristica, dal saluto iniziale alla benedizione finale. In forza dell’Ordine sacro ricevuto, egli rappresenta Gesù Cristo, capo della Chiesa, e, nel modo suo proprio, anche la Chiesa stessa[159]. Ogni celebrazione dell’Eucaristia, infatti, è guidata dal Vescovo, «o personalmente, o per mezzo dei presbiteri suoi collaboratori»[160]. Egli è coadiuvato dal diacono, il quale ha nella celebrazione alcuni compiti specifici: preparare l’altare e prestare servizio al sacerdote, annunciare il Vangelo, eventualmente tenere l’omelia, proporre ai fedeli le intenzioni della preghiera universale, distribuire ai fedeli l’Eucaristia[161]. In relazione a questi ministeri, legati al sacramento dell’Ordine, si pongono anche altri ministeri per il servizio liturgico, lodevolmente svolti da religiosi e laici preparati[162].

Celebrazione eucaristica e inculturazione

54. A partire dalle affermazioni fondamentali del Concilio Vaticano II, è stata sottolineata più volte l’importanza della partecipazione attiva dei fedeli al Sacrificio eucaristico. Per favorire questo coinvolgimento si può fare spazio ad alcuni adattamenti appropriati ai diversi contesti e alle differenti culture[163]. Il fatto che vi siano stati alcuni abusi non oscura la chiarezza di questo principio, che deve essere mantenuto secondo le reali necessità della Chiesa, la quale vive e celebra il medesimo mistero di Cristo in situazioni culturali differenti. Il Signore Gesù, infatti, proprio nel mistero dell’Incarnazione, nascendo da donna come perfetto uomo (cfr. Gal 4,4), si è posto in diretto rapporto non soltanto con le attese presenti all’interno dell’Antico Testamento, ma anche con quelle coltivate da tutti i popoli. Con ciò Egli ha mostrato che Dio intende raggiungerci nel nostro contesto vitale. Pertanto, per una più efficace partecipazione dei fedeli ai santi Misteri è utile la prosecuzione del processo di inculturazione nell’ambito della Celebrazione eucaristica, tenendo conto delle possibilità di adattamento offerte dall’Ordinamento Generale del Messale Romano[164], interpretate alla luce dei criteri fissati dalla IV Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti Varietates legitimae del 25 gennaio 1994[165], e dalle direttive espresse dal Papa Giovanni Paolo II nelle Esortazioni postsinodali Ecclesia in Africa, Ecclesia in America, Ecclesia in Asia, Ecclesia in Oceania, Ecclesia in Europa[166]. A questo scopo raccomando alle Conferenze episcopali di agire favorendo il giusto equilibrio tra criteri e direttive già emanate e nuovi adattamenti[167], sempre in accordo con la Sede Apostolica.

Condizioni personali per una «actuosa participatio»

55. Considerando il tema dell’actuosa participatio dei fedeli al sacro rito, i Padri sinodali hanno dato rilievo anche alle condizioni personali in cui ciascuno deve trovarsi per una fruttuosa partecipazione[168]. Una di queste è certamente lo spirito di costante conversione che deve caratterizzare la vita di tutti i fedeli. Non ci si può aspettare una partecipazione attiva alla liturgia eucaristica, se ci si accosta ad essa superficialmente, senza prima interrogarsi sulla propria vita. Favoriscono tale disposizione interiore, ad esempio, il raccoglimento ed il silenzio, almeno qualche istante prima dell’inizio della liturgia, il digiuno e, quando necessario, la Confessione sacramentale. Un cuore riconciliato con Dio abilita alla vera partecipazione. In particolare, occorre richiamare i fedeli al fatto che un’actuosa participatio ai santi Misteri non può aversi se non si cerca al tempo stesso di prendere parte attivamente alla vita ecclesiale nella sua integralità, che comprende pure l’impegno missionario di portare l’amore di Cristo dentro la società.

Senza dubbio, la piena partecipazione all’Eucaristia si ha quando ci si accosta anche personalmente all’altare per ricevere la Comunione[169]. Tuttavia, si deve fare attenzione a che questa giusta affermazione non introduca un certo automatismo tra i fedeli, quasi che per il solo fatto di trovarsi in chiesa durante la liturgia si abbia il diritto o forse anche il dovere di accostarsi alla Mensa eucaristica. Anche quando non è possibile accostarsi alla comunione sacramentale, la partecipazione alla santa Messa rimane necessaria, valida, significativa e fruttuosa. È bene in queste circostanze coltivare il desiderio della piena unione con Cristo con la pratica, ad esempio, della comunione spirituale, ricordata da Giovanni Paolo II[170] e raccomandata da Santi maestri di vita spirituale[171].

Partecipazione dei cristiani non cattolici

56. Con il tema della partecipazione ci troviamo inevitabilmente a trattare dei cristiani appartenenti a Chiese o a Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica. A questo proposito, si deve dire che l’intrinseco legame esistente tra Eucaristia e unità della Chiesa, da una parte, ci fa desiderare ardentemente il giorno in cui potremo celebrare insieme con tutti i credenti in Cristo la divina Eucaristia ed esprimere così visibilmente la pienezza dell’unità che Cristo ha voluto per i suoi discepoli (cfr. Gv 17,21). Dall’altra parte, il rispetto che dobbiamo al sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo ci impedisce di farne un semplice «mezzo» da usarsi indiscriminatamente per raggiungere questa stessa unità[172]. L’Eucaristia, infatti, non manifesta solo la nostra personale comunione con Gesù Cristo, ma implica anche la piena communio con la Chiesa. Questo è, pertanto, il motivo per cui con dolore, ma non senza speranza, chiediamo ai cristiani non cattolici di comprendere e rispettare la nostra convinzione che si rifà alla Bibbia e alla Tradizione. Noi riteniamo che la Comunione eucaristica e la comunione ecclesiale si appartengano così intimamente da rendere generalmente impossibile accedere all’una senza godere dell’altra, da parte di cristiani non cattolici. Ancora più priva di senso sarebbe una vera e propria concelebrazione con ministri di Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa Cattolica. Resta tuttavia vero che, in vista dell’eterna salvezza, vi è la possibilità dell’ammissione di singoli cristiani non cattolici all’Eucaristia, al sacramento della Penitenza e all’Unzione degli infermi. Ciò suppone però il verificarsi di determinate ed eccezionali situazioni connotate da precise condizioni[173]. Esse sono indicate con chiarezza nel Catechismo della Chiesa Cattolica[174] e nel suo Compendio[175]. È dovere di ciascuno attenervisi fedelmente.

Partecipazione attraverso i mezzi di comunicazione

57. A causa dello sviluppo formidabile dei mezzi di comunicazione, negli ultimi decenni la parola «partecipazione» ha acquistato un significato più ampio che in passato. Tutti riconosciamo con soddisfazione che questi strumenti offrono nuove possibilità anche in riferimento alla Celebrazione eucaristica[176]. Ciò richiede dagli operatori pastorali del settore una specifica preparazione ed un vivo senso di responsabilità. Infatti, la santa Messa trasmessa alla televisione inevitabilmente acquista un certo carattere di esemplarità. Si deve fare perciò particolare attenzione perché la celebrazione, oltre a svolgersi in luoghi degni e ben preparati, rispetti le norme liturgiche.

Infine, quanto al valore della partecipazione alla santa Messa resa possibile dai mezzi di comunicazione, chi assiste a tali trasmissioni deve sapere che, in condizioni normali, non adempie al precetto festivo. Infatti, il linguaggio dell’immagine rappresenta la realtà, ma non la riproduce in se stessa[177]. Se è assai lodevole che anziani e malati partecipino alla santa Messa festiva attraverso le trasmissioni radiotelevisive, non altrettanto potrebbe dirsi di chi, mediante tali trasmissioni, volesse dispensarsi dall’andare in chiesa per partecipare alla Celebrazione eucaristica nell’assemblea della Chiesa viva.

«Actuosa participatio» degli infermi

58. Considerando la condizione di coloro che per motivi di salute o di età non possono recarsi nei luoghi di culto, vorrei richiamare l’attenzione di tutta la comunità ecclesiale sulla necessità pastorale di assicurare l’assistenza spirituale ai malati, a quelli che restano nelle proprie case o che si trovano in ospedale. Più volte nel Sinodo dei Vescovi si è fatto cenno alla loro condizione. Occorre fare in modo che questi nostri fratelli possano accostarsi con frequenza alla Comunione sacramentale. Rinforzando in tal modo il rapporto con Cristo crocifisso e risorto, potranno sentire la propria esistenza pienamente inserita nella vita e nella missione della Chiesa mediante l’offerta della propria sofferenza in unione col sacrificio di nostro Signore. Un’attenzione particolare deve essere riservata ai disabili; là dove la loro condizione lo permette, la comunità cristiana deve favorire la loro partecipazione alla celebrazione nel luogo di culto. In proposito, si faccia in modo che siano rimossi negli edifici sacri eventuali ostacoli architettonici che impediscono ai disabili l’accesso. Infine, venga assicurata anche la comunione eucaristica, per quanto possibile, ai disabili mentali, battezzati e cresimati: essi ricevono l’Eucaristia nella fede anche della famiglia o della comunità che li accompagna[178].

L’attenzione per i carcerati

59. La tradizione spirituale della Chiesa, sulla scorta di una precisa parola di Cristo (cfr. Mt 25,36), ha individuato nella visita ai carcerati una delle opere di misericordia corporale. Coloro che si trovano in questa situazione hanno particolarmente bisogno di essere visitati dal Signore stesso nel sacramento dell’Eucaristia. Sperimentare la vicinanza della comunità ecclesiale, partecipare all’Eucaristia e ricevere la santa Comunione in un periodo della vita così particolare e doloroso può sicuramente contribuire alla qualità del proprio cammino di fede e favorire il pieno ricupero sociale della persona. Interpretando i desideri espressi nell’Assemblea sinodale chiedo alle Diocesi di fare in modo che, nei limiti del possibile, vi sia un adeguato investimento di forze nell’attività pastorale rivolta alla cura spirituale dei detenuti[179].

I migranti e la partecipazione all’Eucaristia

60. Toccando il problema di coloro che per diversi motivi sono costretti a lasciare la propria terra, il Sinodo ha espresso particolare gratitudine verso quanti sono impegnati nella cura pastorale dei migranti. In questo contesto, un’attenzione specifica deve essere data a quei migranti che appartengono alle Chiese cattoliche orientali e per i quali, al distacco dalla propria casa, si aggiunge la difficoltà di non poter partecipare alla liturgia eucaristica secondo il proprio rito di appartenenza. Per questo, dove è possibile, venga loro concesso di essere assistiti dai sacerdoti del loro rito. In ogni caso, chiedo ai Vescovi di accogliere nella carità di Cristo questi fratelli. L’incontro di fedeli di riti diversi può diventare anche occasione di vicendevole arricchimento. In particolare, penso al giovamento che può derivare, soprattutto per il clero, dalla conoscenza delle diverse tradizioni[180].

Le grandi concelebrazioni

61. L’Assemblea sinodale si è soffermata a considerare la qualità della partecipazione nelle grandi celebrazioni che avvengono in circostanze particolari, in cui vi sono, oltre ad un grande numero di fedeli, anche molti sacerdoti concelebranti[181]. Da una parte, è facile riconoscere il valore di questi momenti, specialmente quando presiede il Vescovo attorniato dal suo presbiterio e dai diaconi. Dall’altra, in tali circostanze possono verificarsi problemi quanto all’espressione sensibile dell’unità del presbiterio, specialmente nella preghiera eucaristica, e quanto alla distribuzione della santa Comunione. Si deve evitare che tali grandi concelebrazioni creino dispersione. A ciò si provveda con strumenti adeguati di coordinamento e sistemando il luogo di culto in modo da consentire ai presbiteri e ai fedeli la piena e reale partecipazione. Comunque, occorre tener presente che si tratta di concelebrazioni d’indole eccezionale e limitate a situazioni straordinarie.

La lingua latina

62. Quanto affermato non deve, tuttavia, mettere in ombra il valore di queste grandi liturgie. Penso in questo momento, in particolare, alle celebrazioni che avvengono durante incontri internazionali, oggi sempre più frequenti. Esse devono essere giustamente valorizzate. Per meglio esprimere l’unità e l’universalità della Chiesa, vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei Vescovi, in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II[182]: eccettuate le letture, l’omelia e la preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure siano recitate in latino le preghiere più note[183] della tradizione della Chiesa ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano. Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia[184].

Celebrazioni eucaristiche in piccoli gruppi

63. Una situazione assai diversa è quella che si viene a creare in alcune circostanze pastorali in cui, proprio per una partecipazione più consapevole, attiva e fruttuosa, si favoriscono le celebrazioni in piccoli gruppi. Pur riconoscendo la valenza formativa sottesa a queste scelte, è necessario precisare che esse devono essere armonizzate con l’insieme della proposta pastorale della Diocesi. Infatti, tali esperienze perderebbero il loro carattere pedagogico, se fossero sentite in antagonismo o in parallelo rispetto alla vita della Chiesa particolare. A tale proposito, il Sinodo ha evidenziato alcuni criteri ai quali attenersi: i piccoli gruppi devono servire a unificare la comunità, non a frammentarla; ciò deve trovare convalida nella prassi concreta; questi gruppi devono favorire la partecipazione fruttuosa dell’intera assemblea e preservare, per quanto possibile, l’unità della vita liturgica delle singole famiglie[185].

La celebrazione interiormente partecipata

Catechesi mistagogica

64. La grande tradizione liturgica della Chiesa ci insegna che, per una fruttuosa partecipazione, è necessario impegnarsi a corrispondere personalmente al mistero che viene celebrato, mediante l’offerta a Dio della propria vita, in unità con il sacrificio di Cristo per la salvezza del mondo intero. Per questo motivo, il Sinodo dei Vescovi ha raccomandato di curare nei fedeli l’intima concordanza delle disposizioni interiori con i gesti e le parole. Se questa mancasse, le nostre celebrazioni, per quanto animate, rischierebbero la deriva del ritualismo. Pertanto occorre promuovere un’educazione alla fede eucaristica che disponga i fedeli a vivere personalmente quanto viene celebrato. Di fronte all’importanza essenziale di questa participatio personale e consapevole, quali possono essere gli strumenti formativi adeguati? I Padri sinodali all’unanimità hanno indicato, al riguardo, la strada di una catechesi a carattere mistagogico, che porti i fedeli ad addentrarsi sempre meglio nei misteri che vengono celebrati[186]. In particolare, per la relazione tra ars celebrandi e actuosa participatio si deve innanzitutto affermare che «la migliore catechesi sull’Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata»[187]. Per natura sua, infatti, la liturgia ha una sua efficacia pedagogica nell’introdurre i fedeli alla conoscenza del mistero celebrato. Proprio per questo, nella tradizione più antica della Chiesa il cammino formativo del cristiano, pur senza trascurare l’intelligenza sistematica dei contenuti della fede, assumeva sempre un carattere esperienziale in cui determinante era l’incontro vivo e persuasivo con Cristo annunciato da autentici testimoni. In questo senso, colui che introduce ai misteri è innanzitutto il testimone. Tale incontro certamente si approfondisce nella catechesi e trova la sua fonte e il suo culmine nella celebrazione dell’Eucaristia. Da questa struttura fondamentale dell’esperienza cristiana prende le mosse l’esigenza di un itinerario mistagogico, in cui devono sempre essere tenuti presenti tre elementi.

a) Si tratta innanzitutto della interpretazione dei riti alla luce degli eventi salvifici, in conformità con la tradizione viva della Chiesa. In effetti, la celebrazione dell’Eucaristia, nella sua infinita ricchezza, contiene continui riferimenti alla storia della salvezza. In Cristo crocifisso e risorto ci è dato di celebrare davvero il centro ricapitolatore di tutta la realtà (cfr. Ef 1,10). Fin dall’inizio la comunità cristiana ha letto gli avvenimenti della vita di Gesù, ed in particolare del mistero pasquale, in relazione a tutto il percorso veterotestamentario.

b) La catechesi mistagogica si dovrà preoccupare, inoltre, di introdurre al senso dei segni contenuti nei riti. Questo compito è particolarmente urgente in un’epoca fortemente tecnicizzata come l’attuale, in cui c’è il rischio di perdere la capacità percettiva in relazione ai segni e ai simboli. Più che informare, la catechesi mistagogica dovrà risvegliare ed educare la sensibilità dei fedeli per il linguaggio dei segni e dei gesti che, uniti alla parola, costituiscono il rito.

c) Infine, la catechesi mistagogica deve preoccuparsi di mostrare il significato dei riti in relazione alla vita cristiana in tutte le sue dimensioni, di lavoro e di impegno, di pensieri e di affetti, di attività e di riposo. È parte dell’itinerario mistagogico porre in evidenza il nesso dei misteri celebrati nel rito con la responsabilità missionaria dei fedeli. In tal senso, l’esito maturo della mistagogia è la consapevolezza che la propria esistenza viene progressivamente trasformata dai santi Misteri celebrati. Scopo di tutta l’educazione cristiana, del resto, è di formare il fedele, come «uomo nuovo», ad una fede adulta, che lo renda capace di testimoniare nel proprio ambiente la speranza cristiana da cui è animato.

Per poter svolgere all’interno delle nostre comunità ecclesiali un tale compito educativo occorre avere formatori adeguatamente preparati. Certamente tutto il Popolo di Dio deve sentirsi impegnato in questa formazione. Ogni comunità cristiana è chiamata ad essere luogo di introduzione pedagogica ai misteri che si celebrano nella fede. A questo riguardo, i Padri durante il Sinodo hanno sottolineato l’opportunità di un maggior coinvolgimento delle Comunità di vita consacrata, dei movimenti e delle aggregazioni che, in forza dei loro propri carismi, possono arrecare nuovo slancio alla formazione cristiana[188]. Anche nel nostro tempo lo Spirito Santo non lesina certo l’effusione dei suoi doni per sostenere la missione apostolica della Chiesa, a cui spetta di diffondere la fede e di educarla fino alla sua maturità[189].

La riverenza verso l’Eucaristia

65. Un segnale convincente dell’efficacia che la catechesi eucaristica ha sui fedeli è sicuramente la crescita in loro del senso del mistero di Dio presente tra noi. Ciò può essere verificato attraverso specifiche manifestazioni di riverenza verso l’Eucaristia, a cui il percorso mistagogico deve introdurre i fedeli[190]. Penso, in senso generale, all’importanza dei gesti e della postura, come l’inginocchiarsi durante i momenti salienti della preghiera eucaristica. Nell’adeguarsi alla legittima diversità di segni che si compiono nel contesto delle differenti culture, ciascuno viva ed esprima la consapevolezza di trovarsi in ogni celebrazione davanti alla maestà infinita di Dio, che ci raggiunge in modo umile nei segni sacramentali.

Adorazione e pietà eucaristica

Il rapporto intrinseco tra celebrazione e adorazione

66. Uno dei momenti più intensi del Sinodo è stato quando ci siamo recati nella Basilica di San Pietro, insieme a tanti fedeli, per l’adorazione eucaristica. Con tale gesto di preghiera, l’Assemblea dei Vescovi ha inteso richiamare l’attenzione, non solo con le parole, sull’importanza della relazione intrinseca tra Celebrazione eucaristica e adorazione. In questo significativo aspetto della fede della Chiesa si trova uno degli elementi decisivi del cammino ecclesiale, compiuto dopo il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio Vaticano II. Mentre la riforma muoveva i primi passi, a volte l’intrinseco rapporto tra la santa Messa e l’adorazione del Santissimo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito. Un’obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato. In realtà, alla luce dell’esperienza di preghiera della Chiesa, tale contrapposizione si rivelava priva di ogni fondamento. Già Agostino aveva detto: «Nemo autem illam carnem manducat, nisi prius adoraverit; peccemus non adorando — Nessuno mangia questa carne senza prima adorarla; peccheremmo se non la adorassimo»[191]. Nell’Eucaristia, infatti, il Figlio di Dio ci viene incontro e desidera unirsi a noi; l’adorazione eucaristica non è che l’ovvio sviluppo della Celebrazione eucaristica, la quale è in se stessa il più grande atto d’adorazione della Chiesa[192]. Ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste. L’atto di adorazione al di fuori della santa Messa prolunga ed intensifica quanto s’è fatto nella Celebrazione liturgica stessa. Infatti, «soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza profonda e vera. E proprio in questo atto personale di incontro col Signore matura poi anche la missione sociale che nell’Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni dagli altri»[193].

La pratica dell’adorazione eucaristica

67. Insieme all’Assemblea sinodale, pertanto, raccomando vivamente ai Pastori della Chiesa e al Popolo di Dio la pratica dell’adorazione eucaristica, sia personale che comunitaria[194]. A questo proposito, di grande giovamento sarà un’adeguata catechesi in cui si spieghi ai fedeli l’importanza di questo atto di culto che permette di vivere più profondamente e con maggiore frutto la stessa Celebrazione liturgica. Nel limite del possibile, poi, soprattutto nei centri più popolosi, converrà individuare chiese od oratori da riservare appositamente all’adorazione perpetua. Inoltre, raccomando che nella formazione catechistica, ed in particolare negli itinerari di preparazione alla Prima Comunione, si introducano i fanciulli al senso e alla bellezza di sostare in compagnia di Gesù, coltivando lo stupore per la sua presenza nell’Eucaristia.

Vorrei qui esprimere ammirazione e sostegno a tutti quegli Istituti di vita consacrata i cui membri dedicano una parte significativa del loro tempo all’adorazione eucaristica. In tal modo essi offrono a tutti l’esempio di persone che si lasciano plasmare dalla presenza reale del Signore. Desidero ugualmente incoraggiare quelle associazioni di fedeli, come anche le Confraternite, che assumono questa pratica come loro speciale impegno, diventando così fermento di contemplazione per tutta la Chiesa e richiamo alla centralità di Cristo per la vita dei singoli e delle comunità.

Forme di devozione eucaristica

68. Il rapporto personale che il singolo fedele instaura con Gesù, presente nell’Eucaristia, lo rimanda sempre all’insieme della comunione ecclesiale, alimentando in lui la consapevolezza della sua appartenenza al Corpo di Cristo. Per questo, oltre ad invitare i singoli fedeli a trovare personalmente del tempo da trascorrere in preghiera davanti al Sacramento dell’altare, ritengo doveroso sollecitare le stesse parrocchie e gli altri gruppi ecclesiali a promuovere momenti di adorazione comunitaria. Ovviamente, conservano tutto il loro valore le già esistenti forme di devozione eucaristica. Penso, ad esempio, alle processioni eucaristiche, soprattutto alla tradizionale processione nella solennità del Corpus Domini, alla pia pratica delle Quarant’ore, ai Congressi eucaristici locali, nazionali e internazionali, e alle altre iniziative analoghe. Opportunamente aggiornate e adattate alle circostanze diverse, tali forme di devozione meritano di essere anche oggi coltivate[195].

Il luogo del tabernacolo nella chiesa

69. In relazione all’importanza della custodia eucaristica e dell’adorazione e riverenza nei confronti del sacramento del Sacrificio di Cristo, il Sinodo dei Vescovi si è interrogato riguardo all’adeguata collocazione del tabernacolo all’interno delle nostre chiese[196]. La sua corretta posizione, infatti, aiuta a riconoscere la presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento. È necessario pertanto che il luogo in cui vengono conservate le specie eucaristiche sia facilmente individuabile, grazie anche alla lampada perenne, da chiunque entri in chiesa. A tale fine, occorre tenere conto della disposizione architettonica dell’edificio sacro: nelle chiese in cui non esiste la cappella del Santissimo Sacramento e permane l’altare maggiore con il tabernacolo, è opportuno continuare ad avvalersi di tale struttura per la conservazione ed adorazione dell’Eucaristia, evitando di collocarvi innanzi la sede del celebrante. Nelle nuove chiese è bene predisporre la cappella del Santissimo in prossimità del presbiterio; ove ciò non sia possibile, è preferibile situare il tabernacolo nel presbiterio, in luogo sufficientemente elevato, al centro della zona absidale, oppure in altro punto ove sia ugualmente ben visibile. Tali accorgimenti concorrono a conferire dignità al tabernacolo, che deve sempre essere curato anche sotto il profilo artistico. Ovviamente è necessario tener conto di quanto afferma in proposito l’Ordinamento Generale del Messale Romano[197]. Il giudizio ultimo su questa materia spetta comunque al Vescovo diocesano.

Terza parte

Eucaristia, mistero da vivere

«Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre,

così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57)

Forma eucaristica della vita cristiana

Il culto spirituale — logiké latreía (Rm 12,1)

70. Il Signore Gesù, fattosi per noi cibo di verità e di amore, parlando del dono della sua vita ci assicura che «chi mangia di questo pane vivrà in eterno» (Gv 6,51). Ma questa «vita eterna» inizia in noi già in questo tempo attraverso il cambiamento che il dono eucaristico genera in noi: «Colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6,57). Queste parole di Gesù ci fanno capire come il mistero «creduto» e «celebrato» possegga in sé un dinamismo che ne fa principio di vita nuova in noi e forma dell’esistenza cristiana. Comunicando al Corpo e al Sangue di Gesù Cristo, infatti, veniamo resi partecipi della vita divina in modo sempre più adulto e consapevole. Vale anche qui quanto sant’Agostino, nelle sue Confessioni, dice del Logos eterno, cibo dell’anima: mettendo in rilievo il carattere paradossale di questo cibo, il santo Dottore immagina di sentirsi dire: «Sono il cibo dei grandi: cresci e mi mangerai. E non io sarò assimilato a te come cibo della tua carne, ma tu sarai assimilato a me»[198]. Infatti non è l’alimento eucaristico che si trasforma in noi, ma siamo noi che veniamo da esso misteriosamente cambiati. Cristo ci nutre unendoci a sé; «ci attira dentro di sé»[199].

La Celebrazione eucaristica appare qui in tutta la sua forza quale fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale, in quanto esprime, nello stesso tempo, sia la genesi che il compimento del nuovo e definitivo culto, la logiké latreía[200]. Le parole di san Paolo ai Romani a questo proposito sono la formulazione più sintetica di come l’Eucaristia trasformi tutta la nostra vita in culto spirituale gradito a Dio: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). In questa esortazione emerge l’immagine del nuovo culto come offerta totale della propria persona in comunione con tutta la Chiesa. L’insistenza dell’Apostolo sull’offerta dei nostri corpi sottolinea l’umana concretezza di un culto tutt’altro che disincarnato. Ancora il Santo di Ippona a questo proposito ci ricorda che «questo è il sacrificio dei cristiani, l’essere cioè molti e un solo corpo in Cristo. La Chiesa celebra questo mistero col Sacramento dell’altare, che i fedeli ben conoscono, e nel quale le si mostra chiaramente che nella cosa che si offre essa stessa è offerta»[201]. La dottrina cattolica, infatti, afferma che l’Eucaristia, in quanto sacrificio di Cristo, è anche sacrificio della Chiesa, e quindi dei fedeli[202]. L’insistenza sul sacrificio — «fare sacro» — dice qui tutta la densità esistenziale implicata nella trasformazione della nostra realtà umana afferrata da Cristo (cfr. Fil 3,12).

Efficacia onnicomprensiva del culto eucaristico

71. Il nuovo culto cristiano abbraccia ogni aspetto dell’esistenza, trasfigurandola: «Sia dunque che mangiate sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (1 Cor 10,31). In ogni atto della vita il cristiano è chiamato ad esprimere il vero culto a Dio. Da qui prende forma la natura intrinsecamente eucaristica della vita cristiana. In quanto coinvolge la realtà umana del credente nella sua concretezza quotidiana, l’Eucaristia rende possibile, giorno dopo giorno, la progressiva trasfigurazione dell’uomo chiamato per grazia ad essere ad immagine del Figlio di Dio (cfr. Rm 8,29s). Non c’è nulla di autenticamente umano — pensieri ed affetti, parole ed opere — che non trovi nel sacramento dell’Eucaristia la forma adeguata per essere vissuto in pienezza. Qui emerge tutto il valore antropologico della novità radicale portata da Cristo con l’Eucaristia: il culto a Dio nell’esistenza umana non è relegabile ad un momento particolare e privato, ma per natura sua tende a pervadere ogni aspetto della realtà dell’individuo. Il culto gradito a Dio diviene così un nuovo modo di vivere tutte le circostanze dell’esistenza in cui ogni particolare viene esaltato, in quanto vissuto dentro il rapporto con Cristo e come offerta a Dio. La gloria di Dio è l’uomo vivente (cfr. 1 Cor 10,31). E la vita dell’uomo è la visione di Dio[203].

«Iuxta dominicam viventes» — Vivere secondo la domenica

72. Questa radicale novità che l’Eucaristia introduce nella vita dell’uomo si è rivelata alla coscienza cristiana fin dall’inizio. I fedeli hanno subito percepito il profondo influsso che la Celebrazione eucaristica esercitava sullo stile della loro vita. Sant’Ignazio di Antiochia esprimeva questa verità qualificando i cristiani come «coloro che sono giunti alla nuova speranza», e li presentava come coloro che vivono «secondo la domenica» (iuxta dominicam viventes)[204]. Questa formula del grande martire antiocheno mette chiaramente in luce il nesso tra la realtà eucaristica e l’esistenza cristiana nella sua quotidianità. La consuetudine caratteristica dei cristiani di riunirsi nel primo giorno dopo il sabato per celebrare la risurrezione di Cristo — secondo il racconto di san Giustino martire[205] — è anche il dato che definisce la forma dell’esistenza rinnovata dall’incontro con Cristo. La formula di sant’Ignazio — «Vivere secondo la domenica» — sottolinea pure il valore paradigmatico che questo giorno santo possiede per ogni altro giorno della settimana. Esso, infatti, non si distingue in base alla semplice sospensione delle attività solite, come una sorta di parentesi all’interno del ritmo usuale dei giorni. I cristiani hanno sempre sentito questo giorno come il primo della settimana, perché in esso si fa memoria della radicale novità portata da Cristo. Pertanto, la domenica è il giorno in cui il cristiano ritrova quella forma eucaristica della sua esistenza secondo la quale è chiamato a vivere costantemente. «Vivere secondo la domenica» vuol dire vivere nella consapevolezza della liberazione portata da Cristo e svolgere la propria esistenza come offerta di se stessi a Dio, perché la sua vittoria si manifesti pienamente a tutti gli uomini attraverso una condotta intimamente rinnovata.

Vivere il precetto festivo

73. I Padri sinodali, consapevoli di questo principio nuovo di vita che l’Eucaristia pone nel cristiano, hanno ribadito l’importanza per tutti i fedeli del precetto domenicale come fonte di libertà autentica, per poter vivere ogni altro giorno secondo quanto hanno celebrato nel «giorno del Signore». La vita di fede, infatti, è in pericolo quando non si avverte più il desiderio di partecipare alla Celebrazione eucaristica in cui si fa memoria della vittoria pasquale. Partecipare all’assemblea liturgica domenicale, insieme a tutti i fratelli e le sorelle con i quali si forma un solo corpo in Cristo Gesù, è richiesto dalla coscienza cristiana e al tempo stesso forma la coscienza cristiana. Smarrire il senso della domenica come giorno del Signore da santificare è sintomo di una perdita del senso autentico della libertà cristiana, la libertà dei figli di Dio[206]. Rimangono preziose, a questo riguardo, le osservazioni fatte dal mio venerato predecessore, Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica Dies Domini[207], a proposito delle diverse dimensioni della domenica per i cristiani: essa è Dies Domini, in riferimento all’opera della creazione; Dies Christi in quanto giorno della nuova creazione e del dono che il Signore Risorto fa dello Spirito Santo; Dies Ecclesiae come giorno in cui la comunità cristiana si ritrova per la celebrazione; Dies hominis come giorno di gioia, riposo e carità fraterna.

Un tale giorno, pertanto, si manifesta come festa primordiale, nella quale ogni fedele, nell’ambiente in cui vive, può farsi annunziatore e custode del senso del tempo. Da questo giorno, in effetti, scaturisce il senso cristiano dell’esistenza ed un nuovo modo di vivere il tempo, le relazioni, il lavoro, la vita e la morte. È bene, dunque, che nel giorno del Signore le realtà ecclesiali organizzino, intorno alla Celebrazione eucaristica domenicale, manifestazioni proprie della comunità cristiana: incontri amichevoli, iniziative per la formazione nella fede di bambini, giovani e adulti, pellegrinaggi, opere di carità e momenti diversi di preghiera. A motivo di questi valori così importanti — per quanto giustamente il sabato sera sin dai Primi Vespri appartenga già alla Domenica e sia permesso adempiere in esso al precetto domenicale — è necessario rammentare che è la domenica in se stessa che merita di essere santificata, perché non finisca per risultare un giorno «vuoto di Dio»[208].

Il senso del riposo e del lavoro

74. Infine, è particolarmente urgente in questo nostro tempo ricordare che il giorno del Signore è anche il giorno del riposo dal lavoro. Ci auguriamo vivamente che esso sia riconosciuto come tale anche dalla società civile, così che sia possibile essere liberi dalle attività lavorative, senza venire per questo penalizzati. I cristiani, infatti, non senza rapporto con il significato del sabato nella tradizione ebraica, hanno visto nel giorno del Signore anche il giorno del riposo dalla fatica quotidiana. Ciò ha un suo preciso senso, perché costituisce una relativizzazione del lavoro, che viene finalizzato all’uomo: il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro. È facile intuire la tutela che da ciò viene offerta all’uomo stesso, che risulta così emancipato da una possibile forma di schiavitù. Come ho avuto modo di affermare, «il lavoro riveste primaria importanza per la realizzazione dell’uomo e per lo sviluppo della società, e per questo occorre che esso sia sempre organizzato e svolto nel pieno rispetto dell’umana dignità e al servizio del bene comune. Al tempo stesso, è indispensabile che l’uomo non si lasci asservire dal lavoro, che non lo idolatri, pretendendo di trovare in esso il senso ultimo e definitivo della vita»[209]. È nel giorno consacrato a Dio che l’uomo comprende il senso della sua esistenza ed anche dell’attività lavorativa[210].

Assemblee domenicali in assenza di sacerdote

75. Riscoprendo il significato della Celebrazione domenicale per la vita del cristiano, è spontaneo porsi il problema di quelle comunità cristiane in cui manca il sacerdote e dove, di conseguenza, non è possibile celebrare la santa Messa nel Giorno del Signore. Occorre dire, a questo proposito, che ci troviamo di fronte a situazioni assai diversificate tra loro. Il Sinodo ha raccomandato innanzitutto ai fedeli di recarsi in una delle chiese della Diocesi in cui è garantita la presenza del sacerdote, anche quando ciò richiede un certo sacrificio[211]. Là dove, invece, le grandi distanze rendono praticamente impossibile la partecipazione all’Eucaristia domenicale, è importante che le comunità cristiane si radunino ugualmente per lodare il Signore e fare memoria del Giorno a Lui dedicato. Ciò dovrà tuttavia avvenire nel contesto di un’adeguata istruzione circa la differenza tra la santa Messa e le assemblee domenicali in attesa di sacerdote. La cura pastorale della Chiesa si deve esprimere in questo caso nel vigilare perché la liturgia della Parola, organizzata sotto la guida di un diacono o di un responsabile della comunità al quale tale ministero sia stato regolarmente affidato dall’autorità competente, si compia secondo un rituale specifico elaborato dalle Conferenze episcopali e a tale scopo da esse approvato[212]. Ricordo che spetta agli Ordinari concedere la facoltà di distribuire la comunione in tali liturgie, valutando attentamente la convenienza di una certa scelta. Inoltre, si deve fare in modo che tali assemblee non ingenerino confusione sul ruolo centrale del sacerdote e sulla componente sacramentale nella vita della Chiesa. L’importanza del ruolo dei laici, che vanno giustamente ringraziati per la loro generosità al servizio delle comunità cristiane, non deve mai occultare il ministero insostituibile dei sacerdoti per la vita della Chiesa[213]. Pertanto, si vigili attentamente a che le assemblee in attesa di sacerdote non diano adito a visioni ecclesiologiche non aderenti alla verità del Vangelo e alla tradizione della Chiesa. Piuttosto dovrebbero essere occasioni privilegiate di preghiera a Dio perché mandi santi sacerdoti secondo il suo cuore. Toccante, a questo proposito, quanto scriveva il Papa Giovanni Paolo II nella Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 1979, ricordando quei luoghi dove la gente, privata del sacerdote da parte del regime dittatoriale, si riuniva in una chiesa o in un santuario, metteva sull’altare la stola ancora conservata e recitava la preghiera della liturgia eucaristica fermandosi in silenzio «al momento che corrisponde alla transustanziazione», a testimonianza di quanto «ardentemente essi desiderano di udire le parole che solo le labbra di un sacerdote possono efficacemente pronunciare»[214]. Proprio in questa prospettiva, considerato il bene incomparabile derivante dalla celebrazione del Sacrificio eucaristico, chiedo a tutti i sacerdoti una fattiva e concreta disponibilità a visitare il più spesso possibile le comunità affidate alla loro cura pastorale, perché non rimangano troppo tempo senza il Sacramento della carità.

Una forma eucaristica dell’esistenza cristiana, l’appartenenza ecclesiale

76. L’importanza della domenica come Dies Ecclesiae ci richiama alla relazione intrinseca tra la vittoria di Gesù sul male e sulla morte e la nostra appartenenza al suo Corpo ecclesiale. Ogni cristiano, infatti, nel Giorno del Signore ritrova anche la dimensione comunitaria della propria esistenza redenta. Partecipare all’azione liturgica, comunicare al Corpo e al Sangue di Cristo vuol dire nello stesso tempo rendere sempre più intima e profonda la propria appartenenza a Colui che è morto per noi (cfr. 1 Cor 6,19s; 7,23). Veramente chi mangia di Cristo vive per Lui. In relazione al Mistero eucaristico si comprende il senso profondo della communio sanctorum. La comunione ha sempre ed inseparabilmente una connotazione verticale ed una orizzontale: comunione con Dio e comunione con i fratelli e le sorelle. Le due dimensioni si incontrano misteriosamente nel dono eucaristico. «Dove si distrugge la comunione con Dio, che è comunione col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo, si distrugge anche la radice e la sorgente della comunione fra di noi. E dove non viene vissuta la comunione fra di noi, anche la comunione col Dio Trinitario non è viva e vera».[215] Chiamati, pertanto, ad essere membra di Cristo e dunque membra gli uni degli altri (cfr. 1 Cor 12,27), noi costituiamo una realtà ontologicamente fondata nel Battesimo e alimentata dall’Eucaristia, una realtà che chiede di trovare riscontro sensibile nella vita delle nostre comunità.

La forma eucaristica dell’esistenza cristiana è indubbiamente una forma ecclesiale e comunitaria. Attraverso la Diocesi e le parrocchie, quali strutture portanti della Chiesa in un particolare territorio, ogni fedele può fare esperienza concreta della sua appartenenza al Corpo di Cristo. Associazioni, movimenti ecclesiali e nuove comunità — con la vivacità dei loro carismi donati dallo Spirito Santo per il nostro tempo —, come pure gli Istituti di vita consacrata, hanno il compito di offrire un loro specifico contributo per favorire nei fedeli la percezione di questo loro essere del Signore (cfr. Rm 14,8). Il fenomeno della secolarizzazione, che contiene non a caso caratteri fortemente individualistici, ottiene i suoi effetti deleteri soprattutto nelle persone che si isolano e per scarso senso di appartenenza. Il cristianesimo, fin dal suo inizio, implica sempre una compagnia, una trama di rapporti vivificati continuamente dall’ascolto della Parola, dalla Celebrazione eucaristica e animati dallo Spirito Santo.

Spiritualità e cultura eucaristica

77. I Padri sinodali hanno significativamente affermato che «i fedeli cristiani hanno bisogno di una più profonda comprensione delle relazioni tra l’Eucaristia e la vita quotidiana. La spiritualità eucaristica non è soltanto partecipazione alla Messa e devozione al Santissimo Sacramento. Essa abbraccia la vita intera»[216]. Questo rilievo riveste per tutti noi oggi particolare significato. Occorre riconoscere che uno degli effetti più gravi della secolarizzazione poc’anzi menzionata sta nell’aver relegato la fede cristiana ai margini dell’esistenza, come se essa fosse inutile per quanto riguarda lo svolgimento concreto della vita degli uomini. Il fallimento di questo modo di vivere «come se Dio non ci fosse» è ora davanti a tutti. Oggi c’è bisogno di riscoprire che Gesù Cristo non è una semplice convinzione privata o una dottrina astratta, ma una persona reale il cui inserimento nella storia è capace di rinnovare la vita di tutti. Per questo l’Eucaristia come fonte e culmine della vita e missione della Chiesa si deve tradurre in spiritualità, in vita «secondo lo Spirito» (Rm 8,4s; cfr. Gal 5,16.25). È significativo che san Paolo, nel passo della Lettera ai Romani in cui invita a vivere il nuovo culto spirituale, richiami contemporaneamente alla necessità del cambiamento del proprio modo di vivere e di pensare: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi, rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (12,2). In tal modo, l’Apostolo delle genti sottolinea il legame tra il vero culto spirituale e la necessità di un nuovo modo di percepire l’esistenza e di condurre la vita. È parte integrante della forma eucaristica della vita cristiana il rinnovamento di mentalità, «affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ef 4,14).

Eucaristia ed evangelizzazione delle culture

78. Da quanto affermato consegue che il Mistero eucaristico ci mette in dialogo con le differenti culture, ma anche in un certo senso le sfida[217]. Occorre riconoscere il carattere interculturale di questo nuovo culto, di questa logiké latreía. La presenza di Gesù Cristo e l’effusione dello Spirito Santo sono eventi che possono stabilmente confrontarsi con ogni realtà culturale, per fermentarla evangelicamente. Ciò comporta conseguentemente l’impegno di promuovere con convinzione l’evangelizzazione delle culture, nella consapevolezza che Cristo stesso è la verità di ogni uomo e di tutta la storia umana. L’Eucaristia diviene criterio di valorizzazione di tutto ciò che il cristiano incontra nelle varie espressioni culturali. In questo importante processo possiamo sentire quanto mai significative le parole di san Paolo che invita nella sua Prima Lettera ai Tessalonicesi a «esaminare ogni cosa e a tenere ciò che è buono» (cfr. 5,21).

Eucaristia e fedeli laici

79. In Cristo, Capo della Chiesa suo Corpo, tutti i cristiani formano «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di Lui» (1 Pt 2,9). L’Eucaristia, come mistero da vivere, si offre a ciascuno di noi nella condizione in cui egli si trova, facendo diventare la sua situazione esistenziale luogo in cui vivere quotidianamente la novità cristiana. Se il Sacrificio eucaristico alimenta ed accresce in noi quanto ci è già dato nel Battesimo per il quale tutti siamo chiamati alla santità[218], allora questo deve emergere e mostrarsi proprio nelle situazioni o stati di vita in cui ogni cristiano si trova. Si diviene giorno per giorno culto gradito a Dio vivendo la propria vita come vocazione. A partire dalla convocazione liturgica, è lo stesso sacramento dell’Eucaristia ad impegnarci nella realtà quotidiana perché tutto sia fatto a gloria di Dio.

E poiché il mondo è «il campo» (Mt 13,38) in cui Dio pone i suoi figli come buon seme, i cristiani laici, in forza del Battesimo e della Cresima, e corroborati dall’Eucaristia, sono chiamati a vivere la novità radicale portata da Cristo proprio all’interno delle comuni condizioni della vita[219]. Essi devono coltivare il desiderio che l’Eucaristia incida sempre più profondamente nella loro esistenza quotidiana, portandoli ad essere testimoni riconoscibili nel proprio ambiente di lavoro e nella società tutta[220]. Un particolare incoraggiamento rivolgo alle famiglie, perché traggano ispirazione e forza da questo Sacramento. L’amore tra l’uomo e la donna, l’accoglienza della vita, il compito educativo si rivelano quali ambiti privilegiati in cui l’Eucaristia può mostrare la sua capacità di trasformare e portare a pienezza di significato l’esistenza[221]. I Pastori non manchino mai di sostenere, educare ed incoraggiare i fedeli laici a vivere pienamente la propria vocazione alla santità dentro quel mondo che Dio ha tanto amato da dare il suo Figlio perché ne diventasse la salvezza (cfr. Gv 3,16).

Eucaristia e spiritualità sacerdotale

80. La forma eucaristica dell’esistenza cristiana si manifesta indubbiamente in modo particolare nello stato di vita sacerdotale. La spiritualità sacerdotale è intrinsecamente eucaristica. Il seme di una tale spiritualità si trova già nelle parole che il Vescovo pronuncia nella liturgia dell’Ordinazione: «Ricevi le offerte del popolo santo per il Sacrificio eucaristico. Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore»[222]. Per dare alla sua esistenza una sempre più compiuta forma eucaristica, il sacerdote, già nel periodo di formazione e poi negli anni successivi, deve fare ampio spazio alla vita spirituale[223]. Egli è chiamato a essere continuamente un autentico ricercatore di Dio, pur restando al contempo vicino alle preoccupazioni degli uomini. Una vita spirituale intensa gli permetterà di entrare più profondamente in comunione con il Signore e l’aiuterà a lasciarsi possedere dall’amore di Dio, divenendone testimone in ogni circostanza anche difficile e buia. A tale scopo, insieme con i Padri del Sinodo, raccomando ai sacerdoti «la celebrazione quotidiana della santa Messa, anche quando non ci fosse partecipazione di fedeli»[224]. Tale raccomandazione si accorda innanzitutto con il valore oggettivamente infinito di ogni Celebrazione eucaristica; e trae poi motivo dalla sua singolare efficacia spirituale, perché, se vissuta con attenzione e fede, la santa Messa è formativa nel senso più profondo del termine, in quanto promuove la conformazione a Cristo e rinsalda il sacerdote nella sua vocazione.

Eucaristia e vita consacrata

81. Nel contesto della relazione tra l’Eucaristia e le diverse vocazioni ecclesiali risplende in particolare «la testimonianza profetica delle consacrate e dei consacrati, che trovano nella Celebrazione eucaristica e nell’adorazione la forza per la sequela radicale di Cristo obbediente, povero e casto»[225]. I consacrati e le consacrate, pur svolgendo molti servizi nel campo della formazione umana e della cura dei poveri, nell’insegnamento o nell’assistenza dei malati, sanno che lo scopo principale della loro vita è «la contemplazione delle verità divine e la costante unione con Dio»[226]. Il contributo essenziale che la Chiesa si aspetta dalla vita consacrata è molto più in ordine all’essere che al fare. In questo contesto vorrei richiamare l’importanza della testimonianza verginale proprio in relazione al mistero dell’Eucaristia. Infatti, oltre al legame con il celibato sacerdotale, il Mistero eucaristico manifesta un intrinseco rapporto con la verginità consacrata, in quanto questa è espressione della dedizione esclusiva della Chiesa a Cristo, che essa accoglie come suo Sposo con fedeltà radicale e feconda[227]. Nell’Eucaristia la verginità consacrata trova ispirazione ed alimento per la sua dedizione totale a Cristo. Dall’Eucaristia inoltre essa trae conforto e spinta per essere, anche nel nostro tempo, segno dell’amore gratuito e fecondo che Dio ha verso l’umanità. Infine, mediante la sua specifica testimonianza, la vita consacrata diviene oggettivamente richiamo e anticipazione di quelle «nozze dell’Agnello» (Ap 19,7.9) in cui è posta la meta di tutta la storia della salvezza. In tal senso essa costituisce un efficace rimando a quell’orizzonte escatologico di cui ogni uomo ha bisogno per poter orientare le proprie scelte e decisioni di vita.

Eucaristia e trasformazione morale

82. Scoprendo la bellezza della forma eucaristica dell’esistenza cristiana siamo portati anche a riflettere sulle energie morali che da tale forma vengono attivate a sostegno dell’autentica libertà propria dei figli di Dio. Intendo con ciò riprendere una tematica emersa nel Sinodo riguardo al legame tra forma eucaristica dell’esistenza e trasformazione morale. Il Papa Giovanni Paolo II aveva affermato che la vita morale «possiede il valore di un “culto spirituale” (Rm 12,1; cfr. Fil 3,3), attinto e alimentato da quella inesauribile sorgente di santità e di glorificazione di Dio che sono i Sacramenti, in specie l’Eucaristia: infatti, partecipando al Sacrificio della Croce, il cristiano comunica con l’amore di donazione di Cristo ed è abilitato e impegnato a vivere questa stessa carità in tutti i suoi atteggiamenti e comportamenti di vita»[228]. In definitiva, «nel “culto” stesso, nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri. Un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata»[229].

Questo richiamo alla valenza morale del culto spirituale non va interpretato in chiave moralistica. È innanzitutto la felice scoperta del dinamismo dell’amore nel cuore di chi accoglie il dono del Signore, si abbandona a Lui e trova la vera libertà. La trasformazione morale, implicata nel nuovo culto istituito da Cristo, è una tensione e un desiderio cordiale di voler corrispondere all’amore del Signore con tutto il proprio essere, pur nella consapevolezza della propria fragilità. Ciò di cui parliamo ben si rispecchia nel racconto evangelico relativo a Zaccheo (cfr. Lc 19,1-10). Dopo aver ospitato Gesù nella sua casa, il pubblicano si ritrova completamente trasformato: decide di dare metà dei suoi averi ai poveri e di restituire quattro volte tanto a coloro ai quali ha rubato. La tensione morale che nasce dall’ospitare Gesù nella nostra vita scaturisce dalla gratitudine per aver sperimentato l’immeritata vicinanza del Signore.

Coerenza eucaristica

83. È importante rilevare ciò che i Padri sinodali hanno qualificato come coerenza eucaristica, a cui la nostra esistenza è oggettivamente chiamata. Il culto gradito a Dio, infatti, non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede. Ciò vale ovviamente per tutti i battezzati, ma si impone con particolare urgenza nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme[230]. Tali valori non sono negoziabili. Pertanto, i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana[231]. Ciò ha peraltro un nesso obiettivo con l’Eucaristia (cfr. 1 Cor 11,27-29). I Vescovi sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato[232].

Eucaristia, mistero da annunciare

Eucaristia e missione

84. Nell’omelia durante la Celebrazione eucaristica con cui ho dato inizio solenne al mio ministero sulla Cattedra di Pietro ho detto: «Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con Lui»[233]. Questa affermazione acquista una più forte intensità se pensiamo al Mistero eucaristico. In effetti, non possiamo tenere per noi l’amore che celebriamo nel Sacramento. Esso chiede per sua natura di essere comunicato a tutti. Ciò di cui il mondo ha bisogno è l’amore di Dio, è incontrare Cristo e credere in Lui. Per questo l’Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chiesa; lo è anche della sua missione: «Una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria»[234]. Anche noi dobbiamo poter dire ai nostri fratelli con convinzione: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi!» (1 Gv 1,3). Veramente non c’è niente di più bello che incontrare e comunicare Cristo a tutti. La stessa istituzione dell’Eucaristia, del resto, anticipa ciò che costituisce il cuore della missione di Gesù: Egli è l’inviato del Padre per la redenzione del mondo (cfr. Gv 3,16-17; Rm 8,32). Nell’Ultima Cena Gesù affida ai suoi discepoli il Sacramento che attualizza il sacrificio da Lui fatto di se stesso in obbedienza al Padre per la salvezza di tutti noi. Non possiamo accostarci alla Mensa eucaristica senza lasciarci trascinare nel movimento della missione che, prendendo avvio dal Cuore stesso di Dio, mira a raggiungere tutti gli uomini. Pertanto, è parte costitutiva della forma eucaristica dell’esistenza cristiana la tensione missionaria.

Eucaristia e testimonianza

85. La prima e fondamentale missione che ci viene dai santi Misteri che celebriamo è di rendere testimonianza con la nostra vita. Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo impegnandoci ad essere testimoni del suo amore. Diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell’amore di Dio raggiunge l’uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. Nella testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell’uomo. Gesù stesso è il testimone fedele e verace (cfr. Ap 1,5; 3,14); è venuto per rendere testimonianza alla verità (cfr. Gv 18,37). In quest’ordine di riflessioni mi preme riprendere un concetto caro ai primi cristiani, ma che colpisce anche noi, cristiani di oggi: la testimonianza fino al dono di se stessi, fino al martirio, è sempre stata considerata nella storia della Chiesa il culmine del nuovo culto spirituale: «Offrite i vostri corpi» (Rm 12,1). Si pensi, ad esempio, al racconto del martirio di san Policarpo di Smirne, discepolo di san Giovanni: tutta la drammatica vicenda è descritta come liturgia, anzi come un divenire Eucaristia del martire stesso[235]. Pensiamo anche alla coscienza eucaristica che Ignazio di Antiochia esprime in vista del suo martirio: egli si considera «frumento di Dio» e desidera di diventare nel martirio «pane puro di Cristo»[236]. Il cristiano che offre la sua vita nel martirio entra nella piena comunione con la Pasqua di Gesù Cristo e così diviene egli stesso con Lui Eucaristia. Ancora oggi non mancano alla Chiesa martiri in cui si manifesta in modo supremo l’amore di Dio. Anche quando non ci viene chiesta la prova del martirio, tuttavia, sappiamo che il culto gradito a Dio postula intimamente questa disponibilità[237] e trova la sua realizzazione nella lieta e convinta testimonianza, di fronte al mondo, di una vita cristiana coerente negli ambiti dove il Signore ci chiama ad annunciarlo.

Cristo Gesù, unico Salvatore

86. Sottolineare il rapporto intrinseco tra Eucaristia e missione ci fa riscoprire anche il contenuto ultimo del nostro annuncio. Quanto più nel cuore del popolo cristiano sarà vivo l’amore per l’Eucaristia, tanto più gli sarà chiaro il compito della missione: portare Cristo. Non solo un’idea o un’etica a Lui ispirata, ma il dono della sua stessa Persona. Chi non comunica la verità dell’Amore al fratello non ha ancora dato abbastanza. L’Eucaristia come sacramento della nostra salvezza ci richiama così inevitabilmente all’unicità di Cristo e della salvezza da Lui compiuta a prezzo del suo sangue. Pertanto, dal Mistero eucaristico, creduto e celebrato, sorge l’esigenza di educare costantemente tutti al lavoro missionario il cui centro è l’annuncio di Gesù, unico Salvatore[238]. Ciò impedirà di ridurre in chiave meramente sociologica la decisiva opera di promozione umana sempre implicata in ogni autentico processo di evangelizzazione.

Libertà di culto

87. In questo contesto, desidero dare voce a quanto hanno affermato i Padri durante l’Assemblea sinodale riguardo alle gravi difficoltà che investono la missione di quelle comunità cristiane che vivono in condizioni di minoranza o addirittura di privazione della libertà religiosa[239]. Dobbiamo rendere veramente grazie al Signore per tutti i Vescovi, sacerdoti, persone consacrate e laici, che si prodigano nell’annunciare il Vangelo e vivono la loro fede mettendo a repentaglio la propria vita. Non sono poche le regioni del mondo nelle quali il solo recarsi in chiesa costituisce un’eroica testimonianza che espone la vita del soggetto all’emarginazione e alla violenza. Anche in questa circostanza voglio confermare la solidarietà di tutta la Chiesa con coloro che soffrono per la mancanza di libertà di culto. Là dove manca la libertà religiosa, lo sappiamo, manca in definitiva la libertà più significativa, poiché nella fede l’uomo esprime l’intima decisione riguardo al senso ultimo della propria esistenza. Preghiamo, pertanto, che si allarghino gli spazi della libertà religiosa in tutti gli Stati, affinché i cristiani, come pure i membri delle altre religioni, possano liberamente vivere le loro convinzioni, personalmente e in comunità.

Eucaristia, mistero da offrire al mondo

Eucaristia, pane spezzato per la vita del mondo

88. «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6,51). Con queste parole il Signore rivela il vero significato del dono della propria vita per tutti gli uomini. Esse ci mostrano anche l’intima compassione che Egli ha per ogni persona. In effetti, tante volte i Vangeli ci riportano i sentimenti di Gesù nei confronti degli uomini, in special modo dei sofferenti e dei peccatori (cfr. Mt 20,34; Mc 6,34; Lc 19,41). Egli esprime attraverso un sentimento profondamente umano l’intenzione salvifica di Dio per ogni uomo, affinché raggiunga la vita vera. Ogni Celebrazione eucaristica attualizza sacramentalmente il dono che Gesù ha fatto della propria vita sulla Croce per noi e per il mondo intero. Al tempo stesso, nell’Eucaristia Gesù fa di noi testimoni della compassione di Dio per ogni fratello e sorella. Nasce così intorno al Mistero eucaristico il servizio della carità nei confronti del prossimo, che «consiste appunto nel fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neanche conosco. Questo può realizzarsi solo a partire dall’intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento. Allora imparo a guardare quest’altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo»[240]. In tal modo riconosco, nelle persone che avvicino, fratelli e sorelle per i quali il Signore ha dato la sua vita amandoli «fino alla fine» (Gv 13,1). Di conseguenza, le nostre comunità, quando celebrano l’Eucaristia, devono prendere sempre più coscienza che il sacrificio di Cristo è per tutti e pertanto l’Eucaristia spinge ogni credente in Lui a farsi «pane spezzato» per gli altri, e dunque ad impegnarsi per un mondo più giusto e fraterno. Pensando alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, dobbiamo riconoscere che Cristo ancora oggi continua ad esortare i suoi discepoli ad impegnarsi in prima persona: «Date loro voi stessi da mangiare» (Mt 14,16). Davvero la vocazione di ciascuno di noi è quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo.

Le implicazioni sociali del Mistero eucaristico

89. L’unione con Cristo che si realizza nel Sacramento ci abilita anche ad una novità di rapporti sociali: «la “mistica” del Sacramento ha un carattere sociale». Infatti, «l’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi»[241]. A questo proposito è necessario esplicitare la relazione tra Mistero eucaristico e impegno sociale. L’Eucaristia è sacramento di comunione tra fratelli e sorelle che accettano di riconciliarsi in Cristo, il quale ha fatto di ebrei e pagani un popolo solo, abbattendo il muro di inimicizia che li separava (cfr. Ef 2,14). Solo questa costante tensione alla riconciliazione consente di comunicare degnamente al Corpo e al Sangue di Cristo (cfr. Mt 5,23-24)[242]. Attraverso il memoriale del suo sacrificio, Egli rafforza la comunione tra i fratelli e, in particolare, sollecita coloro che sono in conflitto ad affrettare la loro riconciliazione aprendosi al dialogo e all’impegno per la giustizia. È fuori dubbio che condizioni per costruire una vera pace siano la restaurazione della giustizia, la riconciliazione e il perdono[243]. Da questa consapevolezza nasce la volontà di trasformare anche le strutture ingiuste per ristabilire il rispetto della dignità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. È attraverso lo svolgimento concreto di questa responsabilità che l’Eucaristia diventa nella vita ciò che essa significa nella celebrazione. Come ho avuto modo di affermare, non è compito proprio della Chiesa quello di prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile; tuttavia, essa non può e non deve neanche restare ai margini della lotta per la giustizia. La Chiesa «deve inserirsi in essa per via dell’argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunzie, non può affermarsi e prosperare»[244].

Nella prospettiva della responsabilità sociale di tutti i cristiani i Padri sinodali hanno ricordato che il sacrificio di Cristo è mistero di liberazione che ci interpella e provoca continuamente. Rivolgo pertanto un appello a tutti i fedeli ad essere realmente operatori di pace e di giustizia: «Chi partecipa all’Eucaristia, infatti, deve impegnarsi a costruire la pace nel nostro mondo segnato da molte violenze e guerre, e oggi, in modo particolare, dal terrorismo, dalla corruzione economica e dallo sfruttamento sessuale»[245]. Tutti problemi, questi, che a loro volta generano altri fenomeni avvilenti che destano viva preoccupazione. Noi sappiamo che queste situazioni non possono essere affrontate in modo superficiale. Proprio in forza del Mistero che celebriamo, occorre denunciare le circostanze che sono in contrasto con la dignità dell’uomo, per il quale Cristo ha versato il suo sangue, affermando così l’alto valore di ogni singola persona.

Il cibo della verità e l’indigenza dell’uomo

90. Non possiamo rimanere inattivi di fronte a certi processi di globalizzazione che non di rado fanno crescere a dismisura lo scarto tra ricchi e poveri a livello mondiale. Dobbiamo denunciare chi dilapida le ricchezze della terra, provocando disuguaglianze che gridano verso il cielo (cfr. Gc 5,4). Ad esempio, è impossibile tacere di fronte alle «immagini sconvolgenti dei grandi campi di profughi o di rifugiati — in diverse parti del mondo — raccolti in condizioni di fortuna, per scampare a sorte peggiore, ma di tutto bisognosi. Non sono, questi esseri umani, nostri fratelli e sorelle? Non sono i loro bambini venuti al mondo con le stesse legittime attese di felicità degli altri?»[246]. Il Signore Gesù, Pane di vita eterna, ci sprona e ci rende attenti alle situazioni di indigenza in cui versa ancora gran parte dell’umanità: sono situazioni la cui causa implica spesso una chiara ed inquietante responsabilità degli uomini. Infatti, «sulla base di dati statistici disponibili si può affermare che meno della metà delle immense somme globalmente destinate agli armamenti sarebbe più che sufficiente per togliere stabilmente dall’indigenza lo sterminato esercito dei poveri. La coscienza umana ne è interpellata. Alle popolazioni che vivono sotto la soglia della povertà, più a causa di situazioni dipendenti dai rapporti internazionali politici, commerciali e culturali, che non a motivo di circostanze incontrollabili, il nostro comune impegno nella verità può e deve dare nuova speranza»[247].

Il cibo della verità ci spinge a denunciare le situazioni indegne dell’uomo, in cui si muore per mancanza di cibo a causa dell’ingiustizia e dello sfruttamento, e ci dona nuova forza e coraggio per lavorare senza sosta all’edificazione della civiltà dell’amore. Dall’inizio i cristiani si sono preoccupati di condividere i loro beni (cfr. At 4,32) e di aiutare i poveri (cfr. Rm 15,26). L’elemosina che si raccoglie nelle assemblee liturgiche ne è un vivo ricordo, ma è anche una necessità assai attuale. Le istituzioni ecclesiali di beneficenza, in particolare la Caritas a vari livelli, svolgono il prezioso servizio di aiutare le persone in necessità, soprattutto i più poveri. Traendo ispirazione dall’Eucaristia, che è il sacramento della carità, esse ne divengono l’espressione concreta; meritano perciò ogni plauso ed incoraggiamento per il loro impegno solidale nel mondo.

La dottrina sociale della Chiesa

91. Il mistero dell’Eucaristia ci abilita e ci spinge ad un impegno coraggioso nelle strutture di questo mondo per portarvi quella novità di rapporti che ha nel dono di Dio la sua fonte inesauribile. La preghiera, che ripetiamo in ogni santa Messa: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano», ci obbliga a fare tutto il possibile, in collaborazione con le istituzioni internazionali, statali, private, perché cessi o perlomeno diminuisca nel mondo lo scandalo della fame e della sottoalimentazione di cui soffrono tanti milioni di persone, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il cristiano laico in particolare, formato alla scuola dell’Eucaristia, è chiamato ad assumere direttamente la propria responsabilità politica e sociale. Perché egli possa svolgere adeguatamente i suoi compiti occorre prepararlo attraverso una concreta educazione alla carità e alla giustizia. Per questo, come è stato richiesto dal Sinodo, è necessario che nelle Diocesi e nelle comunità cristiane venga fatta conoscere e promossa la dottrina sociale della Chiesa[248]. In questo prezioso patrimonio, proveniente dalla più antica tradizione ecclesiale, troviamo gli elementi che orientano con profonda sapienza il comportamento dei cristiani di fronte alle questioni sociali scottanti. Questa dottrina, maturata durante tutta la storia della Chiesa, si caratterizza per realismo ed equilibrio, aiutando così ad evitare fuorvianti compromessi o vacue utopie.

Santificazione del mondo e salvaguardia del creato

92. Infine, per sviluppare una spiritualità eucaristica profonda, capace di incidere significativamente anche nel tessuto sociale, è necessario che il popolo cristiano, che rende grazie per mezzo dell’Eucaristia, abbia coscienza di farlo in nome dell’intera creazione, aspirando così alla santificazione del mondo e lavorando intensamente a tal fine[249]. L’Eucaristia stessa getta una luce potente sulla storia umana e su tutto il cosmo. In questa prospettiva sacramentale impariamo, giorno per giorno, che ogni evento ecclesiale possiede il carattere di segno, attraverso il quale Dio comunica se stesso e ci interpella. In tal maniera, la forma eucaristica dell’esistenza può davvero favorire un autentico cambiamento di mentalità nel modo con cui leggiamo la storia ed il mondo. La liturgia stessa ci educa a tutto questo, quando, durante la presentazione dei doni, il sacerdote rivolge a Dio una preghiera di benedizione e di richiesta in relazione al pane e al vino, «frutto della terra», «della vite» e del «lavoro dell’uomo». Con queste parole, oltre che coinvolgere nell’offerta a Dio tutta l’attività e la fatica umana, il rito ci spinge a considerare la terra come creazione di Dio, che produce per noi ciò di cui abbiamo bisogno per il nostro sostentamento. Essa non è una realtà neutrale, mera materia da utilizzare indifferentemente secondo l’umano istinto. Piuttosto si colloca all’interno del disegno buono di Dio, per il quale tutti noi siamo chiamati ad essere figli e figlie nell’unico Figlio di Dio, Gesù Cristo (cfr. Ef 1,4-12). Le giuste preoccupazioni per le condizioni ecologiche in cui versa il creato in tante parti del mondo trovano conforto nella prospettiva della speranza cristiana, che ci impegna ad operare responsabilmente per la salvaguardia del creato[250]. Nel rapporto tra l’Eucaristia e il cosmo, infatti, scopriamo l’unità del disegno di Dio e siamo portati a cogliere la profonda relazione tra la creazione e la «nuova creazione», inaugurata nella risurrezione di Cristo, nuovo Adamo. Ad essa noi partecipiamo già ora in forza del Battesimo (cfr. Col 2,12s) e così alla nostra vita cristiana, nutrita dall’Eucaristia, si apre la prospettiva del mondo nuovo, del nuovo cielo e della nuova terra, dove la nuova Gerusalemme scende dal cielo, da Dio, «pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2).

Utilità di un Compendio eucaristico

93. Al termine di queste riflessioni, in cui ho voluto soffermarmi sugli orientamenti emersi nel Sinodo, desidero accogliere anche la richiesta che i Padri hanno avanzato per aiutare il popolo cristiano a credere, celebrare e vivere sempre meglio il Mistero eucaristico. A cura dei competenti Dicasteri sarà pubblicato un Compendio, che raccoglierà testi del Catechismo della Chiesa Cattolica, orazioni, spiegazioni delle Preghiere Eucaristiche del Messale e quant’altro possa rivelarsi utile per la corretta comprensione, celebrazione e adorazione del Sacramento dell’altare[251]. Mi auguro che questo strumento possa contribuire a fare sì che il memoriale della Pasqua del Signore diventi ogni giorno di più fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. Ciò stimolerà ogni fedele a fare della propria vita un vero culto spirituale.

Conclusione

94. Cari fratelli e sorelle, l’Eucaristia è all’origine di ogni forma di santità ed ognuno di noi è chiamato a pienezza di vita nello Spirito Santo. Quanti santi hanno reso autentica la propria vita grazie alla loro pietà eucaristica! Da sant’Ignazio d’Antiochia a sant’Agostino, da sant’Antonio Abate a san Benedetto, da san Francesco d’Assisi a san Tommaso d’Aquino, da santa Chiara d’Assisi a santa Caterina da Siena, da san Pasquale Baylon a san Pier Giuliano Eymard, da sant’Alfonso Maria de’ Liguori al beato Charles de Foucauld, da san Giovanni Maria Vianney a santa Teresa di Lisieux, da san Pio da Pietrelcina alla beata Teresa di Calcutta, dal beato Piergiorgio Frassati al beato Ivan Merz, per fare solo alcuni dei tantissimi nomi, la santità ha sempre trovato il suo centro nel Sacramento dell’Eucaristia.

È perciò necessario che nella Chiesa questo santissimo Mistero sia veramente creduto, devotamente celebrato e intensamente vissuto. Il dono che Gesù fa di sé nel Sacramento memoriale della sua passione ci attesta che la riuscita della nostra vita sta nella partecipazione alla vita trinitaria, che in Lui ci è offerta in modo definitivo ed efficace. La celebrazione e l’adorazione dell’Eucaristia permettono di accostarci all’amore di Dio e di aderirvi personalmente fino all’unione con l’amato Signore. L’offerta della nostra vita, la comunione con tutta la comunità dei credenti e la solidarietà con ogni uomo sono aspetti imprescindibili della «logiké latreía», del culto spirituale, santo e gradito a Dio (cfr. Rm 12,1), in cui tutta la nostra concreta realtà umana è trasformata a gloria di Dio. Invito pertanto tutti i pastori a porre la massima attenzione nella promozione di una spiritualità cristiana autenticamente eucaristica. I presbiteri, i diaconi e tutti coloro che svolgono un ministero eucaristico possano sempre trarre da questi stessi servizi, adempiuti con cura e costante preparazione, forza e stimolo per il proprio personale e comunitario cammino di santificazione. Esorto tutti i laici, le famiglie in particolare, a trovare continuamente nel Sacramento dell’amore di Cristo l’energia per trasformare la propria vita in un segno autentico della presenza del Signore risorto. Chiedo a tutti i consacrati e consacrate di mostrare con la propria esistenza eucaristica lo splendore e la bellezza di appartenere totalmente al Signore.

95. All’inizio del quarto secolo il culto cristiano era ancora proibito dalle autorità imperiali. Alcuni cristiani del Nord Africa, che si sentivano impegnati alla celebrazione del Giorno del Signore, sfidarono la proibizione. Furono martirizzati mentre dichiaravano che non era loro possibile vivere senza l’Eucaristia, cibo del Signore: sine dominico non possumus[252]. Questi martiri di Abitine, uniti a tanti Santi e Beati che hanno fatto dell’Eucaristia il centro della loro vita, intercedano per noi e ci insegnino la fedeltà all’incontro con Cristo risorto. Anche noi non possiamo vivere senza partecipare al Sacramento della nostra salvezza e desideriamo essere iuxta dominicam viventes, tradurre cioè nella vita quello che celebriamo nel Giorno del Signore. Questo giorno, in effetti, è il giorno della nostra definitiva liberazione. C’è da meravigliarsi se desideriamo che ogni giorno sia vissuto secondo la novità introdotta da Cristo con il mistero dell’Eucaristia?

96. Maria Santissima, Vergine immacolata, arca della nuova ed eterna alleanza, ci accompagni in questo cammino incontro al Signore che viene. In Lei troviamo realizzata l’essenza della Chiesa nel modo più perfetto. La Chiesa vede in Maria, «Donna eucaristica» — come l’ha chiamata il Servo di Dio Giovanni Paolo II[253] —, la propria icona meglio riuscita e la contempla come modello insostituibile di vita eucaristica. Per questo, predisponendosi ad accogliere sull’altare il «verum Corpus natum de Maria Virgine», il sacerdote, a nome dell’assemblea liturgica, afferma con le parole del canone: «Ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre Vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo»[254]. Il suo santo nome è invocato e venerato anche nei canoni delle tradizioni orientali cristiane. I fedeli, per parte loro, «raccomandano a Maria, Madre della Chiesa, la loro esistenza ed il loro lavoro. Sforzandosi di avere gli stessi sentimenti di Maria, aiutano tutta la comunità a vivere in offerta viva, gradita al Padre»[255]. Lei è la Tota pulchra, la Tutta bella, poiché in Lei risplende il fulgore della gloria di Dio. La bellezza della liturgia celeste, che deve riflettersi anche nelle nostre assemblee, trova in Lei uno specchio fedele. Da Lei dobbiamo imparare a diventare noi stessi persone eucaristiche ed ecclesiali per poter anche noi, secondo la parola di san Paolo, presentarci “immacolati” al cospetto del Signore, così come Egli ci ha voluto fin dal principio (cfr. Col 1,21; Ef 1,4)[256].

97. Per intercessione della Beata Vergine Maria, lo Spirito Santo accenda in noi lo stesso ardore che sperimentarono i discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35) e rinnovi nella nostra vita lo stupore eucaristico per lo splendore e la bellezza che rifulgono nel rito liturgico, segno efficace della stessa bellezza infinita del mistero santo di Dio. Quei discepoli si alzarono e ritornarono in fretta a Gerusalemme per condividere la gioia con i fratelli e le sorelle nella fede. La vera gioia infatti è riconoscere che il Signore rimane tra noi, compagno fedele del nostro cammino. L’Eucaristia ci fa scoprire che Cristo, morto e risorto, si mostra nostro contemporaneo nel mistero della Chiesa, suo Corpo. Di questo mistero d’amore siamo resi testimoni. Auguriamoci vicendevolmente di andare colmi di gioia e di meraviglia all’incontro con la santa Eucaristia, per sperimentare e annunciare agli altri la verità della parola con cui Gesù si è congedato dai suoi discepoli: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 febbraio 2007, festa della Cattedra di San Pietro Apostolo, secondo del mio Pontificato.

Benedictus PP. XVI

[1] Cfr. Elenchus definitivus propositionum, in "La Documentation Catholique", 21, pp. 1088-1100, 6-XII-1987.

[2] Cfr. Elenchus definitivus propositionum, in "La Documentation Catholique", 21, pp. 1088-1100, 6-XII-1987.

[3] BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria della Congregazione per la Dottrina della fede (10 febbraio 2006): AAS 98 (2006), 255.

[4] Cfr. BENEDETTO XVI, Discorso ai Membri del Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi (1 giugno 2006): L’Osservatore Romano, 2 giugno 2006, p. 5.

[5] Cfr. Propositio 2.

[6] Mi riferisco qui alla necessità di una ermeneutica della continuità anche in riferimento ad una corretta lettura dello sviluppo liturgico dopo il Concilio Vaticano II: cfr. BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98 (2006), 44-45.

[7] Cfr. AAS 97 (2005), 337-352.

[8] Cfr. Anno dell’Eucaristia: suggerimenti e proposte (15 ottobre 2004): L’Osservatore Romano, 15 ottobre 2004, Supplemento.

[9] Cfr. AAS 95 (2003), 433-475. Si ricordi anche l’Istr. della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004): AAS 96 (2004), 549-601, voluta espressamente da Giovanni Paolo II.

[10] Solo per ricordare i principali: CONC. ECUM. DI TRENTO, Doctrina et canones de ss. Missae sacrificio, DS 1738-1759; LEONE XIII, Lett. enc. Mirae caritatis (28 maggio 1902): ASS (1903), 115-136; PIO XII, Lett. enc. Mediator Dei (20 novembre 1947): AAS 39 (1947), 521-595; PAOLO VI, Lett. enc. Mysterium fidei (3 settembre 1965): AAS 57 (1965), 753-774; GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003): AAS 95 (2003), 433-475; CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istr. Eucharisticum mysterium (25 maggio 1967): AAS 59 (1967), 539-573; Istr. Liturgiam authenticam (28 marzo 2001): AAS 93 (2001), 685-726.

[11] Cfr. Propositio 1.

[12] N. 14: AAS 98 (2006), 229.

[13] Catechismo della Chiesa Cattolica, 1327.

[14] Propositio 16.

[15] BENEDETTO XVI, Omelia in occasione dell’insediamento sulla Cattedra Romana (7 maggio 2005): AAS 97 (2005), 752.

[16] Cfr. Propositio 4.

[17] De Trinitate, VIII, 8, 12: CCL 50, 287.

[18] Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 12: AAS 98 (2006), 228.

[19] Cfr. Propositio 3.

[20] Breviario Romano, Inno all’Ufficio delle Letture della solennità del Corpus Domini.

[21] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Deus caritas est, (25 dicembre 2005), 13: AAS 98 (2006), 228.

[22] Cfr. BENEDETTO XVI, Omelia sulla Spianata di Marienfeld (21 agosto 2005): AAS 97 (2005), 891-892.

[23] Cfr. Propositio 3.

[24] Cfr. Messale Romano, Preghiera eucaristica IV.

[25] Catechesi XXIII, 7: PG 33, 1114 s.

[26] Cfr. Sul Sacerdozio, VI, 4: PG 48, 681.

[27] Ibidem, III, 4: PG 48, 642.

[28] Propositio 22.

[29] Cfr. Propositio 42: «Questo incontro eucaristico si realizza nello Spirito Santo che ci trasforma e santifica. Egli risveglia nel discepolo la volontà decisa di annunciare agli altri, con audacia, quanto si è ascoltato e vissuto, per condurre anche loro allo stesso incontro con Cristo. In questo modo, il discepolo, inviato dalla Chiesa, si apre ad una missione senza frontiere».

[30] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 3; ad esempio, si veda S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Catechesi 3,13-19: SC 50,174-177.

[31] GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 1: AAS 95 (2003), 433.

[32] Ibidem, 21: AAS 95 (2003), 447.

[33] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 20: AAS 71 (1979), 309-316; Lett. ap. Dominicae Cenae (24 febbraio 1980), 4: AAS 72 (1980), 119-121.

[34] Cfr. Propositio 5.

[35] S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, III, q. 80, a 4.

[36] N. 38: AAS 95 (2003), 458.

[37] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 23.

[38] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione Communionis Notio (28 maggio 1992), 11: AAS 85 (1993), 844-845.

[39] Propositio 5: «Il termine “cattolico” esprime l’universalità proveniente dall’unità che l’Eucaristia, celebrata in ogni Chiesa, favorisce ed edifica. Le Chiese particolari nella Chiesa universale hanno così, nell’Eucaristia, il compito di rendere visibile la loro propria unità e la loro diversità. Questo legame di amore fraterno lascia trasparire la comunione trinitaria. I concili e i sinodi esprimono nella storia quest’aspetto fraterno della Chiesa».

[40] Cfr. ibidem.

[41] Decr. sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis, 5.

[42] Cfr. Propositio 14.

[43] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 1.

[44] De Orat. Dom., 23: PL 4, 553.

[45] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 48; cfr. anche ibidem 9.

[46] Cfr. Propositio 13.

[47] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 7.

[48] Cfr. ibidem, 11; CONC. ECUM. VAT. II, Decr. sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 9.13.

[49] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Dominicae Cenae (24 febbraio 1980), 7: AAS 72 (1980), 124-127; CONC. ECUM. VAT. II, Decr. sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis, 5.

[50] Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 710.

[51] Cfr. Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, introd. gen. nn. 34-36.

[52] Cfr. Rito del Battesimo dei bambini, introd. nn. 18-19.

[53] Cfr. Propositio 15.

[54] Cfr. Propositio 7; GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 36: AAS 95 (2003), 457-458.

[55] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Reconciliatio et Paenitentia (2 dicembre 1984), 18: AAS 77 (1985), 224-228.

[56] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1385.

[57] Si pensi qui al Confiteor o alle parole del sacerdote e dell’assemblea prima di accostarsi all’altare: «Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa ma di’ soltanto una parola ed io sarò salvato!». Non è senza significato che la liturgia preveda anche per il sacerdote alcune preghiere molto belle, consegnateci dalla tradizione, che richiamano al bisogno di essere perdonati, come ad esempio quella pronunciata sottovoce, prima di invitare i fedeli alla comunione sacramentale: «Per il santo mistero del tuo corpo e del tuo sangue liberami da ogni colpa e da ogni male, fa’ che sia sempre fedele alla tua legge e non sia mai separato da te».

[58] Cfr. S. GIOVANNI DAMASCENO, Sulla retta fede, IV, 9: PG 94, 1124C; S. GREGORIO NAZIANZENO, Discorso 39, 17: PG 36, 356A; CONC. ECUM. DI TRENTO, Doctrina de sacramento paenitentiae, cap. 2: DS 1672.

[59] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 11; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Reconciliatio et Paenitentia (2 dicembre 1984), 30: AAS 77 (1985), 256-257.

[60] Cfr. Propositio 7.

[61] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Motu proprio Misericordia Dei (7 aprile 2002): AAS 94 (2002), 452-459.

[62] Insieme ai Padri sinodali ricordo che le celebrazioni penitenziali non sacramentali, menzionate nel rituale del sacramento della Riconciliazione, possono essere utili per incrementare lo spirito di conversione e di comunione nelle comunità cristiane, preparando così i cuori alla celebrazione del sacramento: cfr. Propositio 7.

[63] Cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 508.

[64] PAOLO VI, Cost. ap. Indulgentiarum doctrina (1 gennaio 1967), Normae, n. 1: AAS 59 (1967), 21.

[65] Ibidem, 9: AAS 59 (1967), 18-19.

[66] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1499-1531.

[67] Ibidem, 1524.

[68] Cfr. Propositio 44.

[69] Cfr. SINODO DEI VESCOVI, II Assemblea Generale, Documento sul sacerdozio ministeriale Ultimis temporibus (30 novembre 1971): AAS 63 (1971), 898-942.

[70] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 42-69: AAS 84 (1992), 729-778.

[71] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 10; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera circa alcune questioni riguardanti il ministro dell’Eucaristia Sacerdotium ministeriale (6 agosto 1983): AAS 75 (1983), 1001-1009.

[72] Catechismo della Chiesa Cattolica, 1548.

[73] Ibidem, 1552.

[74] Cfr. In Iohannis Evangelium Tractatus 123,5: PL 35, 1967.

[75] Cfr. Propositio 11.

[76] Cfr. Decr. sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum Ordinis, 16.

[77] Cfr. GIOVANNI XXIII, Lett. enc. Sacerdotii nostri primordia (1 agosto 1959): AAS 51 (1959), 545-579; PAOLO VI, Lett. enc. Sacerdotalis coelibatus (24 giugno 1967): AAS 59 (1967), 657-697; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 29: AAS 84 (1992), 703-705; BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2006): L’Osservatore Romano, 23 dicembre 2006, p. 6.

[78] Cfr. Propositio 11.

[79] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. sulla formazione sacerdotale Optatam totius, 6; Codice di Diritto Canonico, can. 241, § 1 e can. 1029; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 342, § 1 e can. 758; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992) 11.34.50: AAS 84 (1992), 673-675; 712-714; 746-748; CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri Dives Ecclesiae (31 marzo 1994), 58: LEV, 1994, pp. 56-58; CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri (4 novembre 2005): AAS 97 (2005), 1007-1013.

[80] Cfr. Propositio 12; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992) 41: AAS 84 (1992), 726-729.

[81] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 29.

[82] Cfr. Propositio 38.

[83] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Familiaris consortio (22 novembre 1981), 57: AAS 74 (1982), 149-150.

[84] Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 26: AAS 80 (1988), 1715-1716.

[85] Catechismo della Chiesa Cattolica, 1617.

[86] Cfr. Propositio 8.

[87] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 11.

[88] Cfr. Propositio 8.

[89] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988): AAS 80 (1988), 1653-1729; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo (31 maggio 2004): AAS 96 (2004), 671-687.

[90] Cfr. Propositio 9.

[91] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1640.

[92] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Familiaris consortio (22 novembre 1981), 84: AAS 74 (1982), 184-186; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati Annus Internationalis Familiae (14 settembre 1994): AAS 86 (1994), 974-979.

[93] Cfr. PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Istruzione sulle norme da osservarsi nei tribunali ecclesiastici nelle cause matrimoniali Dignitas connubii (25 gennaio 2005), Città del Vaticano, 2005.

[94] Cfr. Propositio 40.

[95] BENEDETTO XVI, Discorso al Tribunale della Rota Romana in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario (28 gennaio 2006): AAS 98 (2006), 138.

[96] Cfr. Propositio 40.

[97] Cfr. ibidem.

[98] Cfr. ibidem.

[99] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 48.

[100] Cfr. Propositio 3.

[101] Vorrei qui richiamare le parole piene di speranza e di conforto che troviamo nella Preghiera eucaristica II: «Ricordati dei nostri fratelli che si sono addormentati nella speranza della risurrezione e di tutti i defunti che si affidano alla tua clemenza: ammettili a godere la luce del tuo volto».

[102] Cfr. BENEDETTO XVI, Omelia (8 dicembre 2005): AAS 98 (2006), 15-16.

[103] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 58.

[104] \04. Propositio 4.

[105] Relatio post disceptationem, 4: L’Osservatore Romano, 14 ottobre 2005, p. 5.

[106] Cfr. Sermo 1, 7; 11, 10; 22, 7; 29, 76: Sermones dominicales ad fidem codicum nunc denuo editi, Grottaferrata 1977, pp. 135, 209 s., 292 s., 337; BENEDETTO XVI, Messaggio ai Movimenti Ecclesiali e alle Nuove Comunità (22 maggio 2006): AAS 98 (2006), 463.

[107] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22.

[108] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina rivelazione Dei Verbum, 2.4.

[109] Propositio 33.

[110] Sermo 227, 1: PL 38, 1099.

[111] S. AGOSTINO, In Iohannis Evangelium Tractatus 21, 8: PL 35, 1568.

[112] Ibidem, 28,1: PL 35, 1622.

[113] Cfr. Propositio 30. Anche la santa Messa che la Chiesa celebra durante la settimana, ed a cui i fedeli sono invitati a partecipare, trova la sua forma propria nel giorno del Signore, il giorno della risurrezione di Cristo; Propositio 43.

[114] Cfr. Propositio 2.

[115] Cfr. Propositio 25.

[116] Cfr. Propositio 19. La Propositio 25 specifica: «Un’autentica azione liturgica esprime la sacralità del Mistero eucaristico. Questa dovrebbe trasparire nelle parole e nelle azioni del sacerdote celebrante, mentre egli intercede presso Dio Padre sia con i fedeli sia per loro».

[117] Ordinamento Generale del Messale Romano, 22; Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 41; CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istr. Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004),19-25: AAS 96 (2004), 555-557.

[118] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, 14; Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 41.

[119] Ordinamento Generale del Messale Romano, 22.

[120] Cfr. ibidem.

[121] Cfr. Propositio 25.

[122] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 112-130.

[123] Cfr. Propositio 27.

[124] Cfr. ibidem.

[125] Per tutto quanto riguarda questi aspetti occorre attenersi fedelmente a quanto indicato nell’Ordinamento Generale del Messale Romano, 319-351.

[126] Cfr. Ordinamento Generale del Messale Romano, 39-41; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 112-118.

[127] Sermo 34,1: PL 38, 210.

[128] Cfr. Propositio 25: «Come tutte le espressioni artistiche anche il canto deve essere intimamente armonizzato con la liturgia, partecipare efficacemente al suo fine, ossia deve esprimere la fede, la preghiera, lo stupore, l’amore verso Gesù presente nell’Eucaristia».

[129] Cfr. Propositio 29.

[130] Cfr. Propositio 36.

[131] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 116; Ordinamento Generale del Messale Romano, 41.

[132] Ordinamento Generale del Messale Romano, 28; cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 56; SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istr. Eucharisticum Mysterium (25 maggio 1967), 3: AAS 57 (1967), 540-543.

[133] Cfr. Propositio 18.

[134] Ibidem.

[135] Ordinamento Generale del Messale Romano, 29.

[136] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Fides et Ratio (14 settembre 1998), 13: AAS 91 (1999), 15-16.

[137] S. GEROLAMO, Comm. in Is., Prol.: PL 24, 17; cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 25.

[138] Cfr. Propositio 31.

[139] Ordinamento Generale del Messale Romano, 29; cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 7.33.52.

[140] Propositio 19.

[141] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 52.

[142] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 21.

[143] A tale scopo il Sinodo ha esortato ad elaborare sussidi pastorali, basati sul lezionario triennale, che aiutino a legare in modo intrinseco la proclamazione delle letture previste con la dottrina della fede: cfr. Propositio 19.

[144] Cfr. Propositio 20.

[145] Ordinamento Generale del Messale Romano, 78.

[146] Cfr. ibidem, 78-79.

[147] Cfr. Propositio 22.

[148] Ordinamento Generale del Messale Romano, 79d.

[149] Ibidem, 79c.

[150] Tenendo conto di consuetudini antiche e venerabili e dei desideri espressi dai Padri sinodali, ho chiesto ai competenti Dicasteri di studiare la possibilità di collocare lo scambio della pace in altro momento, ad esempio prima della presentazione dei doni all’altare. Tale scelta, peraltro, non mancherebbe di suscitare un significativo richiamo all’ammonimento del Signore sulla necessaria riconciliazione previa ad ogni offerta a Dio (cfr. Mt 5,23s): cfr. Propositio 23.

[151] Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istr. Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004), 80-96: AAS 96 (2004), 574-577.

[152] Cfr. Propositio 34.

[153] Cfr. Propositio 35.

[154] Cfr. Propositio 24.

[155] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 14-20; 30s; 48s; CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istr. Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004), 36-42: AAS 96 (2004), 561-564.

[156] N. 48.

[157] Ibidem.

[158] Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CLERO E ALTRI DICASTERI DELLA CURIA ROMANA, Istr. su alcune questioni circa la collaborazione dei laici nel ministero dei sacerdoti Ecclesiae de mysterio (15 agosto 1997): AAS 89 (1997), 852-877.

[159] Cfr. Propositio 33.

[160] Ordinamento Generale del Messale Romano, 92.

[161] Cfr. ibidem, 94.

[162] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Decr. sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, 24; Ordinamento Generale del Messale Romano, nn. 95-111; CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istr. Redemptionis Sacramentum (25 marzo 2004), 43-47: AAS 96 (2004), 564-566; Propositio 33: «Questi ministeri devono essere introdotti secondo uno specifico mandato e secondo le reali esigenze della comunità che celebra. Le persone incaricate di questi servizi liturgici laicali devono essere scelte accuratamente, ben preparate e accompagnate con una formazione permanente. La loro nomina deve essere a tempo. Queste persone devono essere conosciute dalla comunità e devono ricevere da essa anche un grato riconoscimento».

[163] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 37-42.

[164] Cfr. Ordinamento Generale del Messale Romano, 386-399.

[165] AAS 87 (1995), 288-314.

[166] Esort. ap. postsinodale Ecclesia in Africa (14 settembre 1995), 55-71: AAS 88 (1996), 34-47; Esort. ap. postsinodale Ecclesia in America (22 gennaio 1999), 16.40.64.70-72: AAS 91 (1999), 752-753; 775-776; 799; 805-809; Esort. ap. postsinodale Ecclesia in Asia (6 novembre 1999), 21s.: AAS 92 (2000), 482-487; Esort. ap. postsinodale Ecclesia in Oceania (22 novembre 2001), 16: AAS 94 (2002), 382-384; Esort. ap. postsinodale Ecclesia in Europa (28 giugno 2003), 58-60: AAS 95 (2003), 685-686.

[167] Cfr. Propositio 26.

[168] Cfr. Propositio 35; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 11.

[169] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1388; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 55.

[170] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 34: AAS 95 (2003), 456.

[171] Quali, ad esempio, S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, III, q. 80, a. 1,2; S. TERESA DI GESÙ, Cammino di perfezione, cap. 35. La dottrina è stata autorevolmente confermata dal CONCILIO DI TRENTO, sess. XIII, c. VIII.

[172] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Ut unum sint (25 maggio 1995), 8: AAS 87 (1995), 925-926.

[173] Cfr. Propositio 41; CONC. ECUM. VAT. II, Decr. sull’ecumenismo Unitatis redintegratio, 8, 15; GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Ut unum sint (25 maggio 1995), 46: AAS 87 (1995), 948; Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 45-46: AAS 95 (2003), 463-464; Codice di Diritto Canonico, can. 844 §§ 3-4; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 671 §§ 3-4; PONTIFICIO CONSIGLIO PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI, Directoire pour l’application des principes et des normes sur l’œcuménisme (25 marzo 1993), 125, 129-131: AAS 85 (1993), 1087, 1088-1089.

[174] Cfr. nn. 1398-1401.

[175] Cfr. n. 293.

[176] Cfr. PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, Istr. past. sulle Comunicazioni Sociali nel 20° Anniversario della «Communio et Progressio» Aetatis novae (22 febbraio 1992): AAS 84 (1992), 447-468.

[177] Cfr. Propositio 29.

[178] Cfr. Propositio 44.

[179] Cfr. Propositio 48.

[180] Tale conoscenza può essere effettuata anche negli anni di formazione dei candidati al sacerdozio in seminario attraverso opportune iniziative: cfr. Propositio 45.

[181] Cfr. Propositio 37.

[182] Cfr. Cost. sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, 36 e 54.

[183] Propositio 36.

[184] Cfr. ibidem.

[185] Cfr. Propositio 32.

[186] Cfr. Propositio 14.

[187] Propositio 19.

[188] Cfr. Propositio 14.

[189] Cfr. BENEDETTO XVI, Omelia ai primi Vespri di Pentecoste (3 giugno 2006): AAS 98 (2006), 509.

[190] Cfr. Propositio 34.

[191] Enarrationes in Psalmos 98,9: CCL XXXIX, 1385; cfr. BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98 (2006), 44-45.

[192] Cfr. Propositio 6.

[193] BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2005): AAS 98 (2006), 45.

[194] Cfr. Propositio 6; CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia (17 dicembre 2001), nn. 164-165, Città del Vaticano 2002, pp.137-139; SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istr. Eucharisticum Mysterium (25 maggio 1967): AAS 57 (1967), 539-573.

[195] Cfr. Relatio post disceptationem, 11: L’Osservatore Romano, 14 ottobre 2005, p. 5.

[196] Cfr. Propositio 28.

[197] Cfr. n. 314.

[198] VII, 10, 16: PL 32, 742.

[199] BENEDETTO XVI, Omelia sulla Spianata di Marienfeld, (21 agosto 2005): AAS 97 (2005), 892; cfr. Omelia nella Veglia di Pentecoste (3 giugno 2006): AAS 98 (2006), 505.

[200] Cfr. Relatio post disceptationem, 6, 47: L’Osservatore Romano, 14 ottobre 2005, pp. 5-6; Propositio 43.

[201] De civitate Dei, X, 6: PL 41, 284.

[202] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1368.

[203] Cfr. S. IRENEO, Contro le eresie, IV, 20, 7: PG 7, 1037.

[204] Epistola ai Magnesiani, 9,1: PG 5, 670.

[205] Cfr. I Apologia, 67, 1-6; 66: PG 6, 430 s. 427. 430.

[206] Cfr. Propositio 30.

[207] Cfr. AAS 90 (1998), 713-766.

[208] Propositio 30.

[209] Omelia (19 marzo 2006): AAS 98 (2006), 324.

[210] Opportunamente nota al riguardo il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 258: «All’uomo, legato alla necessità del lavoro, il riposo apre la prospettiva di una libertà più piena, quella del sabato eterno (cfr. Eb 4,9-10). Il riposo consente agli uomini di ricordare e di rivivere le opere di Dio, dalla Creazione alla Redenzione, di riconoscersi essi stessi come opera sua (cfr. Ef 2,10), di rendere grazie della propria vita e della propria sussistenza a Lui, che ne è l’autore».

[211] Cfr. Propositio 10.

[212] Cfr. ibidem.

[213] Cfr. BENEDETTO XVI, Discorso ai Vescovi della Conferenza episcopale del Canada-Quebec in visita ad limina Apostolorum (11 maggio 2006): L’Osservatore Romano, 12 maggio 2006, p. 5.

[214] N. 10: AAS 71 (1979), 414-415.

[215] BENEDETTO XVI, Udienza generale del 29 marzo 2006: L’Osservatore Romano, 30 marzo 2006, p. 4.

[216] Propositio 39.

[217] Cfr. Relatio post disceptationem, 30: L’Osservatore Romano, 14 ottobre 2005, p. 6.

[218] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 39-42.

[219] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 14.16: AAS 81 (1989), 409-413; 416-418.

[220] Cfr. Propositio 39.

[221] Cfr. ibidem.

[222] Pontificale Romano. Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi, Rito dell’ordinazione del presbitero, n. 150.

[223] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 19-33; 70-81: AAS 84 (1992), 686-712; 778-800.

[224] Propositio 38.

[225] Propositio 39. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 95: AAS 88 (1996), 470-471.

[226] Codice di Diritto Canonico, can. 663, § 1.

[227] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 34: AAS 88 (1996), 407-408.

[228] Lett. enc. Veritatis splendor (6 agosto 1993), 107: AAS 85 (1993), 1216-1217.

[229] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 14: AAS 98 (2006), 229.

[230] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium vitae (25 marzo 1995): AAS 87 (1995), 401-522; BENEDETTO XVI, Discorso alla Pontificia Accademia per la vita (27 febbraio 2006): AAS 98 (2006), 264-265.

[231] Cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002): AAS 96 (2004), 359-370.

[232] Cfr. Propositio 46.

[233] AAS 97 (2005), 711.

[234] Propositio 42.

[235] Cfr. Il martirio di Policarpo, XV,1: PG 5, 1039. 1042.

[236] S. IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ai Romani, IV, 1: PG 5, 690.

[237] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 42.

[238] Cfr. Propositio 42; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa Dominus Iesus (6 agosto 2000), 13-15: AAS 92 (2000), 754-755.

[239] Cfr. Propositio 42.

[240] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 18: AAS 98 (2006), 232.

[241] Ibidem, n. 14.

[242] Non senza commozione durante l’Assemblea sinodale abbiamo ascoltato testimonianze assai significative sull’efficacia del sacramento nell’opera di pacificazione. Al riguardo nella Propositio 49 si afferma: «Grazie alle Celebrazioni eucaristiche, popoli in conflitto hanno potuto radunarsi attorno alla Parola di Dio, ascoltare il suo annuncio profetico della riconciliazione tramite il perdono gratuito, ricevere la grazia della conversione che permette la comunione allo stesso pane ed allo stesso calice».

[243] Cfr. Propositio 48.

[244] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 28: AAS 98 (2006), 239.

[245] Propositio 48.

[246] BENEDETTO XVI, Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede (9 gennaio 2006): AAS 98 (2006), 127.

[247] Ibidem.

[248] Cfr. Propositio 48. Utilissimo a questo proposito si rivela il Compendio della dottrina sociale della Chiesa.

[249] Cfr. Propositio 43.

[250] Cfr. Propositio 47.

[251] Cfr. Propositio 17.

[252] Martyrium Saturnini, Dativi et aliorum plurimorum, 7,9,10: PL 8, 707.709-710.

[253] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 53: AAS 95 (2003), 469.

[254] Preghiera eucaristica I (Canone Romano).

[255] Propositio 50.

[256] Cfr. BENEDETTO XVI, Omelia (8 dicembre 2005): AAS 98 (2006), 15.

Romana, n. 44, Gennaio-Giugno 2007, p. 14-74.

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