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Omelia Roma 23-III-2007 Nella Messa in suffragio dell’anima di Mons. Álvaro del Portillo, Basilica di Sant’Eugenio, Roma

Cari fratelli e sorelle!

1. Per iniziare, vi suggerisco di rendere grazie a Dio con tutto il cuore perché, nel mondo intero, migliaia e migliaia di persone si riuniscono nella giornata odierna per ringraziare il Cielo per l’efficacia apostolica della vita del carissimo Vescovo, Prelato dell’Opus Dei, don Álvaro del Portillo.

Ancora risuonano in noi le parole di Gesù nel Vangelo: Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te (Mt 11,25-26).

Tra le verità rivelate da Cristo, quella della nostra filiazione divina riempie di gioia le nostre anime ogni volta che ci soffermiamo a meditarla. Nel fonte battesimale, infatti, il Signore Gesù ci ha fatto veri figli di Dio Padre per la grazia dello Spirito Santo. Da allora, resi partecipi della natura divina, siamo diventati parte della famiglia di Dio in qualità di figli. Ce lo hanno ricordato le parole di san Paolo ai Romani: Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito di figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!” (Rm 8,14-15).

L’essere figli di Dio in Cristo è distintivo dei cristiani, condizione fondamentale dei discepoli di Gesù. Come ben sapete, san Josemaría Escrivá ricevette da Dio una vivissima percezione della filiazione divina, per viverla in prima persona e per insegnare ad altri a viverla. Questa è stata sempre la sua predicazione. «Tutti gli uomini — scriveva — sono figli di Dio. Ma un figlio si può comportare con suo padre in diverse maniere. Bisogna rendersi conto che il Signore, volendoci suoi figli, ci ha ammessi a vivere nella sua casa, in mezzo al mondo: ha voluto che fossimo della sua famiglia, che tutte le cose sue fossero nostre e le nostre sue, che lo trattassimo con tanta familiarità e fiducia da chiedergli, come fa il bambino, la luna!»[1].

2. Questo messaggio di perenne attualità diventa ancor più pressante durante le settimane di preparazione alla Pasqua. Infatti, con la sua morte e risurrezione, Gesù ci ha guadagnato la filiazione divina adottiva: dignità immensa che la mente umana non avrebbe mai potuto immaginare. I Padri della Chiesa, nell’esporre questa verità, non possono non manifestare la loro meraviglia. «Che cosa è più stupefacente — si domandava, per esempio, san Pietro Crisologo —, che Dio si doni alla terra oppure che ci doni il cielo? Che lui si unisca alla nostra carne oppure che introduca noi nella comunione della sua divinità? Che assuma per noi la morte oppure che ci richiami dalla morte? Che lui sia nato in forma di servo oppure che ci abbia generato come figli suoi? Che prenda su di sé la nostra povertà oppure che ci faccia suoi eredi, coeredi del suo unico Figlio? Ciò che causa più grande meraviglia è vedere la terra trasformata in cielo, l’uomo trasformato dalla divinità, il servo avente diritto all’eredità del suo padrone»[2].

La fede nella nostra filiazione divina in Cristo dovrebbe provocare in noi, ogniqualvolta ci soffermiamo a meditarla, un profondo stupore e una gioia immensa. Non dovremmo mai abituarci a tale realtà! Così visse Mons. Álvaro del Portillo, in modo particolare dall’inizio della sua vocazione all’Opus Dei, quando imparò e sperimentò appieno le conseguenze pratiche di questa verità. Il carissimo don Álvaro assimilò perfettamente l’insegnamento di san Josemaría; lo fece carne della sua carne, vita della sua vita. Quanti lo hanno conosciuto ricordano la sua serenità, la sua pace, il fiducioso abbandono nelle mani di Dio che riusciva a trasmettere — a volte solo con lo sguardo, con la sua sola presenza —, proprio come frutto di chi si sa e si sente figlio di Dio.

Questo aspetto così caratteristico della sua vita assume oggi per noi il valore di esempio. Dal Cielo, ci invita a ricordare in ogni momento la nostra personale filiazione divina, in modo particolare quando le circostanze della vita sospingano verso il fosso buio della tristezza o dello scoraggiamento. Ascoltate alcune parole sue, tratte da una lettera pastorale. «La consapevolezza di essere figli molto amati da Dio ci scuoterà poderosamente. Infatti, la meditazione frequente di questa verità porta con sé conseguenze molto concrete nella lotta interiore, nel lavoro professionale e nell’apostolato: in tutta la nostra condotta. Stimolati dalla pietà filiale, la fede diventa inalterabile, la speranza si fa sicura, la carità più ardente. Nessuna difficoltà, né interna né esterna, sarà in grado di smuovere il nostro ottimismo, benché al di fuori di noi tutto diventi più arduo. E quale dote inseparabile di questo preziosissimo dono, viene alla nostra anima il gaudium cum pace, la gioia e la pace, così proprie dei figli di Dio (...), perché le seminiamo con abbondanza intorno a noi»[3].

3. Molti dei partecipanti a questa Santa Messa sono convenuti a Roma in occasione del Congresso Internazionale della Famiglia. Siete qui per testimoniare, ancora una volta, la bellezza della famiglia, fondata sul matrimonio, e per offrire un contributo alla risoluzione di alcuni dei problemi con cui si confronta la società civile nei nostri tempi. Consapevoli della vostra filiazione divina, e in piena coerenza con la vostra fede cristiana, sapete bene che ci sono dei punti che dobbiamo difendere a ogni costo e promuovere con fortezza e perseveranza, per il bene di tutti. Ci muove a questo atteggiamento la lealtà verso la legge di Dio e, di conseguenza, il desiderio di seminare la gioia e la pace nelle anime.

Il Santo Padre Benedetto XVI instancabilmente ricorda che non è lecito scendere a compromessi, perché è in gioco il destino della stessa società civile. Di recente, ancora una volta, ha ricordato tali questioni nell’esortazione apostolica sull’Eucaristia. Parlando della coerenza eucaristica che deve contraddistinguere i cristiani, il Papa scrive: «Il culto gradito a Dio non è mai atto meramente privato, senza conseguenze sulle nostre relazioni sociali: esso richiede la pubblica testimonianza della propria fede»[4]. Tra i punti che noi tutti siamo tenuti a difendere e testimoniare, Benedetto XVI indica alcuni valori fondamentali, «come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori non sono negoziabili»[5].

Vita, famiglia, libertà: tre grandi temi che interessano tutti gli uomini e tutte le donne di buona volontà, perché profondamente radicati nella natura umana. Ovviamente, per alcuni di questi aspetti, spetta in modo particolare alle persone sposate offrire una risposta umana e cristiana, con le parole e con i fatti. Vi invito dunque a intensificare i vostri sforzi e a unirvi a tante altre persone — anche non cattoliche e non cristiane — che si sentono ferite nelle loro più profonde convinzioni, per vincere la sfida lanciata da un modo di pensare secolarista e relativista.

4. Questo impegno di civiltà e di difesa delle radici cristiane della nostra società stava molto a cuore a don Álvaro. Ricordo la prontezza e la determinazione con cui assecondò sempre le direttive del Papa. Ad esempio, penso alla sua lettera pastorale del dicembre del 1985, che scrisse per incoraggiare i fedeli e i cooperatori della Prelatura dell’Opus Dei a prendere parte attiva nella nuova evangelizzazione della società. In quelle pagine, dopo aver esposto i pericoli che incombono sulla società quando non si riconosce in essa il luogo primario di Dio, il mio amatissimo predecessore incoraggiava tutti a un’azione concreta e incisiva, e segnalava il rimedio più efficace nella vita interiore, nell’unione con Dio di ognuno di noi e, come conseguenza necessaria, nell’apostolato personale, attraverso la vita ordinaria di lavoro e di rapporti sociali.[6].

Mentre offriamo questa Santa Messa in suffragio per don Álvaro, nel decimoterzo anniversario del suo transito da questo mondo, chiediamo anche a lui di intercedere per queste intenzioni. Le affidiamo specialmente a Colei che ha portato in seno la Vita con la maiuscola, il Figlio di Dio che si è fatto uomo. La Madonna, Madre di Dio e Madre nostra, Regina della famiglia, ci aiuti a portare avanti questo apostolato tanto importante nell’attuale situazione del mondo e della Chiesa. Così sia.

[1] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 64.

[2] SAN PIETRO CRISOLOGO, Sermone 67.

[3] MONS. ÁLVARO DEL PORTILLO, Lettera pastorale, 1-V-1988.

[4] BENEDETTO XVI, Esort. ap. Sacramentum Caritatis, 22-II-2007, n. 83.

[5] Ibid.

[6] Cfr. Lettera pastorale, 25-XII-1985, n. 9.

Romana, n. 44, Gennaio-Giugno 2007, p. 110-112.

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