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Chiesa di Cristo, Chiesa Cattolica e Chiese che non sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica

Mons. Fernando Ocáriz

Unicità e sussistenza della Chiesa

Cristo ha fondato una sola Chiesa — la Sua Chiesa —, su Pietro e con la garanzia dell’indefettibilità di fronte alle persecuzioni, divisioni e ostacoli di ogni genere che avrebbe trovato nel corso della storia (cfr Mt 16,18). E così è stato e così sarà sempre: esiste una sola Chiesa di Cristo, che nel Simbolo confessiamo una, santa, cattolica ed apostolica[1].

Il Concilio Vaticano II, nel n. 8 della Costituzione Lumen gentium, affermò che «questa Chiesa, costituita e organizzata in questo mondo come società, subsistit in (sussiste nella) Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui, anche se (licet) fuori della sua compagine si trovino molti elementi di santificazione e di verità, che come doni propri della Chiesa di Cristo, sospingono verso l’unità cattolica».

Come è noto, questa celebre espressione — subsistit in — è stata poi oggetto di parecchie e contraddittorie interpretazioni. Particolare diffusione ebbe — e continua ad avere — l’idea che il Concilio non volle fare sua l’affermazione tradizionale secondo cui la Chiesa di Cristo è (est) la Chiesa cattolica — come si diceva nello schema che diede poi luogo al testo definitivo[2]—, per poter riconoscere che la Chiesa di Cristo sussiste anche nelle comunità cristiane separate da Roma.

In realtà, dall’analisi degli Atti del Concilio, si deduce che «il subsistit in vuole non solo riconfermare il senso dell’est, cioè l’identità fra la Chiesa di Cristo e la Chiesa Cattolica. Esso vuole soprattutto ribadire che la Chiesa di Cristo, con la pienezza di tutti i mezzi istituiti da Cristo, perdura (continua, rimane) per sempre nella Chiesa Cattolica»[3]. Questo significato viene a coincidere col linguaggio comune della cultura occidentale ed è conciliabile con quello filosofico classico — da Aristotele a San Tommaso —: sussiste ciò che è in sé e non in altro[4]. «Sussistere è un caso speciale di esse. È l’essere nella forma di un soggetto a sé stante. Qui si tratta proprio di questo. Il Concilio vuol dirci che la Chiesa di Gesù Cristo come soggetto concreto in questo mondo può essere incontrata nella Chiesa Cattolica. Ciò può avvenire solo una volta e la concezione secondo cui il subsistit sarebbe da moltiplicare non coglie proprio ciò che si intendeva dire. Con la parola subsistit il Concilio voleva esprimere la singolarità e la non moltiplicabilità della Chiesa cattolica»[5].

Negli Atti conciliari non si trova una motivazione esplicita del cambiamento da est a subsistit in. Comunque l’affermazione della sussistenza della Chiesa di Cristo nella Chiesa Cattolica viene seguita dall’altra celebre affermazione sulla presenza di molti elementi di santificazione e di verità propri della Chiesa fuori della sua compagine. La Congregazione per la Dottrina della Fede, già nel 1985, di fronte a interpretazioni erronee, si pronunciò sulla questione nei seguenti termini: «Il Concilio aveva invece scelto la parola subsistit proprio per chiarire che esiste una sola “sussistenza” della vera Chiesa, mentre fuori della sua compagine visibile esistono solo elementa Ecclesiae, che — essendo elementi della stessa Chiesa — tendono e conducono verso la Chiesa Cattolica»[6]; e più recentemente: «È perciò contraria al significato autentico del testo conciliare l’interpretazione di coloro che dalla formula subsistit in ricavano la tesi secondo la quale l’unica Chiesa di Cristo potrebbe pure sussistere in Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche»[7]

Sussistenza, universalità e particolarità

Dal contesto e dal significato del subsistit in, nel n. 8 di Lumen gentium, è evidente che questa sussistenza è predicata della Chiesa universale. Tuttavia, a volte l’idea di “sussistenza della Chiesa” è stata applicata con un significato diverso — non univoco ma analogo — anche alle Chiese particolari. Così, ad esempio, Giovanni Paolo II, affermò che nelle Chiese particolari «sussiste la pienezza della Chiesa universale»[8]; oppure che «la stessa Chiesa Cattolica sussiste in ogni Chiesa particolare»[9]. La pienezza della Chiesa universale si può infatti predicare di ogni Chiesa particolare, nel senso che in questa «si fa presente la Chiesa universale con tutti i suoi elementi essenziali»[10] e, perciò, è costituita «a immagine della Chiesa universale»[11]; e in essa «è veramente presente e agisce (inest et operatur) la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica ed apostolica»[12]. Questa pienezza della Chiesa particolare però non è derivata dalla sua particolarità, bensì dalla presenza in essa di tutti gli elementi essenziali dell’ecclesialità, inclusi il Primato del Successore di Pietro ed il Collegio Episcopale: questi infatti, pur non avendo origine nella particolarità delle Chiese, sono interiori ad esse[13]. Affinché tale pienezza esista, la Chiesa particolare deve essere inserita nell’universale Communio Ecclesiarum che, a sua volta, non è possibile senza la comunione con la Sede Romana e con il suo Vescovo[14].

Comunque questa pienezza ecclesiale non è sufficiente per predicare della Chiesa particolare la sussistenza nel senso di Lumen gentium, n. 8, perché questa comporta non soltanto la presenza di tutti gli elementi essenziali della Chiesa di Cristo ma anche la loro indefettibile permanenza; e nessuna Chiesa particolare ha una tale garantita permanenza: le Chiese particolari possono addirittura scomparire, e di fatto molte di esse nel corso del tempo hanno cessato di esistere. In questo senso, con il Vaticano II, sopra citato, è più preciso dire che nella Chiesa particolare è presente e agisce (inest et operatur) la Chiesa di Cristo; oppure che nelle Chiese particolari esiste (existit) la Chiesa universale[15].

Unicità della Chiesa ed esistenza di Chiese non cattoliche

È opportuno osservare che Lumen gentium, n. 8, nell’affermare la sussistenza della Chiesa di Cristo nella Chiesa Cattolica governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui (e, come abbiamo ricordato, nel senso di soltanto in essa), si riferisce esplicitamente alla Chiesa in quanto costituita e organizzata come società in questo mondo, e immediatamente dopo afferma che al di fuori della sua compagine esistono molti elementi di santificazione e di verità. Questo ci rimanda a considerare la Chiesa non solo nella sua dimensione sociale ma anche nella sua dimensione misterico-sacramentale, come Corpo mistico di Cristo[16].

Il Concilio Vaticano II, seguendo l’uso ormai tradizionale, nomina Chiese anche le comunità cristiane non cattoliche che hanno conservato l’Episcopato e la valida Eucaristia. Sul nome Chiesa, attribuito a queste comunità, durante l’elaborazione del decreto Unitatis redintegratio, uno dei relatori della corrispondente Commissione conciliare spiegò che non si intendeva trattare la questione disputata su quali siano le condizioni richieste affinché una comunità cristiana sia teologicamente una Chiesa[17]. Sembrerebbe quindi che si volesse attribuire soltanto un senso sociologico o piuttosto onorifico a tale termine applicato a quelle comunità cristiane non cattoliche; in realtà non pare che sia così, perché lo stesso decreto sull’ecumenismo — senza esplicitare tutte le condizioni richieste per essere una Chiesa — afferma che «per mezzo della celebrazione dell’Eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce»[18]; espressione da interpretare alla luce di Lumen gentium, vale a dire nel senso che in queste Chiese esistono molti elementi di santificazione e di verità propri dell’unica Chiesa di Cristo (la Chiesa Cattolica)[19].

I posteriori sviluppi dottrinali e magisteriali su questo tema hanno portato ad attribuire alle comunità cristiane non cattoliche che hanno conservato l’Episcopato e l’Eucaristia il titolo, certamente di natura teologica, di Chiese particolari[20]. Dal punto di vista magisteriale, i momenti più rilevanti sull’argomento sono stati due interventi della Congregazione per la Dottrina della Fede: la Lettera Communionis notio, del 1992, che afferma che queste comunità «meritano il titolo di Chiese particolari»[21]; e la Dichiarazione Dominus Iesus, del 2000, che afferma che esse «sono vere Chiese particolari»[22].

Si comprende facilmente che laddove Cristo si fa presente nel sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, là è presente la Chiesa, Corpo di Cristo mediante il quale Egli opera la salvezza nella storia. Tuttavia non qualsiasi forma di presenza operante della Chiesa costituisce una Chiesa particolare, ma soltanto la presenza con tutti i suoi elementi essenziali; perciò, affinché una comunità cristiana sia veramente Chiesa particolare «in essa dev’essere presente, come elemento proprio, la suprema autorità della Chiesa: il Collegio episcopale “insieme con il suo Capo il Romano Pontefice e mai senza di esso” (Lumen gentium, n. 22)»[23]. Ciò può sembrare un ostacolo insormontabile per capire che le Chiese non cattoliche siano “vere Chiese particolari”, e certamente resta ancora molto da approfondire su questo argomento. Tuttavia, una possibile via di riflessione è quella della reale presenza del Primato petrino (e del Collegio episcopale) nelle Chiese non cattoliche, in base all’unità dell’Episcopato, “uno e indiviso”[24]: un’unità che non può esistere senza la comunione con il Vescovo di Roma. Laddove in forza della successione apostolica esista un valido Episcopato, là sarà oggettivamente presente, come autorità suprema (anche qualora non venga di fatto riconosciuta), il Collegio episcopale con il suo Capo. Inoltre, in ogni valida celebrazione dell’Eucaristia, vi è un riferimento oggettivo all’universale comunione con il Successore di Pietro e con l’intera Chiesa[25], indipendentemente dalle convinzioni soggettive.

In questo senso si potrebbe sviluppare una maggiore comprensione del fatto che, pur separate da Roma, queste comunità cristiane sono “vere Chiese particolari”. Occorre tuttavia ricordare che la non piena comunione con il Papa comporta una ferita nella loro ecclesialità[26]; ferita non solo di natura disciplinare o canonica, ma anche relativa alla non piena professione della fede cattolica. Perciò, a una Chiesa particolare non cattolica non è soltanto la manifestazione visibile della piena comunione cristiana quello che manca per essere pienamente Chiesa[27].

Bisogna infine ritornare sempre al dato di fede dell’unicità dell’unica Chiesa di Cristo, per non tralasciare un altro aspetto di capitale importanza: le Chiese particolari non cattoliche sono vere Chiese a motivo di quello che hanno di cattolico: la loro ecclesialità è fondata sul fatto che «l’unica Chiesa di Cristo ha in esse una presenza operante»[28]; e non sono pienamente Chiese — la loro ecclesialità è ferita — a motivo degli elementi della Chiesa che mancano loro. In altri termini, riconoscere il carattere di Chiese a queste comunità non cattoliche comporta necessariamente affermare che anche queste Chiese non cattoliche sono — in apparente paradosso — porzioni dell’unica Chiesa, vale a dire, della Chiesa Cattolica; porzioni in situazione teologica e canonica anomala. In altri termini ancora, possiamo dire che la loro è una «ecclesialità partecipata, secondo una presenza imperfetta e limitata della Chiesa di Cristo»[29].

È palese la rilevanza ecumenica di questi argomenti ecclesiologici, che rimangono ancora in buona parte da precisare ed approfondire. L’impegno ecumenico, al quale la Chiesa né può né vuole rinunciare, non si limita però agli aspetti dottrinali[30]. «Ciò che urge maggiormente è quella “purificazione della memoria”, tante volte evocata da Giovanni Paolo II, che sola può disporre gli animi ad accogliere la piena verità di Cristo»[31]. Grandi rimangono ancora gli ostacoli, ma è sempre aperto lo spazio per la preghiera, per il ringraziamento, per il dialogo e per la speranza nell’azione dello Spirito Santo[32].

[1] Cfr CONC. VATICANO II, Cost. Lumen gentium, n. 8; Decr. Unitatis redintegratio, n. 4; Giovanni Paolo II, Enc. Ut unum sint, n. 11; CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Mysterium Ecclesiae, 24-VI-1973, n. 1.

[2] Cfr F. GIL HELLÍN, Concilii Vaticani II Synopsis. Constitutio Dogmatica De Ecclesia “Lumen gentium” Città del Vaticano 1995, pp. 64 e 697.

[3] K.J. BECKER, «Subsistit in» (Lumen gentium, 8) (in corso di stampa). Così anche la conclusione di U. Betti: «La parola “sussiste” non ha altro significato che quello di “continua ad esistere”. Se dunque la Chiesa di Cristo “continua ad esistere” (subsistit in) nella Chiesa Cattolica, la continuità di esistenza comporta una sostanziale identità di essenza» (U. Betti, Chiesa di Cristo e Chiesa Cattolica, in “Antonianum”, 61 [1986], p. 743).

[4] Cfr P. RODRÍGUEZ e J.R. VILLAR, Las «Iglesias y Comunidades eclesiales» separadas de la Sede Apostólica Romana, in “Diálogo Ecuménico”, 39 (2004), p. 606.

[5] J. RATZINGER, L’ecclesiologia della Costituzione «Lumen gentium», in R. Fisichella (a cura di), Il Concilio Vaticano II. Ricezione e attualità alla luce del Giubileo, Cinisello B. 2000, p. 79.

[6] CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Notificazione sul volume “Chiesa: Carisma e potere” del P. Leonardo Boff, AAS, 77 (1985), pp. 758-759.

[7] Idem, Dich. Dominus Iesus, 6-VIII-2000, nota 56.

[8] GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai Vescovi degli USA: «...Pastors of particular Churches in which there subsists the fullness of the universal Church» (Insegnamenti, IX,2 [1986], p. 1332).

[9] Idem, Discorso ai Vescovi degli USA: «The Catholic Church herself subsists in each particular Church» (Insegnamenti, X,3 (1987), p. 555).

[10] CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Communionis notio, 28-V-1992, n. 7.

[11] CONC. VATICANO II, Cost. Lumen gentium, n. 23.

[12] Idem, Decr. Christus Dominus, n. 11. Per un’ampia e documentata analisi dello sviluppo magisteriale e teologico sulla Chiesa particolare, cfr, ad esempio, A. CATTANEO, La Chiesa locale, Città del Vaticano 2003.

[13] Cfr CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Communionis notio, n. 13. Così,«dobbiamo vedere il ministero del Successore di Pietro, non soltanto come un servizio “globale” che raggiunge ogni Chiesa particolare “dal di fuori”, ma come già appartenente all’essenza di ogni Chiesa particolare “dal di dentro”» (Giovanni Paolo II, Discorso ai Vescovi degli USA, 16-IX-1987: Insegnamenti X, 3 (1987), p. 556).

[14] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Enc. Ut unum sint, n. 97.

[15] Cfr CONC. VATICANO II, Cost. Lumen gentium, n. 23.

[16] Cfr J. RATZINGER, Il nuovo Popolo di Dio, Brescia 1971, pp. 253-259.

[17] Cfr Acta Synodalia, III/IV, 14, 1.

[18] CONC. VATICANO II, Decr. Unitatis redintegratio, n. 15.

[19] Cfr Idem, Cost. Lumen gentium, n. 8.

[20] Già nei dibattiti conciliari sul decreto Unitatis redintegratio gli era stato applicato questo nome da alcuni Padri: cfr, ad esempio, Acta Synodalia, II/V, 567, 3.

[21] CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Communionis notio, n. 17.

[22] Idem, Dich. Dominus Iesus, n. 17.

[23] CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Communionis notio, n. 13.

[24] Cfr CONC. VATICANO I, Cost. Pastor aeternus, proemio; Conc. Vaticano II, Cost. Lumen gentium, n. 18.

[25] Cfr CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Communionis notio, n. 14.

[26] Cfr Ibidem, n. 17.

[27] Cfr J. RATZINGER, Chiesa, ecumenismo e politica, Cinisello B. 1987, pp. 75-76.

[28] GIOVANNI PAOLO II, Enc. Ut unum sint, n. 11.

[29] P. RODRÍGUEZ e J.R. VILLAR, o.c, p. 608.

[30] Cfr CONC. VATICANO II, Decr. Unitatis redintegratio, nn. 5-12.

[31] BENEDETTO XVI, Allocuzione, 20-IV-2005, n. 5.

[32] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Enc. Ut unum sint, n. 102.

Romana, n. 41, Luglio-Dicembre 2005, p. 348-352.

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