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Nella Messa di inaugurazione dell’anno accademico della Pontificia Università della Santa Croce Roma 24-X-2002

La gioia e la gratitudine per la canonizzazione di Josemaría Escrivá, Fondatore dell’Opus Dei, colmano queste nostre giornate e si rinnovano nella Santa Messa di oggi. Abbiamo partecipato a uno di quei momenti che, anche visibilmente, mostrano la perenne attualità della Pentecoste, di quell’azione santificatrice che solo lo Spirito Santo può operare.

Risulta perciò molto logico ricorrere al Paraclito affinché ci comunichi qual è la volontà di Dio per ognuno di noi nell’anno accademico che stiamo per iniziare. A questo scopo guardiamo anche all’esempio di san Josemaría: dal suo amore alla Chiesa, e dalla fedeltà di colui che fu il suo primo successore nell’Opus Dei, Mons. Álvaro del Portillo, il Signore ha fatto scaturire l’Università della Santa Croce.

Che cosa ci consiglierebbe san Josemaría in un giorno come oggi? Penso che ci direbbe — o meglio: ci dice — molte cose e, nello stesso tempo, una sola: devi essere santo, devi essere apostolo di Cristo nel posto dove ti trovi per provvidenza divina; ma dobbiamo ascoltare questa chiamata che si rinnova senza sosta, cogliendo l’urgenza di metterla in pratica.

Fra tanti testi che si potrebbero citare per evidenziare la forza e la ricchezza di tale messaggio, scelgo il primo punto di Cammino, del quale si è servito lo Spirito Santo per operare tante conversioni, piccole e grandi, in moltissime persone: ‘Che la tua vita non sia una vita sterile. — Sii utile. — Lascia traccia. — Illumina con la fiamma della tua fede e del tuo amore. Cancella, con la tua vita d’apostolo, l’impronta viscida e sudicia che i seminatori impuri dell’odio hanno lasciato. — E incendia tutti i cammini della terra con il fuoco di Cristo che porti nel cuore[1].

Se confrontiamo questo progetto con il livello effettivo della nostra vita cristiana, notiamo subito la nostra inadeguatezza. Sarebbe però mancanza di coerenza ritenere che ciò possa giustificare un atteggiamento di rassegnazione, di passività o di minor impegno. Il segreto per attuare quel programma passa attraverso la vera umiltà, che tiene conto sia della nostra piccolezza personale, sia della bontà e onnipotenza di Dio, che vuole santificarci. Infatti, l’autentica fonte della santità e dell’efficacia apostolica è ‘il fuoco di Cristo che porti nel cuore’, lo stesso fuoco che scese visibilmente sugli Apostoli riuniti a Gerusalemme[2].

Quante volte san Josemaría meditò e ripeté le parole di Gesù: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso![3]. Quel fuoco è l’intimo calore del Santificatore, che raramente segue vie straordinarie e appariscenti per diffondersi, poiché si riversa soprattutto sull’esistenza quotidiana delle persone e delle istituzioni.

I lavori che voi tutti svolgete — come professori, studenti o impiegati — costituiscono il vostro campo di santificazione, il modo in cui partecipate personalmente alla missione di Cristo e della Chiesa. Vi consiglio di applicarvi, come cerco di fare anch’io, l’insegnamento sull’unità di vita, così centrale nel messaggio di san Josemaría. È un orizzonte altissimo: essere utili, lasciare traccia, illuminare con tutta la propria vita, facendo sì che la nostra esistenza personale diventi massimamente autentica e libera, perché appartiene interamente a Dio nostro Padre.

Conosciamo per esperienza la distanza che intercorre tra la comprensione teorica dell’unità di vita e la sua messa in pratica. Tutti noi subiamo l’insidia di diverse tentazioni che portano verso la disgregazione vitale. Talvolta possiamo assumere atteggiamenti di autosufficienza che ci spingono a disprezzare, o almeno a non valorizzare nei giusti termini, determinati aspetti dell’esistenza, perché non ci piacciono oppure perché li reputiamo inadeguati alle nostre capacità o aspettative, convinti che la nostra vera realizzazione sia altrove. Nello stesso tempo, ed è come l’altra faccia della stessa moneta, ci possiamo applicare a certe attività con un entusiasmo che non ci porta al Signore, perché si propone in primo luogo il successo personale e, pertanto, è frutto dell’egoismo, non dell’amore di Dio.

La dottrina sull’unità di vita, applicabile a qualunque esistenza umana, diventa in qualche modo più pregnante quando si tratta di attività il cui oggetto è direttamente legato alla realtà soprannaturale. È il caso degli studi sacri, per loro natura inseparabili dalla Rivelazione divina, dal dono della fede teologale e dalla fedeltà al Magistero della Chiesa. In quest’ambito, l’unione effettiva con Cristo, l’adeguato impegno nella preghiera e nella mortificazione, si ripercuoterà anzitutto sulla propria vita spirituale, proteggendola dal rischio di lasciarsi sommergere dalla tiepidezza, che compromette anche i frutti soprannaturali del nostro sforzo, i quali dipendono da una fede viva.

In effetti, senza una fede profonda e matura, che lotta per incarnarsi anzitutto nella propria vita, non si può acquistare una formazione teologica degna di tal nome, né si possono conseguire risultati validi nelle discipline scientifiche collegate con il deposito divinamente rivelato. Magari ci potrà essere erudizione, magari brillantezza; si potrà consolidare la propria autoaffermazione, ma la vera sostanza della teologia e delle altre discipline sacre resterà inattingibile, o attinta solo in modo superficiale.

Anzi, il possesso di conoscenze specializzate in questi ambiti, se separato dalla vita di pietà — adesione seria e operativa alla verità di Cristo insegnata dalla Chiesa —, può diventare strumento di deviazioni dottrinali e pratiche. La fede e la pietà, invece, assieme alle doti umane di ciascuno e al lavoro sacrificato e costante, porteranno frutti abbondanti. In questo modo, la nostra quotidiana fedeltà contribuirà ad arricchire una comunità universitaria che, a sua volta, sostiene e incoraggia sempre più gli altri nel conseguimento dell’unità di vita. Cerchiamo di non perdere mai quest’orizzonte apostolico lungo le nostre giornate.

Affidiamo questi propositi di santificazione del lavoro universitario alla protezione materna di Maria Vergine, specialmente nella recita del Santo Rosario, seguendo le recenti indicazioni del Santo Padre Giovanni Paolo II. Invochiamo la Madonna con la giaculatoria Sedes Sapientiæ, perché ci conduca a una profonda unione con la Santissima Trinità. Così sia.

[1] SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Cammino, n. 1.

[2] Cfr. At 2, 3.

[3] Lc 12, 49 (cfr. ad esempio Cammino, n. 801).

Romana, n. 35, Luglio-Dicembre 2002, p. 309-311.

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