Lettera sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza (29-VI-1999)
A quanti si dispongono a celebrare nella fede il Grande Giubileo
1. Dopo anni di preparazione, siamo ormai alle soglie del Grande Giubileo. Molto è stato fatto in questi anni, in tutta la Chiesa, per predisporre questo evento di grazia. Ma ora, è venuto il momento di provvedere, come nell'imminenza di un viaggio, agli ultimi preparativi. In realtà, il Grande Giubileo non consiste in una serie di adempimenti da espletare, ma in una grande esperienza interiore da vivere. Le iniziative esteriori hanno senso nella misura in cui sono espressione di un impegno più profondo, che tocca il cuore delle persone. Proprio a questa dimensione interiore ho voluto richiamare tutti, sia nella Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente, che nella Bolla di indizione del Giubileo Incarnationis mysterium. Entrambe hanno avuto un'accoglienza cordiale e vasta. I Vescovi vi hanno attinto indicazioni significative e i temi proposti per i vari anni di preparazione sono stati ampiamente meditati. Di tutto ciò voglio esprimere gratitudine al Signore e sentito apprezzamento sia ai Pastori che all'intero Popolo di Dio.
Ora l'imminenza del Giubileo mi suggerisce di proporre una riflessione, connessa con il mio desiderio di fare personalmente, se Dio vorrà, uno speciale pellegrinaggio giubilare, sostando in alcuni dei luoghi che sono particolarmente legati all'incarnazione del Verbo di Dio, evento a cui l'Anno Santo del 2000 direttamente si richiama.
La mia meditazione si porta, dunque, ai «luoghi» di Dio, a quegli spazi che Egli ha scelto per mettere la sua «tenda» tra di noi (Gv 1, 14; cfr Es 40, 34-35; 1 Re 8, 10-13), così da consentire all'essere umano un incontro più diretto con Lui. Completo così, in certo senso, la riflessione della Tertio millennio adveniente, in cui la prospettiva dominante, sullo sfondo della storia della salvezza, era quella della fondamentale rilevanza del «tempo». In realtà, la dimensione dello «spazio» non è meno importante di quella del tempo nella concreta attuazione del mistero dell'Incarnazione.
2. A prima vista, parlare di determinati «spazi» in rapporto a Dio potrebbe destare qualche perplessità. Non è forse lo spazio, non meno che il tempo, interamente sottoposto al dominio di Dio? Tutto infatti è uscito dalle sue mani e non c'è luogo dove Dio non si possa incontrare: «Del Signore è la terra e quanto contiene, l'universo e i suoi abitanti. È lui che l'ha fondata sui mari e sui fiumi l'ha stabilita» (Sal 23 [24], 1-2). Dio è ugualmente presente in ogni angolo della terra, sicché il mondo intero può considerarsi «tempio» della sua presenza.
Ciò non toglie, tuttavia, che come il tempo può essere scandito dai kairoì, momenti speciali di grazia, in modo analogo lo spazio possa essere segnato da particolari interventi salvifici di Dio. È questa, del resto, un'intuizione presente in tutte le religioni, nelle quali si trovano non solo tempi, ma anche spazi sacri, nei quali l'incontro col divino può essere sperimentato in modo più intenso di quanto non avvenga abitualmente nell'immensità del cosmo.
3. Rispetto a questa generale tendenza religiosa, la Bibbia offre un suo specifico messaggio, collocando il tema dello «spazio sacro» nell'orizzonte della storia della salvezza. Essa, da una parte, mette in guardia dai rischi insiti nella definizione di tale spazio, quando ciò avviene nella prospettiva di una divinizzazione della natura — si ricordi, in proposito, la forte polemica anti-idolatrica dei profeti in nome della fedeltà a Jahvè, Dio dell'Esodo — dall'altra, non esclude un'utilizzazione cultuale dello spazio, nella misura in cui ciò esprime pienamente la specificità dell'intervento di Dio nella storia di Israele. Lo spazio sacro viene così progressivamente «concentrato» nel tempio di Gerusalemme, dove il Dio di Israele vuole essere onorato e, in certo senso, incontrato. Al tempio si volgono gli occhi del pellegrino d'Israele e grande è la sua gioia, quando raggiunge il luogo dove Dio ha posto la sua dimora: «Quale gioia, quando mi dissero: Andremo alla casa del Signore. E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme!» (Sal 121 [122], 1-2).
Nel Nuovo Testamento, questa «concentrazione» dello spazio sacro ha il suo culmine in Cristo, che è ormai personalmente il nuovo «tempio» (cfr Gv 2, 21), in cui abita la «pienezza della divinità» (Col 2, 9). Con la sua venuta, il culto è destinato a superare radicalmente i templi materiali, per farsi culto «in spirito e verità» (Gv 4, 24). In Cristo, poi, anche la Chiesa è considerata dal Nuovo Testamento «tempio» (cfr 1 Cor 3, 17), e persino lo è ciascun discepolo di Cristo, in quanto abitato dallo Spirito Santo (cfr 1 Cor 6, 19; Rm 8, 11). Tutto ciò evidentemente non esclude che i cristiani, come la storia della Chiesa dimostra, possano avere luoghi di culto; è necessario tuttavia che non si dimentichi il loro carattere del tutto funzionale alla vita cultuale e fraterna della comunità, nella consapevolezza che la presenza di Dio per sua natura non può essere racchiusa in nessun luogo, giacché tutti li permea, avendo in Cristo la pienezza della sua espressione e della sua irradiazione.
Il mistero dell'Incarnazione, dunque, rimodula l'esperienza universale dello «spazio sacro», da un lato ridimensionandola, dall'altro sottolineandone in termini nuovi l'importanza. Il riferimento allo spazio è infatti contenuto nello stesso «farsi carne» del Verbo (cfr Gv 1, 14). Dio ha assunto in Gesù di Nazaret le caratteristiche proprie della natura umana, compresa la necessaria appartenenza dell'uomo a un determinato popolo e a una determinata terra. «Hic de Virgine Maria Iesus Christus natus est» — ha una sua peculiare eloquenza questa espressione posta a Betlemme proprio nel luogo in cui, secondo la tradizione, Gesù è nato: «Qui dalla Vergine Maria è nato Gesù Cristo». La concretezza fisica della terra e le sue coordinate geografiche fanno tutt'uno con la verità della carne umana assunta dal Verbo.
4. È per questo che, nella prospettiva dell'anno bimillenario dell'Incarnazione, avverto forte il desiderio di andare personalmente a pregare nei principali luoghi che, dall'Antico al Nuovo Testamento, hanno conosciuto gli interventi di Dio, fino a raggiungere il vertice nel mistero dell'incarnazione e della pasqua di Cristo. Questi luoghi sono già indelebilmente presenti nella mia memoria, da quando nel 1965 ebbi l'opportunità di visitare la Terra Santa. Fu un'esperienza indimenticabile. Ancora oggi torno volentieri alle pagine ricche di emozioni che allora scrissi. «Giungo in questi luoghi che Tu hai riempito di Te una volta per sempre... O luogo! Quante volte, quante volte ti sei trasformato prima che da Suo divenissi mio! Quando Egli ti riempì la prima volta, non eri ancora nessun luogo esteriore, eri soltanto il grembo di sua Madre. Oh, sapere che le pietre su cui cammino a Nazaret sono le stesse che il suo piede toccava quando era ancora Lei il Tuo luogo, unico al mondo. Incontrarti attraverso una pietra che fu toccata dal piede di Tua Madre! O luogo, luogo di Terra Santa — quale spazio occupi in me! Perciò non posso calpestarti con i miei passi, debbo inginocchiarmi. E così attestare oggi che tu sei stato un luogo d'incontro. Io m'inginocchio — e metto così il mio sigillo. Resterai qui col mio sigillo — resterai, resterai — e io ti porterò con me, ti trasformerò dentro di me in un luogo di nuova testimonianza. Io parto come un testimone che renderà la sua testimonianza attraverso i secoli» (K. Wojtyla, Opere letterarie. Poesie e drammi, Libreria Editrice Vaticana 1993, p. 124).
Quando scrivevo queste parole, oltre trent'anni fa, non avrei immaginato che la testimonianza a cui allora mi impegnavo, l'avrei resa oggi come successore di Pietro, posto a servizio di tutta la Chiesa. È una testimonianza che mi inserisce in una lunga catena di persone, che da duemila anni sono andate a cercare le «orme» di Dio in quella terra, giustamente chiamata «santa», quasi rincorrendole nelle pietre, nei monti e nelle acque, che fecero da scenario alla vita terrena del Figlio di Dio. È noto dall'antichità il diario di viaggio della pellegrina Egeria. Quanti pellegrini, quanti santi, hanno seguito il suo itinerario nel corso dei secoli! Anche quando le circostanze storiche turbarono il carattere essenzialmente pacifico del pellegrinaggio in Terra Santa, dandogli un volto che, al di là delle intenzioni, mal si conciliava con l'immagine del Crocifisso, gli animi dei cristiani più consapevoli miravano solo ad incontrare su quella terra la memoria viva di Cristo. E la Provvidenza volle che, accanto ai fratelli delle Chiese orientali, per la cristianità di occidente fossero soprattutto i figli di Francesco d'Assisi, santo della povertà, della mitezza e della pace, a interpretare in modo genuinamente evangelico il legittimo desiderio cristiano di custodire i luoghi in cui affondano le nostre radici spirituali.
5. È con questo spirito che, a Dio piacendo, intendo ripercorrere, in occasione del Grande Giubileo del 2000, le tracce della storia della salvezza nella terra in cui essa si è sviluppata.
Il punto di partenza saranno alcuni luoghi tipici dell'Antico Testamento. Desidero in questo modo esprimere la coscienza che la Chiesa ha del suo legame inscindibile con l'antico popolo dell'Alleanza. Abramo è anche per noi il «padre nella fede» per antonomasia (cfr Rm 4; Gal 3, 6-9; Eb 11, 8-19). Nel Vangelo di Giovanni si legge la parola che Cristo pronunciò un giorno a proposito di lui: «Abramo esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (8, 56).
Proprio ad Abramo è legata la prima tappa del viaggio che coltivo nel desiderio. Mi piacerebbe infatti recarmi, se è volontà di Dio, ad Ur dei Caldei, l'attuale Tal al Muqayyar nel sud dell'Iraq, città in cui, secondo il racconto biblico, Abramo udì la parola del Signore che lo strappava alla sua terra, al suo popolo, in certo senso a se stesso, per farne lo strumento di un disegno di salvezza che abbracciava il futuro popolo dell'alleanza ed anzi tutti i popoli del mondo: «Il Signore disse ad Abram: "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria, e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra"» (Gn 12, 13). Con queste parole inizia il grande cammino del Popolo di Dio. Ad Abramo guardano non soltanto quanti vantano una discendenza fisica da lui, ma anche quanti — e sono innumerevoli — si sentono sua discendenza «spirituale», perché ne condividono la fede e l'abbandono senza riserve all'iniziativa salvifica dell'Onnipotente.
6. Le vicende del popolo di Abramo si svilupparono per centinaia di anni, toccando molti luoghi del vicino Oriente. Centrali restano gli eventi dell'Esodo, quando il popolo di Israele, dopo una dura esperienza di schiavitù, s'avviò sotto la guida di Mosè verso la Terra della sua libertà. Tre momenti scandiscono quel cammino, legati a luoghi montuosi carichi di mistero. Si staglia, innanzitutto, nella fase preliminare, il monte Oreb, altra denominazione biblica del Sinai, dove Mosè ebbe la rivelazione del nome di Dio, segno del suo mistero e della sua efficace presenza salvifica: «Io sono colui che sono» (Es 3, 14). Anche a Mosè, non meno che ad Abramo, veniva chiesto di fidarsi del disegno di Dio, e di mettersi a capo del suo popolo. Cominciava così la drammatica vicenda della liberazione, che sarebbe restata nella memoria di Israele come esperienza basilare per la sua fede.
Lungo il cammino nel deserto, fu ancora il Sinai lo scenario in cui venne stipulata l'alleanza tra Jahvè e il suo popolo. Questo monte resta così legato al dono del Decalogo, le dieci «parole» che impegnavano Israele a una vita di piena adesione alla volontà di Dio. Queste «parole», in realtà, esprimevano i contenuti fondamentali della legge morale di carattere universale scritta nel cuore di ogni uomo, ma ad Israele venivano consegnate nel quadro di un patto reciproco di fedeltà, in cui il popolo si impegnava ad amare Dio, ricordando le meraviglie da lui compiute nell'Esodo, e Dio assicurava la sua benevolenza perenne: «Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù» (Es 20, 2). Iddio e il popolo si impegnavano reciprocamente. Se nella visione del roveto ardente l'Oreb, il luogo del «nome» e del «progetto» di Dio, era stato soprattutto il «monte della fede», ora per il popolo pellegrino nel deserto esso diventava luogo dell'incontro e del patto reciproco, in certo senso il «monte dell'amore». Quante volte, nel corso dei secoli, denunciando l'infedeltà del popolo all'alleanza, i profeti l'avrebbero vista come una sorta di infedeltà «coniugale», un vero e proprio tradimento del popolo-sposa rispetto a Dio, suo sposo (cfr Ger 2, 2; Ez 16, 1-43).
A conclusione del cammino dell'Esodo, si staglia un'altra altura, il monte Nebo, da cui Mosè poté guardare la Terra promessa (cfr Dt 32, 49), senza la gioia di toccarla, ma con la certezza di averla ormai raggiunta. Il suo sguardo dal Nebo è il simbolo stesso della speranza. Egli poteva da quel monte constatare che Dio aveva mantenuto le sue promesse. Ancora una volta, però, doveva abbandonarsi fiducioso all'onnipotenza divina per il definitivo compimento del preannunciato disegno.
Probabilmente non mi sarà possibile, nel mio pellegrinaggio, toccare tutti questi luoghi. Ma vorrei almeno, se al Signore piacerà, sostare ad Ur, luogo delle origini abramitiche, e fare poi tappa al celebre Monastero di Santa Caterina, al Sinai, presso quel monte dell'Alleanza, che racchiude in qualche modo tutto il mistero dell'Esodo, paradigma perenne del nuovo Esodo che troverà sul Golgotha la sua realizzazione compiuta.
7. Se tanto ricchi di significato sono per noi questi e simili itinerari dell'Antico Testamento, è ovvio che l'anno giubilare, memoria solenne dell'incarnazione del Verbo, ci invita a sostare soprattutto sui luoghi in cui si svolse la vita di Gesù.
Vivissimo è il mio desiderio di recarmi innanzitutto a Nazaret, città legata al momento stesso dell'Incarnazione e poi terra in cui Gesù crebbe «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2, 52). Qui risuonò per Maria il saluto dell'Angelo: «Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te!» (Lc 1, 28). Qui Ella disse il suo fiat all'annuncio che la chiamava ad essere madre del Salvatore e, adombrata dallo Spirito Santo, a divenire grembo accogliente per il Figlio di Dio.
E come non raggiungere poi Betlemme, dove Cristo venne alla luce e i pastori e i magi diedero voce all'adorazione dell'intera umanità? A Betlemme risonò anche per la prima volta quell'augurio di pace che, pronunciato dagli Angeli, avrebbe continuato ad echeggiare di generazione in generazione fino ai giorni nostri.
Sosta particolarmente significativa sarà quella a Gerusalemme, luogo della morte in croce e della resurrezione del Signore Gesù.
Certo, i luoghi che richiamano la vicenda terrena del Salvatore sono molto più numerosi e tanti sono quelli che meriterebbero di essere visitati. Come dimenticare, ad esempio, il monte delle Beatitudini o il monte della Trasfigurazione o Cesarea di Filippo, nella cui regione Gesù affidò a Pietro le chiavi del Regno dei cieli, costituendolo fondamento della sua Chiesa (cfr Mt 16, 13-19)? Nella Terra Santa, dal Nord al Sud, si può dire che tutto ricorda Cristo. Ma dovrò accontentarmi dei luoghi più rappresentativi e Gerusalemme, in qualche modo, li riassume tutti. Qui, se a Dio piacerà, intendo immergermi nella preghiera, portando nel cuore tutta la Chiesa. Qui contemplerò i luoghi in cui Cristo ha dato la sua vita e l'ha poi ripresa nella risurrezione, facendoci dono del suo Spirito. Qui vorrò gridare ancora una volta la grande e consolante certezza che «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16).
8. Tra i luoghi gerosolimitani a cui è maggiormente legata la vicenda terrena di Cristo sarà irrinunciabile la visita al Cenacolo, dove Gesù istituì l'Eucaristia, fonte e culmine della vita della Chiesa. Qui, secondo la tradizione, erano riuniti gli Apostoli in preghiera con Maria, Madre di Cristo, quando nel giorno di Pentecoste venne effuso lo Spirito Santo. Cominciò allora l'ultima tappa del cammino della storia della salvezza, il tempo della Chiesa, corpo e sposa di Cristo, popolo pellegrinante nel tempo, chiamato ad essere segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano (cfr Lumen gentium, 1).
La visita al Cenacolo vuole così essere un ritorno alle scaturigini stesse della Chiesa. Il successore di Pietro, che a Roma vive nel luogo dove il Principe degli Apostoli affrontò il martirio, non può non risalire costantemente al luogo da cui Pietro, il giorno di Pentecoste, cominciò a proclamare a voce spiegata, con la forza inebriante dello Spirito, la «buona notizia» che Gesù Cristo è il Signore (cfr At 2, 36).
9. La visita ai Luoghi santi della vita terrena del Redentore introduce, per logica connessione, ai luoghi che furono significativi per la Chiesa nascente e conobbero lo slancio missionario della prima comunità cristiana. Sarebbero tanti, se seguiamo il racconto di Luca negli Atti degli Apostoli. Ma in particolare mi piacerebbe poter sostare in meditazione anche in due città legate in modo speciale alla vicenda di Paolo, l'apostolo delle Genti. Penso innanzitutto a Damasco, luogo che evoca la sua conversione. Il futuro apostolo era infatti in cammino verso quella città in veste di persecutore, quando Cristo stesso attraversò la sua via: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9, 4). Lo zelo di Paolo, ormai conquistato da Cristo, di lì s'irradiò con una progressione inarrestabile fino a raggiungere gran parte del mondo allora conosciuto. Tante furono le città da lui evangelizzate. Sarebbe bello poter toccare in particolare Atene, nel cui Areopago egli pronunciò un mirabile discorso (cfr At 17, 22-31). Se si considera il ruolo avuto dalla Grecia nella formazione della cultura antica, si comprende come quel discorso di Paolo possa considerarsi in qualche modo il simbolo stesso dell'incontro del Vangelo con la cultura umana.
10. Abbandonandomi totalmente a quanto disporrà la divina volontà, sarei lieto se questo disegno potesse essere realizzato almeno nei suoi punti essenziali. Si tratta di un pellegrinaggio esclusivamente religioso, sia per la sua natura che per le sue finalità, e sarei addolorato se si attribuissero a questo mio progetto significati diversi. Fin d'ora anzi lo sto compiendo in senso spirituale, giacché andare anche solo col pensiero a questi luoghi significa in qualche modo rileggere il Vangelo stesso, significa ripercorrere le strade che la Rivelazione ha percorso.
Recarci in spirito di preghiera da un luogo a un altro, da una città all'altra, nello spazio particolarmente segnato dall'intervento di Dio, ci aiuta non soltanto a vivere la nostra vita come un cammino, ma ci dà plasticamente l'idea di un Dio che ci ha anticipati e ci precede, che si è messo Egli stesso in cammino sulle strade dell'uomo, un Dio che non ci guarda dall'alto, ma si è fatto nostro compagno di viaggio.
Il pellegrinaggio nei Luoghi santi diventa così un'esperienza straordinariamente significativa, evocata in qualche modo da ogni altro pellegrinaggio giubilare. La Chiesa infatti non può dimenticare le sue radici; ad esse anzi deve continuamente ritornare per tenersi totalmente fedele al disegno di Dio. Per questo nella Bolla Incarnationis mysterium ho scritto che il Giubileo, celebrato contemporaneamente in Terra Santa, a Roma e nelle Chiese locali del mondo intero, «avrà, per così dire, due centri: da una parte la Città, ove la Provvidenza ha voluto porre la sede del Successore di Pietro, e dall'altra la Terra Santa, nella quale il Figlio di Dio è nato come uomo prendendo la nostra carne da una Vergine di nome Maria» (n. 2).
Questa attenzione alla Terra Santa, mentre esprime la doverosa memoria dei cristiani, vuole onorare il profondo rapporto che essi continuano ad avere con il popolo ebraico, da cui Cristo proviene secondo la carne (cfr Rm 9, 5). Molto cammino in questi decenni è stato fatto, specialmente dopo il Concilio Vaticano II, per stabilire un dialogo fecondo con il popolo che Dio ha scelto come primo destinatario delle sue promesse e dell'Alleanza. Il Giubileo dovrà costituire una ulteriore occasione perché cresca la coscienza dei vincoli che ci uniscono, contribuendo ad estinguere definitivamente incomprensioni che purtroppo hanno tante volte nei secoli amaramente segnato i rapporti tra cristiani ed ebrei.
Non possiamo, inoltre, dimenticare che la Terra Santa è cara anche ai seguaci dell'Islam, che le tributano una speciale venerazione. Ho viva speranza che la mia visita ai Luoghi santi possa offrire anche una opportunità d'incontro con loro, perché, pur nella chiarezza della testimonianza, crescano motivi di reciproca conoscenza e stima, nonché di collaborazione nello sforzo di testimoniare il valore dell'impegno religioso e l'anelito per una società più conforme al disegno di Dio, nel rispetto di ogni essere umano e del creato.
11. In questo cammino negli spazi che Dio ha scelto per mettere la sua «tenda» tra di noi è grande il mio desiderio di sentirmi accolto come pellegrino e fratello non solo dalle comunità cattoliche, che incontrerò con particolare gioia, ma anche dalle altre Chiese che hanno ininterrottamente vissuto nei Luoghi santi e li hanno custoditi con fedeltà e con amore per il Signore.
Più di ogni altro mio pellegrinaggio, questo che mi accingo a compiere in Terra Santa nella circostanza giubilare sarà segnato dall'anelito della preghiera rivolta da Cristo al Padre perché tutti i suoi discepoli «siano una cosa sola» (Gv 17, 21), una preghiera che ci interpella in modo ancor più vigoroso nell'ora eccezionale che apre il nuovo Millennio. Per questo mi auguro che tutti i fratelli di fede, nella docilità allo Spirito Santo, possano vedere nei miei passi di pellegrino sulla terra percorsa da Cristo una «dossologia» per la salvezza che tutti abbiamo ricevuto, e sarei felice se insieme potessimo radunarci nei luoghi della nostra origine comune, per testimoniare Cristo nostra unità (cfr Ut unum sint, n. 23) e confermare il reciproco impegno verso il ristabilimento della piena comunione.
12. Non mi resta dunque che invitare caldamente tutta la comunità cristiana a mettersi idealmente in cammino per il pellegrinaggio giubilare. Esso potrà essere celebrato nelle molteplici forme che ho indicato con la Bolla di indizione. Ma certo non pochi lo vivranno anche mettendosi concretamente in viaggio verso quei luoghi che hanno avuto particolare rilievo nella storia della salvezza. Tutti dovremo comunque compiere quel viaggio interiore che ha per scopo di staccarci da ciò che, in noi e intorno a noi, è contrario alla legge di Dio, per metterci in grado di incontrare pienamente il Cristo, confessando la nostra fede in Lui e ricevendo l'abbondanza della sua misericordia.
Nel Vangelo Gesù ci appare sempre in cammino. Sembra che Egli abbia fretta di muoversi da un luogo all'altro per annunciare la vicinanza del Regno di Dio. Annuncia e chiama. Il suo «seguimi» raccolse la pronta adesione degli Apostoli (cfr Mc 1, 16-20). Sentiamoci tutti raggiunti dalla sua voce, dal suo invito, dal suo appello a una vita nuova.
Lo dico soprattutto ai giovani, davanti ai quali la vita si apre come un cammino ricco di sorprese e di promesse.
Lo dico a tutti: mettiamoci sulle orme di Cristo!
Il viaggio che intendo fare nell'anno giubilare possa rappresentare il viaggio di tutta la Chiesa desiderosa di essere sempre più pronta alla voce dello Spirito, per andare speditamente incontro a Cristo, lo Sposo: «Lo Spirito e la Sposa gridano: "vieni"» (Ap 22, 17).
Dal Vaticano, il 29 giugno, Solennità dei SS. Pietro e Paolo, dell'anno 1999, ventunesimo di Pontificato.
Romana, n. 29, Luglio-Dicembre 1999, p. 180-187.