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In occasione dell'inizio del 60º anno dalla fondazione dell'Opus Dei, il Prelato ha inviato la seguente Lettera pastorale ai fedeli della Prelatura.

Carissimi, Gesù mi protegga le mie figlie e i miei figli!

Nel mettermi a scrivervi oggi, alla vigilia del 2 ottobre, il mio cuore s'innalza a Dio Nostro Signore per rendergli grazie. Gratias tibi, Deus, gratias tibi!, ripetiamo all'unisono tutti noi suoi figli dell'Opus Dei, accompagnati dalla gratitudine di molte altre persone che apprezzano la grandezza del dono elargito da Dio all'umanità intera, il 2 ottobre del 1928. Allo stesso tempo, vorremmo rappresentare tutte le creature che ancora ignorano questo segno della bontà divina e non possono perciò unirsi al ringraziamento per la fondazione dell'Opus Dei da noi elevato alla Trinità Beatissima.

Figlie e figli miei, la nostra gratitudine sia operativa; si manifesti cioè nel rinnovare la lotta per raggiungere la meta additataci da Gesù Cristo: la santità. Nunc coepi!, ricominciamo da capo! Questa è l'esclamazione che ogni fedele della Prelatura deve ripetere, sull'esempio del nostro amatissimo e santo Fondatore che, fin da prima del 2 ottobre del 1928, stabilì come sua unica ed esclusiva ragione di vita la necessità di compiere la volontà di Dio, facendo l'Opus Dei ed essendo personalmente Opus Dei.

Iniziamo il sessantesimo anno della storia dell'Opus Dei, e tale circostanza mi induce a farvi considerare ancora una volta la bellezza della nostra vocazione divina, a cui dobbiamo corrispondere con tutte le forze dell'anima. Decidiamoci a dare al Signore motivi abbondanti di gioia, figli miei, nella tappa che ora incomincia. La Provvidenza ha voluto far sì che coincida con l'Anno Mariano proclamato nella Chiesa universale: diamoci da fare, dunque, per tessere giorno dopo giorno, con il dono della nostra vita, un manto nuovo per la Madre del Cielo. In questo periodo dedicato a onorare la Madonna, nostro Padre desidera offrire al Signore a nome nostro —non c'è alcun dubbio— una fedeltà maggiormente purificata.

So bene, figlie e figli miei, che le vostre più sincere aspirazioni vi portano ad essere leali alla vostra vocazione. Tuttavia, tutti dobbiamo constatare con dolore che l'ambiente oggi dominante nella società trabocca di relativismo e d'incertezza, ed è evidente la perdita del valore della fedeltà. Molti, e non solo tra i giovani, ignorano l'onere benedetto della lealtà, che porta le persone oneste a essere fedeli alla parola data, a rispettare gli impegni liberamente assunti, ad agire con coerenza in ogni circostanza. Non vi propongo esempi concreti, perché disgraziatamente li avete sotto gli occhi in quasi tutti i settori della vita religiosa e civile.

Per tali ragioni, anche se nutro una fiducia illimitata nella fedeltà, rafforzata dalla grazia divina, dei miei figli e figlie, non mi stanco né mi stancherò mai di ricordarvi le esigenze della nostra dedizione, che —come ci ripeteva nostro Padre— sono sempre attuali, perché lietamente attuale è la vocazione, in ogni istante, anche quando dobbiamo andare controcorrente. Mi propongo, in questa e nelle prossime Lettere, di aiutarvi a sviscerare —affinché tutti ne possiamo trarre giovamento— alcune delle conseguenze concrete del patto di amore che ci lega a Gesù Cristo, con dolcezza e con forza, nella porzione del suo Corpo Mistico costituita dalla Prelatura: un patto che investe vocazionalmente —oserei dire essenzialmente ed esistenzialmente— tutto il nostro essere e la nostra vita intera.

La festa che celebreremo domani, oltre a servire di stimolo al ringraziamento, apre al nostro sguardo una prima deduzione, di valore perenne, che si deve trarre dalla chiamata divina all'Opus Dei: la necessità di trasformare davvero il lavoro in preghiera e di aumentare il nostro spirito contemplativo in mezzo alle occupazioni terrene. Come scrisse il nostro Fondatore, "noi figli di Dio dobbiamo essere contemplativi: persone che, in mezzo al frastuono della folla, sanno trovare il silenzio dell'anima in dialogo permanente con il Signore; e sanno guardarlo come si guarda un Padre, come si guarda un Amico, che si ama alla follia"[1].

Nel suscitare l'Opus Dei, Gesù ha ricordato espressamente all'umanità intera che il lavoro professionale ordinario, le comuni occupazioni, costituiscono il cammino che l'immensa maggioranza degli uomini deve percorrere e santificare per raggiungere il Cielo. Allo stesso tempo, con lo spirito affidato da Dio a nostro Padre, è stato additato un nuovo modo di avanzare su questo sentiero, un modo che il nostro Fondatore ha perfettamente incarnato e reso accessibile a milioni di persone.

Nella vita di nostro Padre, lavoro e orazione si fondevano armoniosamente in compiuta unità. "La nostra vita è pregare e lavorare e, viceversa, lavorare e pregare"[2], ci scriveva. E' questo l'ideale delle sue figlie e dei suoi figli, l'obiettivo che dobbiamo perseguire, con l'aiuto divino e il perseverante impegno personale. E verrà il momento in cui, come succedeva al nostro santo Fondatore, vi sarà "impossibile vedere differenze tra lavoro e contemplazione: non si può dire che fin qui si prega e fin qui si lavora. Si continua sempre a pregare, a contemplare alla presenza di Dio. Pur essendo in apparenza uomini d'azione, potremo giungere dove giunsero i mistici più alti: -volai così in alto, così in alto, / che raggiunsi la preda-(San Giovanni della Croce, Poesie), fino al cuore di Dio"[3].

Trasformare il lavoro in preghiera, in offerta gradita a Dio perché unita al Sacrificio della Croce nella Santa Messa, in realtà santificata e santificante: ecco il nocciolo dello spirito dell'Opus Dei, il messaggio che dobbiamo trasmettere, che dobbiamo insegnare a molte anime con la forza persuasiva della nostra parola e la testimonianza eloquente della nostra condotta. E come potremmo assolvere l'incarico ricevuto da Dio, se non ci impegnassimo per tradurlo pienamente in realtà nella nostra attività quotidiana?

Non basta, quindi, parlare agli altri della santificazione del lavoro. Non sarebbe altro che una sbiadita affermazione, se non fosse sostenuta dalla lotta necessaria per santificare davvero il lavoro, ventiquattro ore su ventiquattro. Un risultato che, sebbene sia principalmente frutto della grazia di Dio, è anche effetto dello sforzo personale —perseverante, tenace, instancabile— di anni e anni di lotta per conservare la presenza di Dio, facendo leva sulle pratiche di pietà, immersi nelle occupazioni che riempiono il nostro tempo. A chi cerca sinceramente di offrire a Dio le sue attività, tutte insieme e ciascuna di esse, all'uomo —alla donna— che si serve delle vicissitudini del lavoro professionale per innalzare il cuore a Dio e alla Madonna, per mortificare i propri gusti e propensioni, per pensare al bene degli altri; a una persona che si comporta in questo modo, il Signore non manca di concedere abbondantemente la sua grazia. E così, "qualunque lavoro, anche il più nascosto, anche il più insignificante, offerto al Signore, ha la forza della vita di Dio!"[4].

Vi sto parlando di rettitudine d'intenzione nell'esercizio dell'attività professionale. Questa disposizione, indispensabile per essere graditi al Signore, non è come un'etichetta da incollare al prodotto dall'esterno, una volta terminata la lavorazione. No! La rettitudine predicataci insistentemente da nostro Padre informa il lavoro fin dalla sua stessa origine: e si trasforma nel suo più importante movente. "La rettitudine di intenzione —precisava— consiste nel cercare -solamente e in tutto- la gloria di Dio"[5].

Figlie e figli miei, esaminate sinceramente le vostre disposizioni più intime nell'esercizio della professione, qualunque essa sia. Anch'io lo faccio. Non succeda che, senza rendercene conto, per trascuratezza o per abitudinarismo, stiamo avanzando al di fuori della via maestra aperta per noi dal Signore. "Bene curris, sed extra viam", corri bene, ma fuori strada, dovrei dire, con parole di Sant'Agostino, al figlio mio che forse si dà molto da fare, svolge un'attività spossante, lavora moltissimo..., ma il lavoro non lo avvicina al Signore, e non gli permette di occuparsi dei suoi fratelli e delle persone che vivono intorno a lui, né di approfittare di tutte le occasioni per avvicinare anime a Dio... A rigore, un membro della Prelatura che si comportasse in questo modo, non starebbe correndo "bene" sul cammino di Dio; andrebbe, semplicemente, per sentieri sbagliati, e non raggiungerebbe il fine indicatogli dal Signore, quando lo chiamò —con un "mandato imperativo", figlie e figli miei!— a far parte dell'Opus Dei.

Esaminate, dunque, le vere motivazioni che presiedono al vostro lavoro professionale. Non abbiate riguardo, figlie e figli miei, a riconoscere sinceramente davanti a Dio, a chi vi dirige spiritualmente e a voi stessi, di aver perduto un poco il mirino soprannaturale —qualora ciò sia avvenuto—, o di non esservi finora impegnati a fondo per trasformare veramente il lavoro professionale "in occasioni per amare" Dio "e per servire con gioia e semplicità la Chiesa, il Romano Pontefice e tutte le anime, illuminando i cammini della terra con la fiamma della fede e dell'amore"[6]. E incominciate —è un'aspirazione che tutti dobbiamo ravvivare costantemente— a percorrere con più garbo il sentiero vecchio e nuovo dell'Opus Dei, facendo girare la noria, giorno dopo giorno, come un asinello di Dio che pensa solo a far piacere al Padre del Cielo, e a riempire di frutti l'orto affidato dal Signore al suo lavoro.

Quando riceverete queste righe, sarà in pieno svolgimento l'Assemblea del Sinodo dei Vescovi, sulla missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. Pregate perché la riflessione dei Padri sinodali, su un tema tanto importante per la vita della Chiesa, contribuisca a risvegliare nella coscienza dei cristiani la consapevolezza che tutti, sacerdoti e laici, sono chiamati alla santità e a partecipare —ciascuno a modo suo, secondo la vocazione ricevuta da Dio e rispettando la diversità dei carismi— alla missione apostolica affidata da Cristo alla Chiesa intera. Fate presenti alla Madonna queste intenzioni quando recitate il Santo Rosario, specialmente durante il mese che sta cominciando, tradizionalmente dedicato dalla Chiesa a questa devozione mariana. E decidetevi a pregare di più durante il vostro lavoro: così lavorerete meglio.

Vedete bene —i fatti parlano— che nell'Opus Dei tutto viene portato avanti a forza di preghiera: vi può forse meravigliare che vi chieda tutti i mesi di pregare per la mia intenzione? Ho bisogno che aumentiate le vostre suppliche, che insistiate con più costanza. Senza rimproverare nessuna e nessuno di voi, vi dico però con chiarezza: di più, di più, di più! L'intenzione che vi affido richiede un cumulo di preghiere e di sacrifici.

Con tanto affetto, vi benedice

vostro Padre

Alvaro

Roma, 1 ottobre 1987

[1] Mons. Josemaría Escrivá, Forgia, n. 738; ed. Ares, Milano 1987.

[2] Mons. Josemaría Escrivá, Lettera, 9-I-1932, n. 14.

[3] Mons. Josemaría Escrivá.

[4] Mons. Josemaría Escrivá, Forgia, n. 49.

[5] Mons. Josemaría Escrivá, Forgia, n. 921.

[6] Preghiera per la devozione privata al Servo di Dio Josemaría Escrivá.

Romana, n. 5, Luglio-Dicembre 1987, p. 216-219.

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