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Omelia nella celebrazione eucaristica nel 14º anniversario del transito al Cielo del Servo di Dio Josemaría Escrivá, Fondatore dell'Opus Dei, tenuta nella Basilica di Sant'Eugenio, a Roma, il 26 giugno 1989.

Se il chicco di grano caduto in terra (...) muore, produce molto frutto[1].

Ci riuniamo per la quindicesima volta, per ricordare il dies natalis, l'abbraccio eterno con il Signore di Mons. Josemaría Escrivá, e si ha di nuovo l'evidenza che egli è stato un seme fecondo di grano, gettato dalla mano divina nel mondo, che per la benevolenza di Dio ha prodotto molti frutti. La fecondità della vita del Fondatore dell'Opus Dei —ne rendiamo grazie a Dio Uno e Trino— è impressionante; ma non meraviglia coloro che hanno avuto la grazia di conoscerlo o che leggono e meditano i suoi scritti; sanno che la fonte dell'efficacia soprannaturale è Cristo, e quindi non ci si può meravigliare che la vita di coloro che si identificano con Cristo continui ad essere feconda, come disse il Maestro.

Fin dalla sua giovinezza, Mons. Escrivá fu fortemente scosso, nell'animo, da tante parole di Gesù. Ricordo ora quel grido: Ignem veni mittere in terram et quid volo nisi ut accendatur?[2], sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! A quelle parole corrispondeva un desiderio operativo di propagare in tutto il mondo il fuoco dell'amore di Dio, convinto che per tutti —uomini e donne—, nessuno escluso, la generosità senza limiti verso il Signore è la fonte della felicità, sia temporale che eterna.

La sensazione di tante persone, che si sono trovate, anche per brevi momenti accanto al Padre —così lo chiamavano e così continuiamo a chiamarlo migliaia di persone di varie nazionalità— era immancabilmente la stessa: era come se Gesù avesse parlato loro. Si ripeteva la scena dei due discepoli di Emmaus che, entusiasti dopo l'incontro con Cristo risorto, dicevano: Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?[3]; e si lasciava il Padre con l'idea chiara che bisognava obbedire al mandato operativo di Cristo: Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura[4].

Pensare, come abitualmente fa molta gente, che l'apostolato tocchi soltanto agli ecclesiastici, è un grave errore. Il messaggio affidato da Dio a Mons. Escrivá consiste nel ricordare che tutti —ognuno nel proprio luogo in mezzo a questo nostro mondo—, tutti siamo chiamati alla santità; tutti dobbiamo imitare Gesù; tutti, ognuno al suo posto e nel proprio lavoro, dobbiamo essere santi e fare apostolato.

Gesù ha detto che noi cristiani siamo il sale e la luce del mondo. Fratelli e sorelle miei, affinché il sale non perda sapore, bisogna curare molto la propria vita interiore, cercando, con sincerità, di superarsi continuamente, di non scendere mai a patti con se stessi, e di lottare per non cadere mai nella mediocrità spirituale. Ci si rende conto, allora, che —con parole di Mons. Escrivá— "l'apostolato è la sovrabbondanza della vita interiore".

Quanto più inseriti nel mondo, quanto più difficile è l'ambiente in cui lavoriamo, quanto più lontano da Cristo è il modo di vivere delle persone che ci stanno attorno, tanto più grande è il dovere di essere santi e di fare apostolato; di essere, cioè, nel mondo, ognuno di noi, Gesù che passa.

Ignem veni mittere in terram.... E' bello ripetere, oggi, durante questa Santa Messa di suffragio per l'anima di Mons. Josemaría Escrivá, le parole che il suo Servo utilizzò tanto spesso come giaculatoria. In duemila anni di storia di cristianesimo, molto è stato fatto, ma moltissimo resta da fare, perché i cristiani di ogni epoca storica, come i primi discepoli di Cristo, devono illuminare col Vangelo la loro società e il loro tempo. Viene a proposito una riflessione di Sant'Agostino sugli anni in cui è vissuto: "Tu dici —scrive il santo vescovo— sono tempi difficili, sono tempi opprimenti, sono tempi preoccupanti. Vivi tu correttamente e cambierai i tempi. I tempi non hanno mai fatto male a nessuno. Coloro che fanno del male sono gli esseri umani. Cambia dunque gli esseri umani e i tempi cambieranno"[5].

Lo stesso Mons. Escrivá raccontava un fatto emblematico occorsogli molti anni fa: un amico gli volle far notare un giorno il fallimento di Cristo —così diceva quella persona che stava cercando la fede— perché, dopo venti secoli di cristianesimo, ci sono tanti che non conoscono ancora Cristo e molti altri, fra coloro che lo conoscono, che vivono come se non lo conoscessero. Mons. Escrivá superò a fatica l'immediata tristezza causatagli da queste parole; ma, subito dopo, prese sopravvento in lui un profondo senso di riconoscenza verso Dio: "Il Signore ha voluto fare di ogni uomo un libero cooperatore della sua opera di redenzione. Cristo non è fallito: la sua dottrina e la sua vita stanno fecondando il mondo incessantemente. La redenzione che Egli ha effettuato è sufficiente e sovrabbondante"[6]. La redenzione si sta compiendo, e Cristo è così generoso che vuole realizzarla con la nostra collaborazione.

Il panorama del mondo che ci sta attorno può apparire desolante. Come denunciava il Romano Pontefice a Oslo il primo giugno, "si è molto affievolito o è quasi scomparso in molti uomini, il senso di una vita divina. In un mondo secolarizzato, che basta a se stesso e che si impegna solo per se stesso, la religione e la Chiesa sembrano non avere più alcuna utilità. E anche tra i cristiani la fede ha perso la sua forza".[7]. Davanti al mondo secolarizzato e al deterioramento della fede, molta gente appare triste, rassegnata, scoraggiata perché, come affermava in un'altra occasione il Papa, dopo aver alterato la propria coscienza, ha sostituito la vera gioia di vivere col benessere materiale ad ogni costo[8].

E' compito di noi cristiani —non dimentichiamolo mai!—, è compito nostro ridare speranza al mondo, la speranza di Cristo, bloccando una grande fuga da Dio, una fuga irrazionale, perché Dio è il Principio e il Fine di tutto il creato. Dobbiamo convincerli che la loro è una corsa pazza, illogica, perché porta verso il nulla, verso l'infelicità temporale ed eterna. Questa umanità —alla quale apparteniamo, e che dobbiamo servire— ci fa dire con Gesù: misereor super turbam[9], ho compassione di questa folla; e ci ricorda che è necessario portare sulla terra il fuoco e la luce di Cristo, non considerandoci migliori di loro, ma strumento nelle mani di Dio —fermento—, per servirli.

Soffermiamoci un momento su di un'altra realtà, già annunciata nel Vangelo: la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta (...). Egli era nel mondo, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne tra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto[10]. Queste parole del prologo del Vangelo di San Giovanni ci fanno capire che il grande nemico di Dio e la grande alleata del diavolo, è l'ignoranza.

L'amore fraterno per la folla e per ogni persona, deve spingerci, secondo l'invito di Mons. Escrivá, ad un ampio apostolato della dottrina. Così scrisse nel primo numero di Forgia: "Figli di Dio. —Portatori dell'unica fiamma capace di illuminare i cammini terreni delle anime, dell'unico fulgore, nel quale mai potranno darsi oscurità, ombre o penombre.

Il Signore si serve di noi come di torce, perché questa luce illumini... Da noi dipende che molti non rimangano nelle tenebre, ma percorrano sentieri che conducono fino alla vita eterna"[11].

Per evitare stati di inerzia, determinati magari dal non riuscire ad intravedere spazi concreti di azione, permettetemi, adesso, di bussare al vostro cuore con alcune domande, che vogliono essere solo l'occasione di un esame di coscienza che vi conduca, e mi conduca, a un maggiore impegno apostolico.

Quanti tra i vostri familiari o amici o conoscenti ignorano Cristo e la sua dottrina? Quanti hanno chiaro e si lasciano guidare, nelle loro scelte, dal fatto che l'uomo non è solo corpo, ma possiede un'anima immortale? E siccome l'anima deve essere alimentata —con i Sacramenti e la preghiera— almeno con lo stesso impegno con cui si cura la vita corporale, aiutiamo noi i nostri conoscenti perché abbiano una vita sacramentale? Non vi fa soffrire sapere quante persone vivono con l'anima morta, perché non sono più in grazia di Dio? Quanti dei vostri amici ricordano che la grazia si perde col peccato mortale, il vero male dell'uomo che deve essere evitato, con tutte le proprie forze e con l'aiuto di Dio? Quanti ignorano ancora —o fanno finta d'ignorare— che l'aborto procurato, a qualunque mese esso avvenga, è un crimine davanti a Dio, perché è la soppressione di una vita umana nel seno materno? Quanti ignorano il dolce sapore del perdono nel sacramento della Confessione?

Quante falsità ha diffuso il demonio sulla Confessione! e che grande bisogno c'è di gente che sappia far riscoprire ai propri familiari ed amici il Sacramento della Penitenza. E' soprattutto in questo Sacramento dove si manifesta la misericordia di Dio. Basta pensare al ladrone in croce: la sua confessione, punita con la morte da un tribunale umano, ottiene da Gesù una sorprendente risposta: Oggi sarai con me in Paradiso[12]. "Dio nella Sua misericordia —scrive San Gregorio Magno— non solo ci perdona le nostre colpe, ma promette il Regno dei Cieli a coloro che, dopo aver commesso una colpa, si pentono"[13].

E ancora: quante, delle persone che vi circondano, non sono capaci di gustare la dolcezza dell'Eucarestia, ignorando che in questo Sacramento Cristo si dà all'uomo, all'anima in grazia, col Suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità? Quanti giovani, attratti dall'ideale di una vocazione, ne vengono distolti dalla visione umana di genitori, parenti e amici, che pensano che Dio non merita l'offerta totale della propria vita? A questi giovani e ai loro genitori dico: datevi al Signore senza paura, senza calcolo! Dio è un buon pagatore. E, ultima domanda, quanti dei nostri conoscenti non si sono accorti, a causa della nostra languidezza spirituale e della nostra inattività apostolica, che siamo cristiani? Vedete, fratelli e figli miei, che orizzonti, così suggestivi, ci si presentano dinnanzi.

Davanti al panorama che le risposte lasciano intravedere, il Padre sentiva quotidianamente e particolarmente pressante il dolce peso della Chiesa e delle anime, e chiedeva alla Madonna, pieno di speranza: Monstra te esse Matrem! Dimostra di essere la Madre di tutti gli uomini. Oggi, anche noi, chiediamo a Colei che è Spes nostra, Sedes Sapientiae, Ancilla Domini, che ci mostri di essere Madre, aiutandoci a togliere dalla ignoranza e a ridare fiducia a tutte le persone che vivono attorno a noi, suscitando anche in loro un desiderio ardente di essere apostoli di Gesù.

Mater Ecclesiae, ora pro nobis!

[1] Gv 12, 24.

[2] Lc 12, 49 (Vg).

[3] Lc 24, 32.

[4] Mc 16, 15.

[5] Sant'Agostino, Sermo 311, 8.

[6] J. Escrivá, E' Gesù che passa, n. 129; 3ª ed., Ares, Milano 1982.

[7] Giovanni Paolo II, Omelia a Oslo, 1-VI-1989.

[8] Cfr. Giovanni Paolo II, Omelia in Irlanda, 30-IX-1979.

[9] Mc 8, 2.

[10] Gv 1, 5.10.11.

[11] J. Escrivá, Forgia, n. 1; Ares, Milano 1987.

[12] Lc 23, 43.

[13] San Gregorio Magno, Homilia 19 in Evangelia.

Romana, n. 8, Gennaio-Giugno 1989, p. 106-109.

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