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Tutti in prima linea

Con l'Esortazione apostolica Christifideles laiciil Santo Padre ha sistematizzato, in una trattazione ampia e organica, i temi emersi nell'assemblea del Sinodo dei Vescovi del 1987 su "Vocazione e missione dei fedeli laici nella Chiesa e nel mondo a vent'anni dal Concilio Vaticano II". E li ha ripresi con totale aderenza ai documenti dei lavori sinodali: basti pensare, ad esempio, che tutte le Propositioneselaborate dai Padri appaiono citate nel testo o in calce.

Forse per questo la Christifideles laici è stata giustamente definita come "un testo di meditazione biblica ed ecclesiale": la Chiesa contempla se stessa alla luce del mistero della Trinità e medita con inesauribile stupore le dimensioni che di quel mistero riverberano in lei. Comunione vitale con Dio, anzitutto, in cui giace l'intima realtà della Chiesa e da cui prende slancio la sua missione di comunicare a tutti gli uomini questa partecipazione alla vita divina. Mistero della presenza di Cristo nella storia, la Chiesa riflette sul proprio dovere di realizzare nel mondo la propria costitutiva relazione con Dio. E in questo proiettarsi nella missione salvifica avverte la centralità, l'insostituibilità del ruolo dei laici. Essi sono infatti la sua "linea più avanzata" (n. 9), il fine cui convergono la sua attività di santificazione: -Il sacerdozio ministeriale, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, è essenzialmente finalizzato al sacerdozio regale di tutti i fedeli e ad esso ordinato. Per questo (...), i pastori devono riconoscere che il loro ministero è radicalmente ordinato al servizio di tutto il Popolo di Dio- (n. 22).

Il tono dell'Esortazione apostolica è stringente: -Situazioni nuove, sia ecclesiali sia sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano oggi, con una forza del tutto particolare, l'azione dei fedeli laici. Se il disimpegno è stato sempre inaccettabile, il tempo presente lo rende ancora più colpevole. Non è lecito a nessuno rimanere in ozio (...). La voce del Signore risuona certamente nell'intimo dell'essere stesso d'ogni cristiano, che mediante la fede e i sacramenti dell'iniziazione cristiana è configurato a Gesù Cristo, è inserito come membro vivo nella Chiesa ed è soggetto attivo della sua missione di salvezza (...). E' necessario, allora, guardare in faccia questo nostro mondo, con i suoi valori e problemi, le sue inquietudini e speranze, le sue conquiste e sconfitte: (...) questa la vigna, è questo il campo nel quale i fedeli laici sono chiamati a vivere la loro missione- (n. 3).

Il fulcro di questo documento sta nel vibrante appello del Papa ad una nuova evangelizzazione, in cui tutta la Chiesa si sente coinvolta: -Alle soglie del terzo millennio, la Chiesa tutta, Pastori e fedeli, deve sentire più forte la sua responsabilità di obbedire al comando di Cristo: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura" (Mc 16, 15), rinnovando il suo slancio missionario. Una grande, impegnativa e magnifica impresa è affidata alla Chiesa: quella di una nuova evangelizzazione, di cui il mondo attuale ha immenso bisogno- (n. 64). In quest'appello si può riconoscere la cifra di un pontificato che è stato a ragione definito "missionario". Giovanni Paolo II ne parlò per la prima volta in America Latina (Port-au-Prince, 9-III-1983) e da allora questo richiamo ad un impegno apostolico senza flessioni ha scandito la sua predicazione con cadenze regolari, martellanti.

L'accentuazione di quest'urgenza scaturisce dal rilevamento obiettivo di una situazione allarmante, nella cultura e nella vita dei popoli. L'erosione della fede mette a nudo la fragilità dell'uomo, dei suoi valori e dei diritti più irrinunciabili: -Interi paesi e nazioni, dove la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai fiorenti e capaci di dar origine a comunità di fede viva e operosa, sono ora messi a dura prova, e talvolta sono persino radicalmente trasformati, dal continuo diffondersi dell'indifferentismo, del secolarismo e dell'ateismo. Si tratta, in particolare, dei paesi e delle nazioni del cosiddetto Primo Mondo, nel quale il benessere economico e il consumismo, anche se frammisti a paurose situazioni di povertà e di miseria, ispirano e sostengono una vita vissuta "come se Dio non esistesse". Ora l'indifferenza religiosa e la totale insignificanza pratica di Dio per i problemi anche gravi della vita non sono meno preoccupanti ed eversive rispetto all'ateismo dichiarato. E anche la fede cristiana, se pure sopravvive in alcune sue manifestazioni tradizionali e ritualistiche, tende ad essere sradicata dai momenti più significativi dell'esistenza, quali sono i momenti del nascere, del soffrire e del morire. Di qui l'imporsi di interrogativi e di enigmi formidabili che, rimanendo senza risposta, espongono l'uomo contemporaneo alla delusione sconsolata o alla tentazione di eliminare la stessa vita umana che quei problemi pone- (n. 34).

Eppure, chiamando i cristiani ad adoperarsi per la ricristianizzazione della società, la Christifideles laici ci insegna che il vero realismo non si ferma alla constatazione del male e non è disfattismo o nostalgia del passato. Non ha compreso il male chi non ne volge l'esperienza nella coscienza del bisogno che l'uomo ha di essere salvato, nel soprannaturale ottimismo derivante dal fatto che questa salvezza ci è stata data in Cristo, nell'impegno personale per appropriarsene e diffonderla. Come ha scritto Mons. Escrivá, «c'e una sola malattia mortale, un solo errore funesto: rassegnarsi alta sconfitta, non saper lottare con spirito di figli di Dio. Se manca questo sforzo personale, l'anima si paralizza e giace abbandonata, incapace di dar frutto...

--Con questa codardia, la creatura costringe il Signore a pronunciare le parole che Egli ud, dal paralitico, nelta piscina probatica: "Hominem non habeo!" -- mi manca l'uomo!

--Che vergogna se Gesu non trovasse in te l'uomo, la donna, che

si aspetta!»[1].

Solo in questa reciproca tensione fra l'esperienza del male e l'operosa speranza della salvezza il cristiano può comprendere che la propria comunione con Dio si autentica attraverso l'accoglimento di un dovere che nessun'altra forma di impegno può surrogare: «l'assoluta necessità dell'apostolato della singola persona» (n. 28). Giovanni Paolo II riprende a questo proposito un testo conciliare: -L'apostolato che i singoli devono svolgere, sgorgando abbondantemente dalla fonte di una vita veramente cristiana (cfr. Gv 4, 14), è la prima forma e la condizione di ogni apostolato dei laici, anche di quello associato, ed è insostituibile-[2]. E sottolinea che l'efficacia di questo sforzo della Chiesa in ordine ad una nuova evangelizzazione dipende soprattutto dall'impegno di ciascun fedele: l'apostolato personale dei laici, infatti, apre prospettive di un'irradiazione del Vangelo che insieme è capillare, rivolta cioè a tutti gli ambienti sociali; costante, come il pulsare dei problemi e il rincorrersi delle situazioni dell'esistenza quotidiana; incisiva, -perché, nella piena condivisione delle condizioni di vita, del lavoro, delle difficoltà e speranze dei fratelli, i fedeli laici possono giungere al cuore dei loro vicini o amici o colleghi- (n. 28).

La vita della Chiesa mostra così tutta la sua incidenza sulla vita degli individui, delle famiglie e della società. E la dimensione spirituale dell'uomo palesa la propria inscindibile connessione con la dimensione sociale. E' un aspetto non secondario della lettura che la Christifideles laiciopera della proclamazione della vocazione universale alla santità, in cui individua -la consegna primaria affidata a tutti i figli e le figlie della Chiesa da un Concilio voluto per il rinnovamento evangelico della vita cristiana- (n. 16). Giovanni Paolo II ricorda che tale consegna -non è una semplice esortazione morale, bensì un'insopprimibile esigenza del mistero della Chiesa (...). I santi e le sante sono sempre stati fonte e origine di rinnovamento nelle più difficili circostanze in tutta la storia della Chiesa. Oggi abbiamo un grandissimo bisogno di santi- (ibid.). La santità è crescita mediante la grazia della comunione di ogni battezzato con Cristo, sua espansione fino alla pienezza; ed è ciò di cui ogni membro della Chiesa deve sentirsi debitore verso il mondo.

Come non ricordare l'incessante insegnamento del Fondatore dell'Opus Dei? La sua costante predicazione e tanti scritti, che hanno fatto risuonare nel mondo intero questo medesimo appello? -Non tutti possono arrivare a essere ricchi, sapienti, famosi... Invece tutti —sì, "tutti"— siamo chiamati a essere santi-[3]. -Queste crisi mondiali sono crisi di santi.

—Dio vuole un pugno di uomini "suoi" in ogni attività umana. —Poi... pax Christi in regno Christi— la pace di Cristo nel regno di Cristo-[4]. -La santità —quando è vera— trabocca, per riempire altri cuori, altre anime, della sua sovrabbondanza-[5].

Il primato della ricerca della santità personale, quale condizione dell'efficacia della missione di ogni cristiano nel mondo, consegue al rapporto di reciproca corrispondenza fra le dimensioni di comunione e di missione che si incontrano nel mistero della Chiesa. Di qui che la santità, in cui dicevamo consistere il più importante debito del cristiano verso il mondo, sia anzitutto debito verso la Chiesa. Essa è dunque, prima ancora che non il mondo, la vigna cui il Signore invia i suoi operai (cfr. n. 8): «Urge dovunque rifare il tessuto cristiano della societa umana. Ma la condizione e che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunita ecclesiali» (n. 34). Anche questo e un tema caro a Mons. Escrivá: «L'apostolato principale che noi cristiani dobbiamo svolgere nel mondo, la migliore testimonianza di fede, e contribuire a far si che all 'interno della Chiesa si respiri il clima della caritá

autentica»[6].

Elevando la propria attività all'ordine della grazia, il cristiano contribuisce a ricondurre il mondo a Dio e, insieme, ad edificare la Chiesa nella santità. Molti elementi, che nella Christifideles laici si susseguono quasi conchiusi in perfetta circolarità, possono aiutare ad una comprensione più profonda del rapporto Chiesa-mondo, che è punto cruciale della vita ecclesiale. I laici sono infatti il punto dove più intimamente l'appartenenza della Chiesa a Dio si interseca con la sua relazione al mondo, dove la sua natura teologica si innesta in un compito storico.

L'Esortazione apostolica ricorda come già il Vaticano II abbia descritto la condizione secolare dei laici (cioè l'insieme delle realtà professionali, familiari, sociali, ecc., di cui è intessuta la loro esistenza) non semplicemente come dato esteriore e ambientale: -L'essere e l'agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed ecclesiale- (n. 15). Ne deriva che il mondo non è soltanto l'ambito nel quale il laico opera alla propria santificazione, né soltanto oggetto da santificare o consacrare, ma anche la materia di questa santificazione e addirittura -il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici, perché esso stesso è destinato a glorificare Dio Padre in Cristo- (ibid.). Tornano alla mente le parole di Sant'Agostino: -Forse la grande Chiesa è una piccola parte della terra? La grande Chiesa è il mondo intero (...). Dovunque tu ti diriga, là è Cristo. Tua eredità sono i confini della terra; vieni, possiedila tutta assieme a me-[7]. E la considerazione così frequente sulle labbra e sulla penna del Fondatore dell'Opus Dei: -La vostra vocazione umana è parte importante della vostra vocazione divina-[8].

[1] J. Escrivá, Forgia, Ares, Milano 1987, n. 168.

[2] Concilio Vaticano II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 16.

[3] J. Escrivá, Solco, Ares, Milano 1986, n. 125.

[4] J. Escrivá, Cammino, Ares, Milano 1988, 23ª ed. it., n. 301.

[5] J. Escrivá, Forgia, Ares, Milano 1987, n. 856.

[6] J. Escrivá, Amici di Dio, Ares, Milano 1978, n. 226.

[7] S. Agostino, Enarrationes in Psalmos, 21, 2, 26.30.

[8] J. Escrivá, E' Gesù che passa, Ares, Milano 1982, 3ª ed. it., n. 46.

Romana, n. 8, Gennaio-Giugno 1989, p. 6-11.

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