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El último romántico, riflessioni sul fondatore dell’Opus Dei, di Mariano Fazio

Il vicario generale dell’Opus Dei, mons. Mariano Fazio, ha pubblicato El último romántico

(Edizioni Rialp, 2018; l’edizione italiana, a cura di Ares, è prevista per il 2019, con il titolo San Josemaría Escrivá. L’ultimo dei romantici), un libro che presenta «in forma ordinata alcune delle luci ricevute da san Josemaría novant’anni fa, e che oggi acquistano grande attualità», ha spiegato l’autore. Riproduciamo una intervista di Roberto Bosca per il portale AICA, in cui mons. Fazio parla di questo nuovo libro.


Dopo aver partecipato a Roma, dove risiede, al Sinodo sui giovani, il vicario generale dell’Opus Dei, mons. Mariano Fazio, è volato in Argentina per presentare il suo libro El último romántico. San Josemaría en el siglo XXI, nel quale delinea alcuni tratti della personalità del fondatore dell’Opus Dei, come il suo amore appassionato al mondo, scenario della vita cristiana, e spiega perché lo definisce l’ultimo romantico, in correlazione al suo amore per la libertà.

Al termine della presentazione, in un’intervista concessa a Roberto Bosca, mons. Fazio ha spiegato perché ha scritto il libro, rispondendo inoltre ad alcune domande sul difficile momento che sta attraversando la Chiesa. Ha parlato anche del rapporto verità-misericordia nella vita cristiana su cui è nata ultimamente qualche controversia. Fazio è argentino, autore di una vasta produzione storiografica pubblicata in diversi Paesi ed è oggi il vicario generale della Prelatura della Santa Croce e Opus Dei.

— Che cosa l’ha spinta a scrivere questo libro? Pensava di sottolineare qualche aspetto specifico della personalità di san Josemaría?

L’occasione immediata è stato il 90° anniversario della fondazione dell’Opus Dei. Con questo anniversario all’orizzonte, ho voluto rileggere lettere e testi di san Josemaría per approfondire il suo messaggio e meditare sul suo carisma di fondatore.

Nella lettura più sistematica, sono rimasto colpito da quanto sia facile essere in sintonia col suo spirito, perché in fondo è un messaggio molto aderente al Vangelo e, contemporaneamente, legato alle circostanze della vita ordinaria di un cittadino del XXI secolo, tra il lavoro, la famiglia, gli impegni sociali e lo svago.

In particolare, ho cercato di sottolineare alcuni aspetti del suo messaggio che mi sembravano specialmente illuminanti nel clima culturale contemporaneo, come la centralità della carità, la gioia di sapere di essere figli di Dio, il lavoro come luogo di santità, il valore del pluralismo, la ripercussione sociale della vita del cristiano.

— Non sono state già scritte sufficienti biografie sul fondatore dell’Opus Dei? Perché scriverne un’altra? O forse non si tratta esattamente di una biografia?

Come lei dice bene, questa non è una biografia del fondatore dell’Opus Dei, né uno studio teologico, né una raccolta di testi. Ho cercato di cogliere i punti essenziali di un messaggio che in questi decenni ha cambiato la vita a molte persone e che, secondo me, ha delle potenzialità destinate a espandersi.

Ho voluto anche mettere questo messaggio in relazione con altri autori, specialmente con quei classici della letteratura che riescono a illuminare alcune questioni di portata universale. Sono messaggi che trascendono la storia e sono attuali nel XXI secolo come nei secoli a venire. Per esempio, Gogol e Tolkien ringraziavano Dio di aver fatto l’essere umano partecipe del suo potere creatore; Kafka o Kierkegaard hanno affrontato la relazione di ogni persona con il proprio padre; Chesterton riflette sull’amore per il mondo; Machado ci provoca sul vero amore. Come cerco di dimostrare nel libro, il lavoro, l’amore, la filiazione o il mondo sono temi sui quali san Josemaría illumina significativamente.

— Perché il titolo del libro definisce san Josemaría “l’ultimo romantico”? La parola romanticismo può significare parecchie cose; a volte ha un senso leggermente dispregiativo, come se un romantico fosse un sognatore o un idealista. Che cosa vuol dire con El último romántico?

Egli aveva un concetto molto elevato della libertà umana. Qualche volta diceva che si considerava un romantico, un epigono di quei romantici del XIX secolo che lottarono tanto per difendere la propria e l’altrui libertà. Negli anni ’60 del secolo passato scrisse una omelia sul valore umano e divino della libertà, nella quale diceva: «Amo la libertà degli altri, la vostra, quella di chi sta passando per strada in questo momento, perché se non l’amassi non potrei difendere la mia. Questa, però, non è la ragione principale. La ragione principale è che Cristo è morto sulla Croce per darci la libertà, perché noi restassimo nella libertà e nella gloria dei figli di Dio».

— Josemaría fu definito da un grande filosofo come un uomo che amava la libertà. Le sembra che sia un tratto particolarmente significativo della sua personalità? D’altra parte, la libertà, ancor oggi, è guardata con sospetto in molti ambienti cristiani. Che cosa se ne può arguire?

Allo stesso tempo, la visione di san Josemaría è ben lontana da chi pretende la libertà per stare comodo e distruggere gli altri, assoggettarli, calpestarli. Perciò, alla parola romantico ogni tanto aggiungeva l’aggettivo cristiano: il romantico cristiano è colui che fa le cose per amore, perché vuole amare, e ama la libertà degli altri. È, indubbiamente, un aspetto chiave, centrale. San Josemaría era convinto che, sul piano naturale, il più grande regalo che Dio ha fatto all’essere umano è averci creati liberi: correre il rischio della nostra libertà, perché possiamo corrispondere liberamente con il nostro amore al suo amore infinito. Si potrebbe dire che la libertà è condizione necessaria dell’amore. Non è possibile amare solo per obbligo, sebbene sia certo che anche gli obblighi ci possono aiutare ad amare quando non sentiamo nulla.

— Molti cristiani sono avviliti a causa di certi episodi avvenuti negli ultimi tempi, ed è persino possibile che lo scandalo allontani alcuni dalla Chiesa. Che cosa direbbe a chi è turbato e addirittura vorrebbe andarsene?

I peccati e le colpe propri e altrui abbattono sempre e generano tristezza. In questo contesto doloroso, ci aiuta pensare che la Chiesa non è solo l’insieme degli uomini e delle donne che ne fanno parte (dall’ultimo battezzato fino ai pastori), ma soprattutto, come spiegava san Josemaría, la Chiesa è «Cristo presente in mezzo a noi, Dio che viene incontro all’umanità per salvarla, chiamandoci con la sua rivelazione, santificandoci con la sua grazia, sostenendoci con il suo costante aiuto nelle piccole e grandi battaglie della vita quotidiana».

In altre parole, noi crediamo — come diceva san Josemaría — «nonostante tutto», nonostante i peccati o anche i delitti di ogni membro.

Crediamo per Cristo e in Cristo, non per il comportamento più o meno brillante degli uni o degli altri, sebbene certamente l’esemplarità dei pastori e dei fedeli nella Chiesa sia di grande aiuto per avvicinare le persone a Cristo e il contrario risulti evidentemente un ostacolo.

La situazione che lei descrive deve spingerci a fare tutto il possibile perché questi delitti non si rinnovino e, al tempo stesso, ci deve portare a riparare per i nostri e gli altrui peccati, a pregare per la santità dei pastori della Chiesa e ad accettare questo momento di purificazione come l’inizio di una nuova conversione personale, che ci avvicini di più alla grazia di Dio, al sacramento del perdono, a un rapporto rinnovato con Gesù nell’Eucaristia e a un servizio disinteressato agli altri, cominciando dalle persone che ci sono più vicine.

— Lei dice che san Josemaría fu tacciato di essere un eretico, e qualcosa di simile era avvenuto con altri santi che, come lui, avevano aperto nuovi orizzonti nella vita della Chiesa. Però ora avviene il contrario, perché spesso la stampa considera l’Opus Dei un’istituzione conservatrice e poco propensa ai cambiamenti nella Chiesa e nella società. Che cosa ne pensa?

Ha ragione: nel giro di pochi anni alcuni cosiddetti progressisti sono stati alla fine accusati di essere conservatori. Negli anni ’60 avevamo il problema inverso: tanti dicevano che l’Opus Dei era una novità pericolosa.

Anche se è una cosa ovvia, noi dell’Opus Dei commettiamo, come tutti, degli errori e abbiamo dei difetti. Perciò, davanti alle critiche, da qualunque parte provengano, è bene esaminarsi per vedere se sono giustificate e, in tal caso, correggersi.

Allo stesso tempo, penso che sia sempre preferibile conoscere la realtà direttamente, senza rifarsi ai luoghi comuni. La mia esperienza è che molti, quando conoscono persone o attività promosse dalla Prelatura, modificano la loro percezione.

Mi sembra che ciò metta in evidenza, inoltre, i limiti del linguaggio politico applicato alle realtà di tipo spirituale. Nella Chiesa, conservare con fedeltà la fede ricevuta non rende nessuno ultraconservatore.

Nello stesso tempo, fare progressi nella missione di diffondere la luce di Cristo, attenti alle peculiarità del momento presente, non rende meritevoli dell’etichetta di progressisti. Penso che questa sia la dinamica nella quale noi cristiani dovremmo muoverci.

Del resto, la maggior parte delle persone dell’Opus Dei sono padri e madri di famiglia che devono cambiare i pannolini più volte al giorno, conciliare lavoro e vita familiare, che convivono con persone di tutte le credenze e i modi di pensare, che stanno nelle reti sociali e negli stessi scenari dei loro coetanei. Sono persone che non si propongono il cambiamento perché vivono nel cambiamento: in famiglia, sul posto di lavoro, nei loro passatempi.

— Come si risolve l’equazione verità-misericordia? Alcuni cristiani dicono che Papa Francesco mette troppo l’accento nel secondo termine e dimentica il primo; credono che il Papa stia annacquando la fede, e questo li angoscia. È proprio così? Perché crede che questo succeda? Che cosa consiglierebbe a quelle persone?

Consiglierei loro di leggere direttamente quello che scrive il Santo Padre, di seguirlo direttamente e di ascoltare meno quelli che interpretano le sue parole o le sue azioni. Leggano le sue omelie, la sua catechesi del mercoledì, le sue parole all’Angelus della domenica, le sue esortazioni. Oggi, grazie a Dio e alle nuove tecnologie, è più facile avere un filo diretto con il Papa, con quello che dice, fa e scrive giorno per giorno. Quando si va direttamente alla sorgente si vede immediatamente la connessione tra verità e misericordia, perché la verità senza misericordia sarebbe fanatismo e la misericordia senza verità sarebbe un falso buonismo.

Romana, n. 66, Gennaio-Giugno 2018, p. 143-147.

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