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Intervista concessa a Dong-A, Corea del Sud (16-XII-2013)

(A cura di

Kap Sik Kim)

— Nel film diretto da Joffé la storia della guerra civile spagnola s’intreccia con la vita di San Josemaría. Sappiamo che l’Opus Dei ha collaborato alla produzione del film. Potrebbe dirci perché ha deciso di collaborare a questo progetto e di che tipo è stato l’aiuto dato alla produzione?

Quando il regista e il produttore sono venuti a Roma per documentarsi, è stata data loro una consulenza storica affinché il film potesse rispecchiare fedelmente i fatti che si riferiscono alla biografia di San Josemaría. Si è dato loro tutto l’aiuto possibile, come si suole fare con chi si preoccupa di rivolgersi alle fonti. Soltanto in questo è consistita la collaborazione della Prelatura: fornire la documentazione, il materiale storico.

Mi consta che parecchi cattolici devoti a San Josemaría (tra i quali, molti fedeli dell’Opus Dei) hanno deciso di collaborare personalmente alla diffusione di questo film, proprio per il messaggio positivo che trasmette sulla forza del perdono e sulla figura amabile di un sacerdote cattolico che amava molto Dio e gli uomini.

Sono molto grato al regista Roland Joffé per l’alto livello professionale con cui ha lavorato.

— Questo film parla del perdono, del peccato, del male, del cammino di conversione. Potrebbe dirci quali impressioni ha ricavato dalla sua visione? Che cosa ha pensato vedendo il film? Ritiene che qualche aspetto sarebbe potuto essere migliore?

Mi è servito per ricordarmi di tante migliaia di sacerdoti che spendono con gioia la propria vita al servizio delle anime e della società.

Mi ha ricordato anche un modo di essere di San Josemaría, di cui ho avuto la fortuna di essere testimone diretto: la sua capacità di imitare Cristo sulla Croce, con le braccia aperte a tutti. Aperte alle persone di sinistra, di centro e di destra; ai poveri e ai ricchi; a tutti senza eccezione. L’ha vissuto in modo eroico durante la guerra civile spagnola, ma lo aveva praticato fin da giovane, e così avrebbe fatto per il resto della sua vita. È l’apertura di Cristo, di cui oggi ci parla tanto Papa Francesco, e che in verità è un messaggio molto attuale.

Non c’è dubbio che ogni film non può che limitarsi a trattare pochi fatti: in questo si fanno soltanto alcune pennellate su San Josemaría in un periodo determinato della sua vita. Del resto, mi rendo conto che non è un film biografico: il personaggio appare inserito in una narrazione cinematografica che ha una propria autonomia.

— Alcuni hanno detto che questo film è una risposta al Codice da Vinci. Lei che ne pensa?

L’Opus Dei come tale ha già risposto a suo tempo, approfittando dell’ondata di interesse pubblico, per fare una sorta di catechesi di massa sulla figura di Gesù Cristo e sulla Chiesa cattolica, oltre che per dare informazioni sulla realtà di quella parte della Chiesa che è la Prelatura dell’Opus Dei. Ringrazio Dio per le migliaia di persone che si sono avvicinate alla Chiesa grazie e nonostante i contenuti di quell’opera.

D’altra parte ho letto che sia il regista del film (Roland Joffé) sia i produttori hanno detto ripetutamente che non era loro intenzione rispondere a nessuno. Allo stesso tempo penso che There be dragons potrebbe essere utile a chiarire, perché esprime cinematograficamente la realtà su questioni relative al messaggio cristiano e alla Chiesa che il film da lei menzionato falsificava. Non le nascondo che mi piacerebbe che molti spettatori di quel film vedessero e gustassero There be dragons, e potessero farsi un quadro più completo e reale su temi come la grazia di Dio, il perdono e la santità, realtà alle quali ogni essere umano può aspirare.

— In verità, col film e il romanzo Codice da Vinci è stata diffusa un’immagine decisamente negativa dell’Opus Dei. In quali aspetti è stata deformata la realtà dell’Opus Dei nel libro e nel film?

La causa principale di dolore è stata che nel libro si giocasse in modo frivolo e superficiale con la persona di Cristo. Per il resto, la caricatura dell’Opus Dei era tanto grottesca e lontana dalla realtà da apparire quasi comica, assurda. Visto in prospettiva, posso dirle che forse è servito per fare esperienza su come farsi conoscere meglio, data la grande attenzione dei media. Anche in questo campo occorre un po’ di pazienza.

— Che tipo di istituzione è l’Opus Dei? Quali sono i suoi fini?

La missione specifica dell’Opus Dei, all’interno della Chiesa cattolica, è quella di ricordare che tutti i battezzati, uomini e donne, siamo chiamati a seguire e amare Dio, e ad amare il prossimo, proprio nella vita quotidiana. San Josemaría diceva che c’è qualcosa di divino nascosto nelle situazioni più comuni, e che tocca a ognuno di noi scoprirlo. Nessuna azione umana onesta può essere di ostacolo per l’amicizia con Dio, per l’incontro con Cristo. I fini dell’Opus Dei, pertanto, sono spirituali: aiutare molti uomini e donne a cercare, trovare, conoscere e amare Dio e il prossimo nella e attraverso la loro vita quotidiana.

Dal punto di vista giuridico, l’Opus Dei è una Prelatura personale, una delle forme previste dalla Chiesa cattolica per organizzare la sua attività pastorale nel mondo.

— Quanti fedeli e sacerdoti può contare l’Opus Dei?

Attualmente conta 90.000 membri, 2.000 dei quali sono sacerdoti. Tra i fedeli laici dell’Opus Dei si trovano donne e uomini di ogni categoria e condizione, la maggior parte sposati.

— Che cosa propone l’Opus Dei? Che tipo di spiritualità promuove l’Opus Dei? Perché alcuni settori cattolici dicono che l’Opus Dei è tradizionalista e vicina al fondamentalismo?

San Josemaría diceva spesso che l’Opus Dei è come una grande catechesi. Le dicevo prima che la si porta avanti dove Dio ci ha cercato: nelle circostanze della vita ordinaria, nel nostro lavoro, nella famiglia, con gli amici, durante il riposo... In un certo senso, è un’avventura di amore e di gioiosa fedeltà. L’Opus Dei offre il suo aiuto a coloro che desiderano rispondere a questa chiamata divina; la Prelatura propone alcune attività di formazione cristiana e la possibilità di un sostegno spirituale, adattato alla vita personale di ciascuno.

Lo spirito dell’Opus Dei si fonda sul Vangelo, sulla fiducia nella paternità amorevole di Dio, sulla fede in Cristo Risorto, sull’azione dello Spirito Santo, sulla vita sacramentale, oggi, ora, per ogni anima. L’Opus Dei compie questa missione, in seno alla Chiesa, come una porzione del popolo di Dio, in piena comunione con il Papa e con i Vescovi di ogni diocesi. È una manifestazione di catechesi, complementare a quella che offre per esempio la parrocchia, affinché la gente della strada trovi Dio nella sua vita ordinaria e condivida la gioia di questo incontro con i suoi colleghi, i suoi amici e i suoi conoscenti.

— Sappiamo che l’Opus Dei ha avuto stretti rapporti con Papa Giovanni Paolo II e poi con Benedetto XVI. Forse per questo, nella stampa occidentale, alcuni hanno detto che l’Opus Dei è una istituzione che protegge il papato o una sorta di collaboratore finanziario del Vaticano. Vorrei che ci dicesse qualcosa sul tipo di relazione che l’Opus Dei ha con il Papa e con il Vaticano.

San Josemaría ha sempre amato e si è sentito amato dai Romani Pontefici da lui conosciuti: Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, in un arco di tempo di 36 anni. Io gli ho sempre sentito dire: “Dalla Santa Sede, dal Santo Padre, non ci possono venire altro che cose buone”. Per un cattolico, il Papa — chiunque egli sia — sarà sempre il Vicario di Cristo.

È vero che successivamente si è stabilito un rapporto naturale, fiducioso e spontaneo tra Giovanni Paolo II e il Venerabile Servo di Dio Álvaro del Portillo, primo successore di San Josemaría, del quale aspettiamo con gioia la beatificazione. Il Papa vedeva in Monsignor del Portillo un figlio leale che gli diceva le cose con semplicità e veracità. Per esempio, una volta Giovanni Paolo II gli disse scherzando che l’Opus Dei era potente, al che don Álvaro rispose: “Santità, il nostro unico potere, la nostra unica forza è l’orazione”. E il Papa, assentendo con il capo, rispose: “A questo mi riferivo”.

Naturalmente Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno sostenuto l’Opus Dei, come del resto hanno fatto anche con tutti i figli della Chiesa. Noi speriamo soprattutto che, di questi Pontefici e di quelli che verranno dopo, si possa dire che hanno potuto riposare nell’Opus Dei, che per questo esiste: servire la Chiesa. Non ci interesserebbe affatto espanderci per il mondo intero e avere molte vocazioni, se non fosse per servire meglio la Chiesa universale e le Chiese locali, Corea compresa.

Quando Papa Francesco ha parlato per la prima volta dal balcone delle benedizioni, ha menzionato tutte le persone di buona volontà. Io penso che, oltre quelli dei cattolici, il Papa porta il peso, le gioie e i dolori di tutta l’umanità. Per questo, insieme alla gioia, dobbiamo avere anche l’intenso desiderio di pregare, tutti, per il successore di Pietro e sentire uno zelo filiale di invitare la gente ad amare il Romano Pontefice.

— Come si finanziano le attività dell’Opus Dei e come si coprono le spese delle attività educative, mediche e apostoliche?

Grazie a Dio esistono nel mondo parecchie iniziative educative e sociali, che si ispirano al messaggio di San Josemaría: cercare Dio attraverso la vita ordinaria. Nascono per impulso e sotto la responsabilità di alcune persone. Per esempio, nel caso delle scuole, i genitori degli alunni, che sono i primi interessati all’educazione dei propri figli. L’Opus Dei in questo non interviene, rispetta la libertà di ognuno nella sua azione sociale. Lo stesso accade con le altre iniziative mediche, sociali, culturali, ecc. Sono i responsabili di ognuna di esse a occuparsi di come finanziarle: si segue un sano principio di autonomia e di rispetto delle competenze di ciascuno. Ciò che la Prelatura dell’Opus Dei offre loro è la cura pastorale e la formazione spirituale.

Si deve tenere presente che il fine dell’Opus Dei, essendo parte della Chiesa, non consiste nell’organizzare questo tipo di iniziative, ma nel diffondere la presenza di Cristo nel mondo, nel servire le anime. È una cosa che Papa Francesco spiega con grande chiarezza nella sua recente Esortazione apostolica Evangelii gaudium.

— Recentemente ha visitato la Corea il Cardinale prefetto della Sacra Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e per il dialogo interreligioso. Le domande che ci facciamo quando qualcuno del Vaticano ci visita sono: possibilità della nomina di un Cardinale coreano, canonizzazione di nuovi martiri coreani, visita del Papa al Paese. Lei ha qualche informazione al riguardo?

Sono convinto che quando il Papa andrà in Corea sarà ricevuto con un affetto immenso, quale questa terra è capace di offrire. Però intorno alle nomine o alle decisioni sui viaggi del Papa, io non ho nessuna informazione. Personalmente, mi piacerebbe molto che arrivassero agli altari tanti martiri coreani che hanno dato la vita per annunciare il regno dell’amore di Cristo in questo amato Paese.

— Nel film di cui parlavamo si vede il comportamento di un sacerdote in un contesto politico difficile: potrebbe essere una proposta circa il comportamento di un sacerdote. Oggi in Corea c’è un sistema democratico, ma alcuni sacerdoti stanno manifestando contro il risultato delle elezioni, e arrivano anche a chiedere le dimissioni degli eletti. Qual è il suo parere sul pronunciamento politico dei sacerdoti?

I sacerdoti, in unione con il loro Vescovo, intervengono quando è in gioco una questione etica di fondo, direttamente legata alla dignità dell’uomo, ma debbono sempre rispettare la libertà temporale dei fedeli cattolici, perché su molte questioni non esiste una soluzione unica, ma varie possibili soluzioni legittime. Non conosco con precisione la situazione del Paese, ma è chiaro che noi sacerdoti siamo chiamati a essere sacerdoti per tutti, non soltanto per quanti la pensano come noi, e dobbiamo attenerci al Vangelo: dobbiamo viverlo e predicarlo.

— Potrebbe parlarci brevemente di lei? Come ha conosciuto l’Opus Dei e come è diventato sacerdote?

Ho fatto gli studi medi in una scuola tenuta dai fratelli maristi; quando avevo già compiuto 16 anni, Dio è entrato nella mia vita ed è cominciata la mia donazione nell’Opus Dei. Nel 1950 mi sono trasferito a Roma per studiare Diritto canonico all’Angelicum e Diritto civile all’Università Lateranense; dopo le lauree e i dottorati, sono stato ordinato sacerdote nel 1955. Fin dal mio arrivo a Roma ho avuto dal Signore l’immenso regalo di vivere con San Josemaría. Un dono di Dio del quale non sarò mai sufficientemente grato.

— Una caratteristica della società di oggi è la crisi religiosa. Il popolo si allontana da Dio, con una visione egoista e materialista. Forse ci sono maggiori mezzi economici, però c’è sempre meno gente felice. Lei come pensa che si possano ottenere la felicità e la pace interiore?

Il segreto della felicità non sta in una vita comoda. Come sottolinea bene lei stesso, tante persone dispongono di molti beni materiali, ma non riescono ad avere la pace interiore. È molto importante donarsi agli altri. Darsi sinceramente agli altri ha una tale efficacia — affermava San Josemaría — che Dio lo premia con una umiltà colma di gioia.

Gesù Cristo ci ha detto: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”. Se permettiamo che Dio entri nella nostra vita, i problemi non scompariranno ma, se li condivideremo con Lui, li vedremo in un modo diverso, come un’occasione per servirlo e per servire gli altri. Se apriamo a Dio la porta della nostra condotta, della nostra anima, vi entreranno anche le persone che stanno attorno a noi. L’amore per Gesù, il dialogo con Lui nell’orazione e nell’Eucaristia, ci inducono a servire volentieri gli altri e a essere felici con tutti.

— Quale motto o frase le piace?

Il mio motto episcopale è ‘Deo omnis gloria’, a Dio tutta la gloria. Tutto ciò che succede nella nostra vita — le cose buone e quelle che non lo sembrano tanto — acquista senso se lo utilizziamo per amare di più Dio. Vivere per dar gloria a Dio è il segreto di una esistenza felice.

— Se lei non fosse stato sacerdote e Vescovo, che altro sarebbe stato?

Non lo so; probabilmente un padre di famiglia e un agente di cambio. L’importante è che Dio sia entrato nella mia vita, conducendomi per vie impreviste che mi hanno colmato di gioia, non prive di difficoltà, com’è naturale per qualunque persona. La mia esperienza è che la fiducia in Dio, vivere alla sua presenza, apre orizzonti molto più ampi di quelli immaginabili.

— Lei ha in programma una visita nel nostro Paese?

Sono stato in Corea nel 1987 con Mons. Álvaro del Portillo, primo successore di San Josemaría. Conservo un caro ricordo di quella visita e spero di ritornare, ora che alcuni fedeli dell’Opus Dei vivono e lavorano nel Paese. In Corea si comprende molto bene lo spirito promosso dall’Opus Dei, di ricerca della santità nella vita ordinaria: nel lavoro, nella famiglia, nei rapporti sociali...

Romana, n. 57, Luglio-Dicembre 2013, p. 274-279.

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