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Le università di ispirazione cristiana: identità, cultura, comunicazione

Juan Manuel Mora

Vice-rettore di Comunicazione istituzionale

dell’Università di Navarra

“L’università non volta le spalle a nessuna incertezza, a nessun problema, a nessuna necessità degli uomini. Non è compito suo dare soluzioni immediate; però, studiando con profondità scientifica i problemi, scuote anche i cuori, sprona la passività, risveglia certe forze che si erano assopite e forma cittadini disposti a costruire una società più giusta. Col suo lavoro universale contribuisce così a eliminare le barriere che rendono difficile la reciproca comprensione fra gli uomini, ad allontanare la paura di un futuro incerto, a promuovere — con l’amore per la verità, per la giustizia e per la libertà — la pace autentica e la concordia delle anime e delle nazioni” (SAN JOSEMARÍA, Discorso all’Università di Navarra, 7-X-1972).

1. Introduzione

L’argomento di questo lavoro rimanda a una serie di questioni che spesso si pongono coloro che lavorano nelle università di ispirazione cristiana: In che cosa consiste l’identità cristiana? Quali sono le sue principali manifestazioni? In che modo influenza l’attività di chi in esse lavora? Come riuscire a comunicarla?[1].

Queste e altre domande simili ammettono risposte diverse, su piani differenti: storico, giuridico, teologico, organizzativo. Nelle pagine che seguono adotteremo il punto di vista della comunicazione istituzionale, concepita come quel processo grazie al quale l’identità di una istituzione si esprime in modo esplicito, si manifesta nella cultura comune, si espone in un discorso pubblico e si proietta verso l’esterno, per riflettersi, infine, nell’immagine percepita[2].

L’ottica della comunicazione consente di mettere a fuoco il tema dell’identità in modo operativo e di analizzare come si presenta una università di ispirazione cristiana alle persone che hanno una relazione con essa, dal personale che la gestisce fino ai mezzi di comunicazione, passando per gli studenti e i laureati.

Qui non possiamo fermarci a ricordare le origini storiche delle università, ma non è bene neppure andare avanti senza ricordare che le prime, nate nel XIII secolo nella vecchia Europa, derivano dagli studi teologici che avevano messo radici nell’ambito delle abbazie e dei grandi ordini religiosi[3]. Col passare del tempo, l’istituzione si è universalizzata e sono stati creati altri centri accademici. Gli insegnamenti, che all’inizio erano incentrati negli studi di Teologia, Arti, Medicina e Giurisprudenza, si andarono estendendo man mano che le nuove scienze si consolidavano.

L’indirizzo di una università è segnato dalla sua origine e anche dalla forma giuridica che adotta. Ai fini di questo lavoro, in stretta sintesi, ci interessa distinguere tre tipi di università[4]:

a) le università ecclesiastiche, erette o approvate dalla gerarchia della Chiesa, nelle quali si frequentano corsi di materie ecclesiastiche, come la Teologia e il Diritto Canonico, e che includono la formazione dei sacerdoti e dei candidati al sacerdozio come parte fondamentale della loro missione[5];

b) le università cattoliche, anch’esse erette o approvate dalla gerarchia della Chiesa, nelle quali si studiano anche altre scienze non ecclesiastiche. Queste università sono promosse da istituzioni cattoliche o da fedeli laici, che richiedono la approvazione dell’autorità ecclesiastica competente. Con la dovuta autorizzazione, la condizione di università cattolica rimane fissata nel nome, negli statuti o mediante un impegno giuridico formale[6];

c) le università i cui principi sono ugualmente cattolici, ma che sono costituite senza “gli elementi formali propri del concetto canonico di università cattolica”[7]. Vale a dire, che non dipendono dalla gerarchia ecclesiastica, e che non hanno in sé la condizione ufficiale né la denominazione di “cattoliche”. A queste università applicheremo l’espressione di università di ispirazione cristiana[8].

Le riflessioni contenute nelle pagine che seguono si riferiscono soprattutto a questo terzo tipo di università[9]. San Josemaría definiva questo tipo di iniziative come quelle attività “di promozione umana, culturale, sociale, realizzate da cittadini che si impegnano a illuminarle con le luci del Vangelo e a riscaldarle con l’amore di Cristo”[10]. Sulla stessa linea, Álvaro del Portillo le designava come università che si propongono “istituzionalmente di dare un contributo cristiano allo sviluppo della cultura”[11].

2. L’identità

A - Le peculiarità che definiscono una università

Le università di ispirazione cristiana sono, anzitutto, università a pieno titolo. La loro Carta dei principi educativi non modifica, ma precisa la loro natura: una università di ispirazione cristiana cerca di essere una buona università. Di conseguenza, sembra opportuno ricordare sommariamente gli elementi essenziali che caratterizzano le università in generale, a parte le logiche differenze che si possono notare tra Paesi e culture diversi.

Possono servirci da riferimento i Principi fondamentali della “Carta Magna delle Università d’Europa”, sottoscritta il 18 settembre 1988, in occasione del IX Centenario della fondazione dell’Università di Bologna. Con i limiti di ogni sintesi, questo testo costituisce un buon riassunto di come l’università interpreta sé stessa[12].

Sulla base di questa carta potremmo indicare cinque peculiarità che caratterizzano l’università:

a) Ricerca e trasmissione della verità: l’università è il risultato del lavoro congiunto dei professori che fanno ricerca, insegnano e condividono le proprie scoperte con gli studenti che imparano e acquisiscono conoscenze, atteggiamenti e abiti indispensabili per la professione e per la vita. L’università è il luogo propizio per lo studio rigoroso, per l’indagine sui fenomeni e sulle loro cause, per porsi interrogativi in tutti i campi: la scienza, l’arte, le lettere. L’università riconosce la metodologia che caratterizza ogni scienza, ma nello stesso tempo invita al dialogo le differenti aree del sapere. Il principale legato intellettuale che l’università lascia ai suoi membri è l’abito di cercare la verità, senza accontentarsi di risposte superficiali.

b) Universalità: come indica il suo stesso nome, l’università richiede una mentalità universale, un’apertura ad altre persone, ad altre idee e ad altre culture. Il carattere internazionale dell’università arricchisce i punti di vista e le relazioni fra professori e studenti di tradizioni e Paesi diversi. Lo spirito universitario non stabilisce frontiere e non innalza barriere, ma tende ad avere una visione d’insieme. Dal punto di vista tematico, l’universalità comporta un’apertura alla interdisciplinarità e alla umiltà riguardo ai limiti della propria disciplina.

c) Libertà: per natura propria, l’università richiede l’indipendenza dai poteri politici ed economici, l’autonomia da ogni influenza o interesse, in modo tale che la ricerca e l’insegnamento si svolgano secondo quei criteri che sono propri dell’attività educativa e scientifica. Anche la libertà all’interno dell’istituzione è un requisito del lavoro universitario.

d) Convivenza: nello stesso tempo in cui si ampliano gli orizzonti intellettuali e culturali, nell’università s’impara a convivere con persone che pensano in modo differente. L’università è un progetto che si realizza pienamente solo quando in essa c’è un clima di collaborazione e di rispetto reciproco. Essere universitario richiede un certo modo di intendere la vita, comporta la capacità di comprendere e di convivere.

e) Servizio: l’università cerca di riconoscere le necessità della società nella quale vive e di formulare risposte adeguate. Oltre ai contributi dovuti all’educazione dei giovani e al progresso delle scienze, le università svolgono un lavoro di trasmissione della conoscenza che costituisce un servizio alla società, vario e costante.

In queste peculiarità si avverte l’impronta dovuta all’origine cristiana dell’istituzione universitaria[13], che oggi fa parte del patrimonio di tutte le università.

B - Gli elementi che caratterizzano una università di ispirazione cristiana

Ora ci interessa indagare anche intorno alle peculiarità istituzionali che costituiscono l’identità cristiana delle università, quelle che indicano il loro modo di essere, immediatamente, sul piano pratico e operativo[14]. Come punto di partenza ci soffermeremo su un aspetto che riguarda l’essenza dell’attività universitaria: l’armonia tra fede e ragione, che si manifesta in ciò che potremmo chiamare “fedeltà creativa” al messaggio cristiano. Concluderemo con alcune riflessioni sulla relazione tra identità personale e identità istituzionale.

a) L’armonia tra fede e ragione

Benedetto XVI ha affermato che “non è un caso che sia stata la Chiesa a promuovere l’istituzione universitaria, perché la fede cristiana ci parla di Cristo come il Logos dal quale tutto fu fatto, e dell’essere umano creato a immagine e somiglianza di Dio. Questa buona notizia palesa una razionalità in tutto il creato e contempla l’uomo come una creatura che partecipa e può arrivare a riconoscere tale razionalità”[15].

Come spiega diffusamente il Beato Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio, la fede espande la ragione, le dà le ali, le permette di conoscere l’uomo e il mondo con maggiore ampiezza e profondità, e di liberarsi dei limiti di ciò che è semplicemente empirico e sperimentabile.

Nel riflettere su questi temi, possiamo interrogarci su una questione radicale: si può essere scienziato e cristiano contemporaneamente? È possibile rispettare nello stesso tempo la logica della fede e la logica della scienza? La fede non è un freno alla ricerca, in quanto impedisce di percorrere la via della verità?

Nella sua opera Fede, verità, tolleranza[16], Ratzinger afferma che la fede non si identifica con un soggetto culturale concreto — con una etnia, un Paese, una lingua —, ma che esiste in soggetti culturali diversi: “Come cristiano — scrive —, ognuno continua a essere francese o tedesco, americano o indiano”. Data questa circostanza, ogni cristiano “vive in due soggetti culturali: in un soggetto storico e nel nuovo soggetto della fede, che s’incontrano e si fondono in lui”.

Il soggetto storico dominante in alcune epoche è stata l’etnia, in altre la nazione; oggi, sempre più, uno dei soggetti prevalenti è quello professionale: un medico europeo coincide in molti punti con un medico americano; e lo stesso si può dire di un professore o di uno scrittore.

In ogni caso, ritornando al ragionamento di Ratzinger, per un cristiano la coesistenza dei due soggetti — francese e cattolico; medico e cattolico — “non arriverà mai a essere una sintesi definitivamente conclusa, ma comporta la necessità di un continuo lavoro di riconciliazione e di purificazione”. Si può dire addirittura che, se si evita la tentazione della frattura, “la tensione è fruttifera, rinnova la fede e sana la cultura”.

Alla fine del ragionamento troviamo questa parola: tensione. Non può meravigliare che il tentativo di essere pienamente universitario e pienamente cristiano sia una questione difficile, che può risolversi soltanto nell’ambito della propria coscienza, mediante una crescita di queste due dimensioni: la maturazione cristiana e la maturazione professionale. Entrambe debbono svilupparsi armonicamente perché la tensione sia feconda, rinnovi la fede e sani la scienza, la cultura e l’attività universitaria.

Creare le condizioni per questo dialogo fecondo tra fede e ragione, fra la teologia e le altre scienze, fa parte della missione di qualunque università, ed è un obiettivo irrinunciabile dell’università di ispirazione cristiana. Questo significa che la teologia dev’essere insegnata allo stesso livello scientifico delle altre discipline[17] e deve aprirsi ai problemi da esse proposti; occorre anche che le altre scienze si aprano alle questioni epistemologiche, antropologiche ed etiche che riguardano profondamente la persona umana. Questo dialogo, non esente da tensioni, amplia l’orizzonte della scienza e la libera da certe forme di riduzionismo.

b) La fedeltà al messaggio cattolico

Questa peculiarità delle università di ispirazione cattolica è forse la più ovvia, almeno in teoria, anche se l’esperienza dimostra che in pratica l’ovvietà non è tanto chiara. In concreto, la fedeltà si dimostra anzitutto quando i docenti e i ricercatori rispettano gli insegnamenti proposti dal Magistero.

Oltre ai motivi di coerenza intrinseca all’attività accademica, esistono motivi di lealtà verso le persone che scelgono una università di ispirazione cristiana, che si aspettano un determinato tipo di educazione: le loro aspettative non dovrebbero essere defraudate.

La Chiesa cattolica concepisce la fedeltà come una qualità compatibile con la libertà. Rivolgendosi ai professori universitari, Benedetto XVI ha voluto “ribadire il grande valore della libertà accademica. In virtù di questa libertà, voi siete chiamati a cercare la verità là dove l’analisi rigorosa dell’evidenza vi porti”[18]. È vero, occorre partire da un alto concetto della libertà come requisito e causa del progresso della conoscenza, e non come una semplice assenza di limiti.

Poi Benedetto XVI continua: “È necessario dire anche che ogni invocazione del principio della libertà accademica per giustificare posizioni che contraddicano la fede e l’insegnamento della Chiesa ostacolerebbe o addirittura tradirebbe l’identità e la missione dell’università, una missione che sta nel cuore del munus docendi della Chiesa e in nessun modo è autonoma o indipendente dalla medesima”[19].

La fedeltà richiede, dunque, responsabilità. Nello stesso tempo, fedeltà significa approfondimento, perché non è possibile essere in sintonia con quello che si conosce solo superficialmente. L’identità cristiana ha come fonte il messaggio di Cristo così come lo propone la Chiesa cattolica. Alcuni elementi di questo messaggio hanno una particolare rilevanza nell’ambito universitario: per esempio, il riconoscimento della dignità e della centralità della persona, creata a immagine di Dio. Sono verità che hanno il carattere di semente, che conviene coltivare. Questa è una delle dimensioni attive e positive della fedeltà, che vale la pena stimolare.

Per un professore universitario l’identità cristiana è il motore di una continua esplorazione, che gli permette di andare incontro alle domande che la sua scienza e la sua didattica gli pongono. La fedeltà “universitaria” al Magistero è una fedeltà da “ricercatore”, vale a dire attiva, dinamica, creativa. Il bagaglio scientifico e il bagaglio intellettuale cristiano sono chiamati a crescere parallelamente.

Come ha ricordato recentemente il Papa, “il compito fondamentale di una educazione autentica a tutti i livelli non consiste semplicemente nel trasmettere conoscenze, anche se questo è essenziale, ma anche nel formare i cuori”. Per una università di identità cristiana “c’è la continua necessità di conciliare il rigore intellettuale nel comunicare in modo efficace, attraente e integrale la ricchezza della fede della Chiesa con la formazione dei giovani nell’amore a Dio, nella pratica della morale cristiana e nella vita sacramentale, oltre che nel coltivare la preghiera personale e quella liturgica”[20]. In questo senso, è evidente che insieme con il lavoro educativo dei professori — nel suo senso più ampio, anche dal punto di vista dell’esempio personale —, ricopre un ruolo insostituibile l’attività svolta dalla cappellania dell’università.

Su questo punto è bene domandarsi: che succede con le persone che lavorano o studiano in una università di ispirazione cristiana, ma non sono cattoliche? E con quelle che non professano alcuna credenza religiosa? Il Beato Giovanni Paolo II faceva notare che “questi uomini e queste donne, con la loro formazione ed esperienza, contribuiscono al progresso delle diverse discipline accademiche o allo svolgimento di altri compiti universitari”[21]. Poi aggiungeva che essi “hanno l’obbligo di riconoscere e di rispettare il carattere cattolico dell’università”[22].

In altri termini: l’università è un progetto educativo aperto, comprensivo, con basi antropologiche e culturali che persone di differenti religioni possono condividere, dando con il loro lavoro un contributo prezioso al progetto collettivo. Queste persone debbono mostrare rispetto e impegno verso l’attività di formazione che si compie nel centro. Nello stesso tempo l’università si impegna a rispettare la libertà religiosa di tutti i suoi membri: anche quelli che professano altre credenze debbono fruire di questo spirito di libertà.

La capacità e la volontà di partecipare al progetto educativo cristiano sono requisiti idonei per lavorare in questo tipo di università. È bene tenerne conto prima dell’assunzione e durante l’intero rapporto di lavoro. Alcune circostanze, invece, sconsigliano l’inserimento o la continuità di persone che, nella teoria o nella pratica, non sono in sintonia col progetto. In senso positivo, è molto importante cercare attivamente personale che si trovi nelle condizioni di portarlo avanti.

c) L’identità cristiana personale e istituzionale

Dal punto di vista soggettivo, l’identità personale si riferisce all’autocoscienza, alla conoscenza e al possesso di sé stesso. L’aggettivo “cristiana” specifica qualcosa di più: significa “una cosciente e volontaria adesione personale a Cristo e alla sua Chiesa”[23]. A partire da questo nucleo concettuale, “essere e sapersi cristiano [...] è non solo un’appartenenza passiva a una confessione religiosa, ma una volontaria e attiva partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa”[24].

L’identità di una istituzione dipende anzitutto dalle persone che ne fanno parte. Le università di ispirazione cristiana non sono strutture, ma istituzioni vivificate da cattolici che compiono il loro lavoro in modo coerente con la loro fede. In questo senso, Benedetto XVI ricorda che l’identità cristiana di un centro educativo “è una questione di convinzione: crediamo realmente che soltanto nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo? (cfr. Gaudium et spes, 22). Siamo realmente disposti ad affidare tutto il nostro io, l’intelligenza e la volontà, la mente e il cuore, a Dio? Accettiamo le verità che Cristo rivela? Nelle nostre università e nelle nostre scuole è ‘tangibile’ la fede? Viene espressa con fervore nella Liturgia, nei Sacramenti, per mezzo della preghiera, degli atti di carità, della sollecitudine per la giustizia e del rispetto per la Creazione? Soltanto in questo modo daremo realmente una testimonianza sul significato di quello che siamo e di ciò che sosteniamo”[25].

Su queste solide basi, gli studenti e i professori cattolici lavorano in ogni tipo di università[26], anche in quelle di ispirazione cristiana dove la loro partecipazione è determinante. Potremmo dire che questa è la prima condizione per la conformazione dell’identità cristiana di una università: la presenza di cattolici — professori, altro personale, studenti — impegnati a realizzare questi ideali. È un fattore sociologico che costituisce un requisito indispensabile: senza un numero sufficiente di cattolici che la vivifichino, l’università di ispirazione cristiana è una chimera.

Ma questo non basta. Per essere durevole, l’identità cristiana deve esprimere la cultura condivisa, i suoi principi, i suoi valori, le sue pratiche professionali, un proprio stile[27]. La proiezione dell’identità nella cultura conferisce all’organizzazione unità, direzione e significato, facendola diventare perenne, malgrado i cambiamenti delle persone che naturalmente si succedono. Insomma, rendono unica l’istituzione e diversa dalle altre.

3. La cultura

Nella cultura di una istituzione l’identità cristiana si esprime in molte maniere. Nel caso di una università, questi caratteri specifici si mettono in evidenza nelle attività che le sono proprie: la ricerca, la docenza, le altre attività complementari, le relazioni.

A - La ricerca

Come si è detto, la ricerca è un’attività fondamentale nelle università di ispirazione cristiana. Potremmo aggiungere che in queste università la ricerca si caratterizza per i temi e per le disposizioni dei ricercatori[28].

Per i temi, perché — senza escludere nessun argomento scientifico, per tecnico o neutro che sembri — in queste università trovano spazio le grandi questioni su Dio, il mondo e l’uomo, che spesso restano fuori dell’indagine scientifica. Di conseguenza, in queste università i criteri di selezione dei temi di ricerca non dipendono soltanto da circostanze esterne, come la provenienza delle fonti di finanziamento o i programmi ufficiali; né da mode scientifiche passeggere, ma tengono conto anche di altri fattori. Il Beato Giovanni Paolo II lo riassume in questo modo: “Le sue attività di ricerca, quindi, includeranno lo studio dei gravi problemi contemporanei, quali la dignità della vita umana, la promozione della giustizia per tutti, la qualità della vita personale e familiare, la protezione della natura, la ricerca della pace e della stabilità politica, la condivisione più equa delle risorse del mondo e un nuovo ordinamento economico e politico, che serva meglio la comunità umana a livello nazionale e internazionale. La ricerca universitaria sarà indirizzata a studiare in profondità le radici e le cause dei gravi problemi del nostro tempo, riservando una speciale attenzione alle loro dimensioni etiche e religiose”[29].

Nelle università di ispirazione cristiana la ricerca è caratterizzata anche dalle disposizioni personali. Fra esse vale la pena mettere in evidenza la capacità di dialogo tra scienziati di aree differenti. Non c’è dubbio che la ricerca dell’unità del sapere è una caratteristica comune a tutte le università, anche se questa qualità si va perdendo a causa della frammentazione delle scienze, la progressiva e crescente specializzazione e le divergenze metodologiche.

Se l’apertura interdisciplinare è una caratteristica di ogni universitario maturo, per un cattolico essa riveste un’importanza particolare[30]. In verità, la interdisciplinarità è la condizione che rende possibile il dialogo tra la fede e la ragione, tra la teologia, la filosofia e le altre scienze; essa invita a considerare i grandi temi dell’antropologia, facilita la collaborazione degli scienziati di diversa estrazione allo scopo di risolvere alcuni problemi complessi, infine, dà quella visione d’insieme che è la premessa di una buona educazione. L’apertura interdisciplinare si manifesta in alcune qualità come l’umiltà, l’apprezzamento della ricerca degli altri, il rispetto per le differenti metodologie, la capacità di lavorare in gruppo, lo spirito di collaborazione[31].

B - La docenza

Le università collocano gli studenti al centro della loro attività, perché sono essi che danno un senso all’attività universitaria. I professori desiderano lasciare negli studenti un legato educativo durevole. John Henry Newman descrive così questo ideale: “Si forma così una mentalità che dura tutta la vita e le cui caratteristiche sono la libertà, l’equità, la serenità, la moderazione e la sapienza”[32].

Rivolgendosi a un gruppo di giovani professori universitari, Benedetto XVI ha sottolineato che l’attività didattica non consiste tanto in una “semplice comunicazione di contenuti, quanto nella formazione di giovani che voi dovete comprendere e amare, e nei quali dovete suscitare quella sete di verità che essi già posseggono nel loro intimo e un desiderio di superamento”[33].

Questo lavoro educativo in profondità si svolge principalmente attraverso l’attività didattica, che, a partire dalla trasmissione di conoscenze, rappresenta un invito a riflettere, ad acquisire abiti intellettuali ed etici[34]. L’abito di cercare la verità sarà il fondamento della futura vita professionale degli studenti di oggi. Nelle università di ispirazione cristiana, la formazione accademica deve caratterizzarsi per la qualità: nelle lezioni, nello studio personale, nel lavoro di gruppo, nei primi passi della ricerca, nelle attività extra-curricolari[35].

Abbiamo ricordato che l’Università è il luogo degli interrogativi. L’essere umano non può evitare di porsi le questioni ultime e più radicali: chi sono?, dove risiede la mia dignità di persona?, perché esiste il male?, che cosa mi rende felice? Dalla risposta a questi interrogativi dipende l’orientamento dell’intera esistenza. Ecco perché è importante dare agli studenti una solida formazione filosofica e teologica, che sia di fondamento alle conoscenze specialistiche che ognuno acquista nella sua area di conoscenza[36].

La relazione personale tra professori e studenti è un ambito adatto a suscitare la maturazione dei giovani. In questo senso la consulenza accademica riveste un’importanza notevole. Il sistema di tutoring, nelle sue diverse forme, completa il lavoro che si compie attraverso le lezioni e i seminari, e adatta i contenuti generali alle necessità del singolo studente. Nell’ambito delle relazioni personali acquista un rilievo particolare l’esempio dei professori. Gli studenti hanno una grande capacità di osservazione, si aspettano una certa coerenza tra ciò che si insegna e ciò che si vive, e sono più ricettivi alla testimonianza che al discorso teorico.

Infine, vale la pena menzionare un aspetto di ciò che San Josemaría chiamava la “formazione integrale delle personalità giovani”[37]: lo stimolo della preoccupazione per gli altri. A tal proposito si potrebbe dire che la partecipazione alle attività di sostegno sociale merita un riconoscimento nel curriculum di una università di ispirazione cristiana, in quanto genera tra gli studenti abiti destinati a durare. Per molti motivi si può ritenere che l’orientamento al servizio di coloro che più hanno bisogno è una parte essenziale dei contenuti della formazione universitaria cristiana.

C - Le altre attività complementari

Le manifestazioni dell’identità cristiana nell’attività universitaria sono, per definizione, innumerevoli: nell’ambiente di lavoro, nel modo di trattare le persone, nella responsabilità e nella sobrietà nell’uso delle risorse, ecc. Si dovrebbe aggiungere che anche le attività complementari — eventi culturali e artistici, tempo libero e sport, divertimento e passatempo — devono portare il sigillo dello stile cristiano, allegro e solidale.

Se poi si dovesse mettere in evidenza un solo aspetto fra i tanti, si dovrebbe scegliere la pratica della giustizia e della carità. A parte il fatto che queste virtù occupano una posizione di rilievo nella gerarchia dei valori cristiani, non va dimenticato che esse sono determinanti per definire le relazioni professionali, umane e sociali che si creano in una istituzione come l’università. La carità e la giustizia danno credibilità e profondità al progetto educativo nel suo insieme.

Ogni membro della istituzione universitaria svolge una parte attiva nel lavoro di formazione della cultura comune: i professori più esperti e i novellini, il personale dell’amministrazione e quello dei servizi, gli incaricati della manutenzione e della pulizia. Questo è uno dei motivi che spiegano l’importanza della coesione della comunità professionale universitaria intorno alla missione[38]. Questa unità d’intenti è compatibile con la ricchezza e la varietà delle personalità e delle circostanze presenti in una università[39].

D - Le relazioni

Le università non si chiudono in sé stesse né si isolano, ma interagiscono in molti modi nell’ambiente in cui operano e sono pienamente inserite nella società. Coltivano i contatti con le autorità pubbliche, con altre istituzioni educative e culturali, con le imprese, con i mezzi di comunicazione. In questa fitta rete di relazioni, si comportano in armonia con la loro missione e i loro valori. I principi che custodiscono e propongono sono gli stessi dentro e fuori l’istituzione. L’esperienza conferma che alcuni atteggiamenti, come l’ospitalità o l’amicizia, spesso sono il primo passo nella comprensione dell’identità cristiana.

Ora può essere opportuno ricordare una caratteristica indicata da San Josemaría a proposito degli inizi dell’Università di Navarra: lo spirito di collaborazione con altre università. Il Fondatore dell’Opus Dei espresse queste idee in modi diversi: l’Università di Navarra è e si sente una fra le tante università spagnole, vuole contribuire col suo granello di sabbia al miglioramento del sistema universitario, al servizio dei cittadini e della società[40]. Questo atteggiamento allontana la tentazione dell’autocompiacimento, esige rispetto verso i colleghi, stimola la collaborazione e favorisce le relazioni.

Arrivati a questo punto, ritorniamo per un momento alle domande iniziali: quale contributo dà l’identità cristiana a una università? Per preparare una risposta possiamo ricordare un brano del discorso preparato da Benedetto XVI per l’Università La Sapienza di Roma: “Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà [...]. È suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità”[41].

Stimolare la sensibilità per la verità. Ma questa non è, in realtà, la vocazione più profonda di qualunque universitario, il mandato essenziale di qualunque università? L’ispirazione cristiana stimola gli universitari a esercitare pienamente la loro professione: cercare e trasmettere la verità, con una visione universale, con amore alla libertà e con rispetto, mettendo la persona al centro del proprio lavoro e conferendo un senso trascendente alle attività che compie.

4. La comunicazione

L’identità cristiana di una università è delineata dall’insieme delle peculiarità che determinano il modo di essere, la cultura dell’istituzione. Di solito tali peculiarità sono conosciute in modo implicito. La comunicazione consiste proprio nel rendere esplicito l’implicito attraverso i fatti e le parole. L’identità cristiana, infatti, ha carattere pubblico. Quelli che lavorano in queste università devono conoscere e rispettare la loro identità nella misura in cui partecipano al progetto educativo. Quelli che desiderano studiare in esse hanno il diritto di essere informati prima di iscriversi. Per ciò che riguarda la società in generale, la trasparenza è sempre più un requisito di funzionamento delle istituzioni. In tutte queste dimensioni, interne ed esterne, il lavoro di comunicazione dev’essere impostato in modo organico, coerente, ben studiato. Non può essere lasciato alla improvvisazione. Esamineremo ora alcune questioni pratiche relative alla comunicazione della identità cristiana, dentro e fuori le università.

A - La Carta dei principi educativi

La prima espressione dell’identità di un centro universitario di ispirazione cristiana la troviamo nei testi di carattere giuridico, negli statuti sui quali si regge, oltre che nei contratti, negli accordi o patti che, in questo caso, stabiliscono la modalità del suo vincolo alla Chiesa. Inoltre, l’identità è espressa in un altro testo — la Carta dei principi educativi — che riassume il mandato affidato all’istituzione e i valori che essa è chiamata a perseguire. È un documento breve, chiaro, facilmente comprensibile, che ha una finalità informativa.

Di solito le Carte dei principi educativi comprendono tre tipi di contenuti: quelli generici (gli aspetti comuni a tutte le università), quelli specifici (le caratteristiche comuni a tutte le università di ispirazione cristiana) e quelli particolari (le peculiarità di quel centro).

Data la sua finalità informativa, la Carta dev’essere conosciuta da tutti i membri della comunità universitaria. Per quelli che lavorano nell’università assume la forma di patto o di impegno tra le parti dal punto di vista lavorativo e disciplinare; ma soprattutto la Carta contribuisce a definire il progetto collettivo. Per gli studenti e per le loro famiglie è un documento informativo essenziale, anche prima di richiedere l’ammissione: la sua conoscenza permette di prendere decisioni informate e consapevoli; ignorarlo, potrebbe provocare malintesi se lo studente, una volta arrivato all’università, dovesse trovare qualche aspetto diverso da quello che si aspettava.

In sostanza, la Carta è un documento fondamentale dal punto di vista della comunicazione interna ed esterna, la prima parola del discorso pubblico, della narrativa istituzionale.

B - Il dialogo

Certe volte il termine “identità” ha connotazioni negative, associate ai cosiddetti “fenomeni di identità”: persone e istituzioni che hanno una coscienza esclusoria della propria identità provocano controversie quando entrano in relazione con interlocutori dalle caratteristiche diverse, dando origine a discordie sociali. Anche se questi fenomeni possono avvenire, bisogna dire che l’identità cristiana tende al dialogo per sua natura. Karol Wojtyla lo ha detto in questi termini: “Essere cristiano significa essere convinto della verità della rivelazione ed essere capace di dialogare”[42]. L’alto concetto che merita la ragione nell’antropologia cristiana, la convinzione che la mente umana può raggiungere la verità, la fermezza con la quale i cristiani difendono la libertà propria e quella altrui, comportano una disposizione orientata al dialogo.

Tale questione richiama alla mente alcuni dilemmi pratici che si presentano nelle università di stampo cattolico. I dilemmi si potrebbero riassumere così: fino a che punto conviene aprire le porte di una università cristiana a persone che con il loro comportamento discordano dalla dottrina e dalla morale cattolica sul piano teorico o nella pratica? Se una università applica un criterio troppo tollerante, com’è possibile evitare gli effetti negativi, specialmente sulla formazione degli studenti? Se si applica un criterio troppo intransigente, com’è possibile evitare l’isolamento e com’è possibile influire positivamente negli ambienti scientifici se non esiste una relazione o uno scambio di pareri? Non ci stiamo riferendo ora all’assunzione di persone che si trovano in queste situazioni — una questione che abbiamo già trattato —, ma all’invito a partecipare a un’attività, a una conferenza o a un dibattito.

Questi dilemmi confermano l’esistenza di una inevitabile tensione e la necessità di un costante esercizio della prudenza. Forse può essere utile formulare alcune considerazioni generali:

a) In primo luogo, le istituzioni che hanno una Carta con principi cristiani sono esposte a due rischi simultanei: da un lato, l’omologazione, la perdita dell’identità cristiana a causa di un concetto sbagliato del dialogo, come se per dialogare fosse necessario rinunciare alle proprie convinzioni; dall’altro, la scarsa importanza, dovuta a una eccessiva tendenza all’isolamento o a una incapacità di rendersi conto delle ragioni degli altri. La prudenza sta nell’evitare entrambi i pericoli.

b) D’altra parte, nei dibattiti pubblici tra persone colte, la persuasione non si ottiene mediante la semplice esposizione delle proprie convinzioni, né soltanto mediante un approccio apologetico. È necessario sottoporsi alla prova del dialogo, sviluppare la capacità argomentativa e accettare il carattere aperto e progressivo della formazione delle opinioni[43]. Così come è logico aspettarsi dagli scienziati non credenti che si mantengano nei limiti della loro specialità, senza applicare a questioni filosofiche o teologiche la metodologia propria delle scienze sperimentali, quando un credente vuole discutere intorno a questioni scientifiche deve rispettare la metodologia del corrispondente campo del sapere. Per esempio, se si intavola un dibattito intorno alla costituzionalità della legge sull’aborto, è necessario conoscere le basi del diritto costituzionale; lo stesso principio vale se la discussione verte sugli aspetti medici, politici, ecc[44]..

c) Infine, conviene non dimenticare che il dialogo richiede anzitutto una relazione tra le persone. La diffusione dello spirito cristiano non è un’attività ideologica, e neppure una discussione intellettuale; ancor meno è un dibattito politico. La proiezione esterna dell’identità cristiana spesso avviene attraverso le relazioni personali. Come si è detto a proposito del dialogo interdisciplinare, le scienze tendono alla separazione, le persone tendono all’unità.

Questi principi possono essere utili per prendere decisioni azzeccate, prudenti, quando si sollevano dilemmi come quelli che abbiamo menzionato.

C - I destinatari

L’identità cristiana di una università si comunica per cerchi concentrici. Prima di tutto deve essere conosciuta dalle persone che lavorano nell’istituzione. In certo qual modo una istituzione è l’insieme delle persone che ne fanno parte; sono esse che imprimono uno stile, che trasformano l’identità in cultura vissuta, quali portavoce e ambasciatori dell’istituzione. S’intende che la comunicazione interna dev’essere sempre la prima fase nel processo della comunicazione istituzionale.

Accanto ai professori e al personale che lavora nell’università esiste un altro “pubblico interno”[45], ossia, gli studenti, i laureati e i benefattori, le persone che sentono la responsabilità di aiutare economicamente il centro accademico. Essi mantengono una relazione permanente con l’alma mater e hanno il diritto di essere informati periodicamente. Qui si dovrebbero includere anche le famiglie dei gruppi menzionati, che per la loro condizione meritano un tipo di comunicazione particolare.

Destinatari dell’informazione sono anche i collaboratori dell’università. È il caso, per esempio, dei fornitori, specialmente quelli che prestano servizi che comportano un rapporto diretto con altri membri della comunità accademica. Tra essi si possono collocare anche le ditte con le quali esistono accordi, le istituzioni nelle quali si compiono le pratiche professionali o quelle che prestano aiuti a vario titolo. Per coerenza, appare importante che conoscano anche le caratteristiche dell’università con la quale collaborano, perché, in senso ampio, fanno parte del processo educativo. A titolo di esempio si possono menzionare i dipendenti delle ditte che hanno il subappalto della pulizia, della sicurezza o di qualunque altro tipo di servizio: sono esperti che possono avere frequenti relazioni e un’influenza non piccola sugli studenti.

Tra il “pubblico esterno” si annoverano le altre università, le altre istituzioni educative e culturali della zona, le autorità pubbliche e le forze dell’ordine, i mezzi di comunicazione, i creatori di opinione e la società in genere. Una menzione speciale meritano i potenziali studenti e, in particolare, le famiglie che svolgono un ruolo determinante nella scelta del centro educativo e sono interessate a ricevere le informazioni relative.

Tutti questi destinatari della comunicazione sono chiamati anche stakeholders o gruppi di interesse: persone alle quali in un modo o nell’altro sono destinate le decisioni o le attività di una istituzione; o, viceversa, le cui decisioni e azioni hanno ripercussioni sull’istituzione. Ogni università ha i propri stakeholders. Per comunicare con loro nel modo migliore conviene identificarli chiaramente, in modo differenziato, conoscerne le necessità e le richieste, così da rispondere nel modo più opportuno. Queste norme si possono applicare anche alla comunicazione dell’identità cristiana.

D - I principi

Le azioni di comunicazione sono efficaci nella misura in cui hanno una finalità, un senso e una coerenza. Invece cadono nel nulla se nascono in modo disorganico, per quanto si cerchi di mettere nel loro disegno molta creatività. Per questo motivo, nel delineare un piano di comunicazione, conviene adottare quei principi che aiutano a stabilire che tipo di azioni interessa intraprendere e quali evitare, oltre che le priorità e l’ordine più ragionevole. Questo è particolarmente necessario quando si vuol comunicare l’identità cristiana, un compito di una certa complessità e che prevede non poche sfaccettature.

A questo punto enumereremo sei principi di comunicazione, che derivano, da una parte, dalla natura del processo di comunicazione istituzionale e, dall’altra, dalla dinamica della trasmissione del messaggio cristiano:

a) Trasparenza: la prima forma di trasparenza consiste nel dare ragione della propria identità, tenendo conto del tipo di destinatario. Questo significa diffondere la propria Carta dei principi educativi ed esporne le implicazioni. Esiste, inoltre, un altro tipo di trasparenza, più sottile, che consiste nel far conoscere i criteri che si seguono nell’informare e nel formare su questi temi, i motivi e gli obiettivi dei piani di comunicazione e dei piani di formazione cristiana, in modo che sia evidente che non vi sono intenzioni nascoste. In sostanza, spiegare che cosa si fa e anche perché lo si fa. La trasparenza crea un clima di libertà e di fiducia.

b) Coerenza: la comunicazione più efficace è quella che avviene attraverso i fatti più che attraverso le parole: le decisioni, lo stile, le consuetudini, l’ambiente dell’istituzione[46]. La coerenza e l’esemplarità del personale hanno molta più efficacia comunicativa delle dichiarazioni di principio. Non bisogna dimenticare che la Carta dei principi educativi esprime con parole una realtà, una cultura, un modo d’essere e di lavorare. La coerenza dà credibilità alla comunicazione.

c) Adeguamento: nell’attività del comunicare appare necessario adattarsi agli interlocutori. I professori, gli studenti, i genitori, ecc., hanno le proprie necessità, che occorre soddisfare adeguatamente, con il contenuto, il linguaggio e il canale più adeguato a ogni caso.

d) Continuità: le relazioni che l’università intrattiene con molte persone hanno un carattere duraturo, si prolungano nel tempo. In tal senso, i piani di comunicazione hanno un certo carattere progressivo. I contenuti si possono trasmettere un po’ per volta, per tutto il tempo che dura la relazione, in modo che siano compresi e assimilati in profondità. A poco varrebbe una informazione diffusa in un momento preciso, per esempio quando uno studente o un esperto s’inserisce nella università, se poi venisse a mancare la continuità. Le informazioni isolate producono effetti effimeri.

e) Partecipazione: la comunicazione dell’identità cristiana non ha uno scopo semplicemente informativo, ma vuol essere un invito a partecipare al progetto educativo. Occorre evitare che tra il personale sorgano divisioni o s’innalzino muri invisibili che separano quelli che si dimostrano attivi rispetto alla Carta dei principi da quelli che si considerano soltanto spettatori. Tutti fanno parte del progetto, ognuno a suo modo. Come in tutte le organizzazioni, la partecipazione è un motore che aiuta a compiere la missione istituzionale.

f) Libertà: l’identità cristiana richiede credenze, convinzioni, disposizioni, e quindi dev’essere capita, comunicata e ricevuta in un contesto di libertà. Quanto più rilevanti sono le implicazioni personali di ciò che si vuol trasmettere, tanto più rispettosa dev’essere la modalità comunicativa.

E - Le azioni

In genere, non è possibile dare un elenco esauriente delle attività di comunicazione adatte a trasmettere l’identità cristiana. Ogni università ha le proprie caratteristiche e ogni gruppo di professionisti comporta necessità specifiche.

Forse è più utile proporre un semplice schema che possa facilitare il compito della trasmissione e dargli un certo carattere di organicità. Si tratta di identificare, da una parte, i gruppi di destinatari ai quali conviene rivolgersi (personale, studenti, laureati, mezzi di comunicazione, ecc.); e dall’altra, i differenti modi di stabilire la comunicazione. In questo senso, occorre distinguere alcune modalità di comunicazione, che comportano contenuti, canali e atteggiamenti diversi:

a) Modo informativo: la forma più basilare di comunicazione dell’identità cristiana consiste nel trasmettere un’informazione obiettiva e chiara su questi temi a tutte le persone interessate: al personale, agli studenti e all’altro pubblico interno, dato che si tratta di un elemento rilevante per il vincolo che ha con l’università; al pubblico esterno, attraverso opuscoli, riunioni informative o pagine web, alla portata delle persone potenzialmente interessate.

b) Modo riflessivo: in base alle caratteristiche dell’istituzione universitaria e alla natura dell’identità cristiana, oltre a informare su questi contenuti, sarà bene creare alcuni spazi di riflessione — seminari, dibattiti, conferenze, letture — dove sia possibile approfondire, scambiare interrogativi, cercare risposte. Il dialogo tra fede e ragione non è qualcosa di teorico, ma si concretizza in una conversazione aperta, dalla quale nascono luci sempre nuove.

c) Modo formativo: un’attività essenziale delle università di ispirazione cattolica è il lavoro pastorale. Il Beato Giovanni Paolo II mette in evidenza la necessità di “promuovere la cura pastorale dei membri della comunità universitaria e, in particolare, lo sviluppo spirituale di coloro che professano la fede cattolica. Deve essere data la preferenza a quei mezzi che facilitano l’integrazione della formazione umana e professionale con i valori religiosi alla luce della dottrina cattolica, affinché l’apprendimento intellettuale sia unito con la dimensione religiosa della vita”[47]. Ogni università stabilisce i mezzi opportuni per portare avanti questo lavoro secondo le sue possibilità, le necessità dell’ambiente e le disposizioni dell’autorità competente: vita liturgica e sacramentale, ritiri spirituali, ecc. In questo campo le cappellanie universitarie svolgono un lavoro encomiabile.

d) Modo divulgativo: con alcune attività consone alla loro natura, come la diffusione della cultura e l’intervento nei dibattiti pubblici, le università di ispirazione cristiana ampliano il loro ambito d’influenza, soprattutto in quei settori di particolare importanza di cui abbiamo accennato parlando della ricerca: vita, famiglia, educazione, giustizia, ecologia, pace. Se è necessario, non può mancare “il coraggio di dire verità scomode, verità che non lusingano l’opinione pubblica, ma che pur sono necessarie per salvaguardare il bene autentico della società”[48]. Con i fatti, più che con le parole, le università possono diventare un faro risplendente di luce[49].

I risultati della comunicazione dell’identità cristiana non sono difficili da notare. All’interno dell’istituzione stimola l’impegno del personale, migliora la coesione intorno al progetto educativo, apporta un supplemento di motivazioni e aiuta a creare un clima di partecipazione e di fiducia. Dal punto di vista esterno, l’identità cristiana proietta un’immagine che attrae i professionisti e gli studenti che cercano questo tipo di ambiente. Questi vantaggi richiedono anche alcuni impegni: tutti si aspettano coerenza da una università riconosciuta come cristiana; le aspettative possono arrivare a quote elevate e trasformarsi in un’asticella molto impegnativa, che richiede un grande impegno. È l’altra faccia della buona reputazione, che non permette di riposare sugli allori.

5. L’identità cristiana e il governo dell’università

La maturazione dell’identità cristiana è un compito che riguarda tutti i membri dell’istituzione. L’ispirazione cristiana è chiamata a impregnare la cultura comune, e questo è possibile soltanto con un grande spirito di collaborazione. Nello stesso tempo gli organi di governo hanno su questo tema una responsabilità speciale. Inizialmente i promotori stabiliscono gli elementi strutturali dell’istituzione: statuti, Carta dei principi educativi, organizzazione. Conclusa la fase fondazionale, le autorità devono vegliare sulla continuità degli ideali originari.

In un senso più profondo, il governo di una istituzione consiste nello svolgimento progressivo del mandato, al quale debbono uniformarsi le decisioni strategiche. L’identità cristiana definisce il compito di queste università e pertanto ne ispira anche le strategie e i progetti. Di conseguenza, le autorità accademiche di queste università devono inserire nel loro lavoro di governo gli aspetti relativi all’identità cristiana, con una particolare attenzione a tutto ciò che si riferisce alla assunzione e alla formazione del personale.

Una parte importante del governo consiste nello stabilire i meccanismi di valutazione che permettano di verificare che l’istituzione mantiene la rotta desiderata e procede nel modo più adeguato. Il lavoro direttivo, infatti, non si esaurisce con la programmazione delle attività sulla base di alcune intuizioni ben calibrate; occorre prevedere anche la successiva raccolta di dati che forniscano una conoscenza precisa della reale efficacia delle misure di governo e rendano possibile la necessaria riflessione. È più semplice valutare gli elementi tangibili che quelli intangibili; è più facile valutare i bilanci e i risultati economici che lo stato di una università in relazione alla sua Carta dei principi educativi. Però la difficoltà è sempre uno stimolo alla creatività. Si tratta di identificare gli indicatori in grado di rivelare la situazione sotto questo aspetto.

Una valutazione richiede conoscenza e autocritica, non è compatibile con l’auto-compiacimento, e ancor meno con l’auto-inganno che può nascere da un malinteso desiderio di eludere i problemi o di trasmettere un’immagine comunque positiva. La valutazione richiede piuttosto disponibilità al cambiamento, immaginazione per esplorare nuove strade di miglioramento, avendo sempre presente il mandato istituzionale. In definitiva, richiede realismo nelle decisioni e capacità di rinnovarsi[50].

Conclusione

In queste pagine abbiamo accennato ad alcune idee sulla comunicazione dell’identità cristiana di una università. Come dicevamo all’inizio, l’identità cristiana si formula in modo esplicito, si manifesta nella cultura comune, si traduce nel discorso pubblico, si proietta verso l’esterno e si riflette nell’immagine percepita. Questo è il processo che abbiamo tentato di descrivere nelle sue linee essenziali. Al termine di questa analisi potrebbe rimanere l’impressione che la comunicazione dell’identità cristiana sia un lavoro difficile e complesso. Eppure si potrebbe affermare esattamente il contrario: l’identità cristiana più profonda è quella che si vive con maggiore naturalezza; la migliore comunicazione è la più semplice e chiara.

Terminiamo con una citazione di Benedetto XVI. Anche se il Papa ha utilizzato le frasi che seguono per rispondere a un’altra questione — e cioè, a come possono le facoltà di Filosofia e Teologia compiere il loro mandato —, possiamo intenderle come la risposta a uno dei quesiti che ci eravamo posti all’inizio delle nostre riflessioni: come ottenere che l’ispirazione cristiana impregni la cultura di una università e sia ben comunicata? Ecco le parole del Papa: “Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente. Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda — in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con il loro amore per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta”[51].

La domanda sull’identità cristiana dell’università e il tentativo di risposta riguarda ognuno dei professionisti che sceglie l’università come progetto di vita. Essi sono sempre in cammino, mossi dall’amore alla verità e incoraggiati dall’esempio dei sapienti. Quando mostrano la bellezza dell’identità cristiana, essi prestano un prezioso servizio all’intera comunità universitaria. E ricevono il dono di “una vita piena di significato”[52].

[1] Registriamo qui due questioni terminologiche e stilistiche:a) in queste pagine usiamo come sinonimi due espressioni — “ispirazione cristiana” e “identità cristiana” —, benché non siano esattamente equivalenti. Una definizione di l’identità può essere questa: è “quell’insieme dei caratteri propri di un individuo, o di una collettività, che lo differenziano dagli altri”. Proprio perché ciò che ispira l’esistenza di una istituzione delinea radicalmente la sua identità (così che essa adempie tanto meglio la sua missione quanto più è fedele all’ideale che l’ha ispirata), in questo articolo ci siamo permessi di usare i due termini come sinonimi.b) d’altra parte, qui i termini “identità cristiana” e “ispirazione cristiana” vengono impiegati in base all’uso comune in alcuni Paesi dell’Europa, dove, per ragioni storiche, vengono applicati alle istituzioni cattoliche. In ambito anglosassone questi termini si riferiscono invece alle istituzioni cristiane non cattoliche. Nel testo impiegheremo come sinonimi altri termini: identità cattolica, ispirazione cattolica, dottrina cattolica.

[2] Si veda J. M. MORA (ed.), Diez ensayos sobre comunicación institucional, EUNSA, Pamplona 2009.

[3] Si veda, per esempio, J. LE GOFF, Los Intelectuales en la Edad Media, Barcelona 1986; CH. H. HASKINS, The Renaissance of the Twelfth Century, Cambridge, Mass., 1927 (“The Beginnings of Universities”, pp. 368-398); T. E. WOODS, Cómo la Iglesia construyó la civilización occidental, Ciudadela, Madrid 2007 (“La Iglesia y la Universidad”, pp. 71-92); CH. DAWSON, La religión y el origen de la cultura occidental, Encuentro, Madrid 1995.

[4] Cfr. Codice di Diritto Canonico, canoni 807-831. La distinzione tra università ecclesiastiche, cattoliche e di ispirazione cristiana meriterebbe uno sviluppo più ampio. C. J. ERRÁZURIZ tratta la questione dalla prospettiva del diritto canonico in “Le iniziative apostoliche dei fedeli nell’ambito dell’educazione”, Romana 11 (1990/2) pp. 279-294. Si veda anche I. MARTINEZ-ECHEVARRÍA, La relación de la Iglesia con la Universidad en los discursos de Juan Pablo II y Benedicto XVI: una nueva aproximación jurídica, Edusc, Roma 2010.

[5] Alle università di studi ecclesiastici è dedicata la Costituzione apostolica Sapientia Christiana, promulgata dal Beato Giovanni Paolo II nel 1979.

[6] La Costituzione apostolica Ex corde Ecclesiae, promulgata dal Beato Giovanni Paolo II nel 1990, si riferisce alle università cattoliche.

[7] J. A. SILVA GARCÍA, “La identidad de la Universidad católica”, in Cuadernos Doctorales, Facoltà di Diritto Canonico, Servizio Pubblicazioni dell’Università di Navarra, Pamplona 2009, p. 308.

[8] L’esistenza di queste università è contemplata dal c. 808 del Codice di Diritto Canonico. A questo tipo di istituzioni si applica il n. 24 del Decreto Apostolicam actuositatem del Concilio Vaticano II. Su questo punto, San Josemaría, riferendosi al Vaticano II, dava questa indicazione: “Il Concilio non ha preteso di dichiarare superate le istituzioni scolastiche confessionali; ha solo voluto far capire che c’è un’altra forma — che è anzi più necessaria e più universale, ed è praticata da tanti anni dai soci dell’Opus Dei — di presenza cristiana nella scuola: e cioè la libera iniziativa dei cittadini cattolici che hanno come professione l’attività educativa, sia nelle istituzioni promosse dallo Stato che altrove” (Colloqui, n. 81). La sottolineatura è nostra.

[9] Per motivi di coerenza, impiegheremo abitualmente l’espressione “università di ispirazione cristiana”, sapendo che, in accordo con le ragioni indicate nelle note precedenti, si potrebbero usare come sinonimi altre denominazioni: “ispirazione cattolica”, “identità cristiana”, “identità cattolica”, “principi cristiani”, “principi cattolici”.

[10] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 119. Sugli insegnamenti di San Josemaría al riguardo, si veda F. PONZ PIEDRAFITA, Reflexiones sobre el quehacer universitario, EUNSA, Pamplona 1988. E anche A. LLANO CIFUENTES, “Università e unità di vita secondo il Beato Josemaría Escrivá”, Romana 30 (2000/1), pp. 112ss.

[11] Cfr. AA. VV., Josemaría Escrivá de Balaguer y la Universidad, EUNSA, Pamplona 1992, Prologo.

[12] In questo documento i Rettori europei dichiarano che: “1) L’Università [...] è una istituzione autonoma che produce e trasmette criticamente la cultura mediante la ricerca e l’insegnamento. Per essere aperta alle necessità del mondo contemporaneo deve avere, nel suo sforzo di ricerca e d’insegnamento, indipendenza morale e scientifica nei confronti di ogni potere politico ed economico; 2) nelle università l’attività didattica è inscindibile dall’attività di ricerca, affinché l’insegnamento sia contemporaneamente in grado di seguire l’evolversi dei bisogni e le esigenze sia della società sia della conoscenza scientifica; 3) essendo la libertà d’insegnamento, di ricerca e di formazione il principio fondamentale di vita delle università, sia i pubblici poteri sia le università devono garantire e promuovere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, il rispetto di questa esigenza prioritaria. Nel rifiuto dell’intolleranza e nel dialogo permanente l’Università diviene pertanto luogo privilegiato d’incontro fra i professori, che abbiano la capacità di trasmettere il sapere e i mezzi per farlo progredire attraverso la ricerca e l’innovazione, e gli studenti che abbiano il diritto, la volontà e la capacità di arricchirsene; 4) depositaria della tradizione dell’umanesimo europeo, ma con l’impegno costante di raggiungere il sapere universale, l’Università, nell’esplicare le sue funzioni, ignora ogni frontiera geografica o politica e afferma la necessità inderogabile della conoscenza reciproca e dell’interazione delle culture”.

[13] A. M. GONZÁLEZ lo fa notare in “La identidad de la institución universitaria”, Aceprensa, Madrid, 1-XII-2010.

[14] Un contributo multidisciplinare su questi temi si trova in A. ARANDA (ed.), Identidad cristiana. Coloquios universitarios, EUNSA, Pamplona 2007. M. GARCÍA-AMILBURU sintetizza il contenuto dei discorsi di Benedetto XVI in “La misión de la Universidad en y para el siglo XXI en los textos recientes de Benedicto XVI”, pubblicato in Estudios sobre Educación, Servicio de Publicaciones de la Universidad de Navarra, Pamplona, 18/2010, pp. 277-293.

[15] BENEDETTO XVI, Omelia nell’Escorial, 19-VIII-2011.

[16] J. RATZINGER, Fede, verità, tolleranza, Ed. Cantagalli, Siena 2005.

[17] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 73.

[18] BENEDETTO XVI, Discorso alla Catholic University of America, Washington 17-IV-2008. In un’altra occasione, Benedetto XVI ha ricordato che l’università “deve essere legata esclusivamente all’autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l’università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un’istituzione del genere” (Discorso preparato per l’Università La Sapienza, Roma, 17-I-2008).

[19] Ibidem.

[20] BENEDETTO XVI, Discorso ai membri della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti d’America (Regione XIII), in visita “ad Limina Apostolorum”, 5-V-2012.

[21] BEATO GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Ex corde Ecclesiae, 15-VIII-1990, I Parte, n. 26.

[22] Ibidem, II Parte, Articolo 4 § 4.

[23] A. ARANDA e A. LLANO, “Sobre la identidad cristiana: reflexiones preliminares”, in A. ARANDA (ed.), op. cit., p. 20.

[24] Ibidem.

[25] BENEDETTO XVI, Discorso alla Catholic University of America, Washington 17-IV-2008.

[26] Si vedano A. DEL AGUA, “Misión del profesor católico en la universidad de hoy”, in A. ARANDA (ed.), op. cit., pp. 173-192 e anche J. A. ROCHA SCARPETTA, “Identidad y misión del profesor-investigador católico”, in SUBCOMISIÓN EPISCOPAL DE UNIVERSIDADES DE LA CONFERENCIA EPISCOPAL ESPAÑOLA, Cristianismo, universidad y cultura, n. 15, 2007, pp. 73-92.

[27] Sulla definizione di identità istituzionale, cfr. C.B.M. VAN RIEL e C.J. FOMBRUN, Essentials of Corporate Communication, Routledge, New York 2007. Più esattamente, il capitolo 3, “Creating Identity and Identification”, pp. 61-79.

[28] Una sintesi stimolante è offerta da L. MONTUENGA, “Buscando luz con nuevo brillo. Investigación científica e identidad cristiana”, in A. ARANDA (ed.), op. cit., pp. 363-379.

[29] BEATO GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Ex corde Ecclesiae, 15-VIII-1990, I Parte, n. 32.

[30] “L’università, da parte sua, non deve mai perdere di vista la sua particolare vocazione a essere una ‘universitas’, nella quale le diverse discipline, ognuna a suo modo, si considerino come parte di un unum più grande. Quanto è urgente la necessità di riscoprire l’unità del sapere e opporsi alla tendenza alla frammentazione e alla incomunicabilità che troppo spesso esiste nei nostri centri educativi!”. (BENEDETTO XVI, Discorso alla Conferenza delle Università Europee, Roma 23-VI-2007).

[31] “Solo ponendo al centro la persona e valorizzando il dialogo e le relazioni interpersonali può essere superata la frammentazione specialistica delle discipline e recuperata la prospettiva unitaria del sapere. Le discipline tendono naturalmente, e anche giustamente, alla specializzazione, mentre la persona ha bisogno di unità e di sintesi” (BENEDETTO XVI, Discorso nell’incontro con la comunità accademica di Pavia, 22-IV-2007).

[32] J.H. NEWMAN, Discursos sobre el fin y la naturaleza de la educación universitaria, EUNSA, Pamplona 1996, p. 125.

[33] BENEDETTO XVI, Discorso nell’Escorial, 19-VIII-2011.

[34] Cfr. C. NAVAL e F. ALTAREJOS, Filosofía de la educación, EUNSA, Pamplona 2000.

[35] In tal senso, condividiamo quello che dice il programma di educazione di base, comune a tutti gli studenti di Harvard, che è espresso in questi termini: “It heightens students’ awareness of the human and natural worlds they inhabit. It makes them more reflective about their beliefs and choices, more self-conscious and critical of their presuppositions and motivations, more creative in their problem-solving, more perceptive of the world around them, and more able to inform themselves about the issues that arise in their lives, personally, professionally, and socially. College is an opportunity to learn and reflect in an environment free from most of the constraints on time and energy that operate in the rest of life” (HARVARD UNIVERSITY, Report of the Task Force on General Education, February 2007).

[36] LLUÍS CLAVELL ha riassunto alcune proposte in Razón y fe en la universidad: ¿oposición o colaboración?, CEU Ediciones, 2010. Là fa riferimento, fra l’altro, alle opinioni di A. McIntyre e di B. Ashley.

[37] SAN JOSEMARÍA, in AA. VV., Josemaría Escrivá de Balaguer y la Universidad, op. cit., p. 77.

[38] “L’Università siete voi, uniti nel compito comune di trovare e trasmettere la verità. Non perdete mai di vista che l’unità, la collaborazione e il sostegno reciproco sono l’essenza dell’università. L’unità dei saperi ha bisogno dell’unità delle persone” (J. ECHEVARRÍA, “La Universidad, motivo de esperanza”, in AA.VV., Homenaje a Álvaro del Portillo, EUNSA, Pamplona 1995, p. 126).

[39] “L’Università è la casa comune, il luogo di studio e di amicizia; un luogo dove debbono convivere in pace persone di tendenze diverse che in ogni momento sono l’espressione del legittimo pluralismo esistente nella società” (SAN JOSEMARÍA, in AA. VV., Josemaría Escrivá de Balaguer y la Universidad, op. cit., p. 139).

[40] Cfr. AA. VV., Josemaría Escrivá de Balaguer y la Universidad, op. cit., p. 64.

[41] BENEDETTO XVI, Discorso preparato per l’Università La Sapienza, Roma, 17-I-2008.

[42] K. WOJTYLA, Alle fonti del rinnovamento, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1981, edizione originale del 1972. Sul dialogo, si veda: J.M. MORA, “Dar razón de la fe: pensar, dialogar, comunicar”, in A. ARANDA (ed.), op. cit., pp. 281-289.

[43] La prima Enciclica di Paolo VI, Ecclesiam suam, pubblicata nel 1964, rimane un punto di riferimento in questioni di tal genere.

[44] Ai nostri giorni la proposta di fede è intellettualmente realizzabile solo se essa si inserisce “in un quadro di riferimento cosmologico e storico adeguato. Vale a dire, se le idee fondamentali di Dio creatore e salvatore trovano una corrispondenza nella possibilità di un senso dell’universo creato e dell’esperienza umana. Ciò richiede non solo capacità argomentative di tipo apologetico, ma anche un’autentica capacità di riformulazione globale delle coordinate culturali in cui la fede è chiamata a esprimersi. Questo è uno dei nodi più importanti del lavoro culturale dei cristiani che operano in quella realtà così propria della formazione della cultura che è l’università” (PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA DELLA DIOCESI DI ROMA, L’Università per un nuovo umanesimo, Roma 1999, pp. 15-16).

[45] Il termine “partecipante”, riferito a un membro dell’organizzazione, sembra più appropriato di quello di “pubblico”, che evoca qualcosa di esterno. Cfr. A. NIETO, Economia della comunicazione istituzionale, Franco Angeli, Milano 2006.

[46] 46 Si veda F.J. PÉREZ-LATRE, “Algunas ideas sobre la transmisión de valores”, in A. ARANDA (ed.), op. cit., pp. 291-297.

[47] BEATO GIOVANNI PAOLO II, Cost. ap. Ex corde Ecclesiae, 15-VIII-1990, II Parte, Articolo 6 § 1.

[48] Ibidem, I Parte, n. 32.

[49] Cfr. Á. DEL PORTILLO, Omelia pronunciata all’Università di Navarra il 7-IX-1991, pubblicata su Nuestro Tiempo, ottobre 1991.

[50] Si veda P. DONATI, Teoria relazionale nella società, Franco Angeli, Milano 1991.

[51] BENEDETTO XVI, Discorso preparato per l’Università La Sapienza, Roma, 17-I-2008.

[52] BENEDETTO XVI, Discorso nell’Escorial, 19-VIII-2011.

Romana, n. 54, Gennaio-Giugno 2012, p. 186-207.

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