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Articolo “Scoprire Dio nel lavoro”, L’Osservatore Romano, Vaticano, Roma (28-VI-2012)

(Meditazione per la festa di San Josemaría, Fondatore dell’Opus Dei)

Abbiamo già commentato, in occasione di altri anniversari del transito al Cielo di San Josemaría (26-VI-1975), le letture della Messa in onore di questo santo sacerdote. Ora desidero soffermare la mia attenzione sul messaggio che il Fondatore dell’Opus Dei ci ha trasmesso: la santificazione della vita ordinaria, così come predicata da Gesù e presentata nei testi della Genesi, della lettera di San Paolo ai Romani e del brano del Vangelo della Messa di oggi.

Consideriamo la parte finale del brano della Genesi: “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15). L’invito a lavorare, in quanto completamento dell’opera creatrice, è la vocazione originaria di ogni donna e di ogni uomo. A ragione dunque San Josemaría poteva affermare che qualsiasi lavoro onesto è “un mezzo necessario che Dio ci affida sulla terra, dando ampiezza ai nostri giorni e facendoci partecipi del suo potere creatore, affinché potessimo guadagnare il nostro sostentamento e, nello stesso tempo, raccogliere frutti per la vita eterna (Gv 4,36)”[1]. Ci invitava così a riscoprire Dio, sia nei lavori importanti, sia nelle occupazioni quotidiane, che possono diventare un solido fondamento per la santità personale.

Questa dimensione originaria del lavoro è la ragione più reale del diritto di tutti ad avere un’occupazione professionale che consente di guadagnarsi da vivere e di sovvenire alle necessità della propria famiglia. Purtroppo, nelle circostanze attuali, molti Paesi soffrono la piaga della disoccupazione, che tante preoccupazioni e disagi arreca a innumerevoli famiglie. Preghiamo per le autorità civili e per i responsabili della vita pubblica, a tutti i livelli, affinché, illuminati dalla divina Sapienza, sappiano trovare e mettere in pratica misure idonee a risollevare le loro Nazioni dall’attuale crisi, nel pieno rispetto della dignità della persona e del bene comune. Affidiamo quest’intenzione a Dio per intercessione di San Josemaría, apostolo della santificazione del lavoro.

La seconda lettura ci rammenta, con parole di San Paolo, che noi cristiani siamo figli di Dio, guidati dallo Spirito Santo. Da questa affermazione, l’Apostolo trae una conseguenza immediata: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: ‘Abbà, Padre!’” (Rm 8,15).

Paolo ha presenti le paure e le angosce della società del suo tempo, sottomessa a molteplici poteri, in gran parte maligni, caratteristici dell’antico paganesimo. Per questa ragione, come spiega Benedetto XVI in una delle sue Encicliche, quei popoli vivevano immersi nel timore, pur avendo molti dèi; “Ma i loro dèi — commenta il Papa — si erano rivelati discutibili e dai loro miti contraddittori non emanava alcuna speranza. Nonostante gli dèi, essi erano ‘senza Dio’ e conseguentemente si trovavano in un mondo buio, davanti a un futuro oscuro”[2].

I cristiani, al contrario, in quanto figli di Dio, sanno di avere un futuro luminoso. “Non è che sappiano nei particolari ciò che li attende — prosegue il Santo Padre —, ma sanno nell’insieme che la loro vita non finisce nel vuoto. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente”[3].

Questa grande meraviglia della nostra fede deve incoraggiarci, sorelle e fratelli carissimi, ad affrontare con fiducia in Dio e con serenità tutte le difficoltà di ogni genere che man mano possano presentarsi nella nostra esistenza; anche quelle derivanti dall’attuale crisi economica e dalla mancanza di lavoro.

Nel Vangelo abbiamo contemplato ancora una volta il grande prodigio della prima pesca miracolosa. Dal punto di vista umano, l’ordine di Gesù — gettare le reti in pieno giorno, dopo una notte infruttuosa — sembrava inutile e assurdo. Per di più, Pietro e gli altri erano pescatori di professione: conoscevano bene il proprio mestiere e i recessi più nascosti del lago di Tiberiade non avevano segreti per loro. Ciò nonostante, obbediscono: “In verbo autem tuo laxabo retia” (Lc 5,5), sulla tua parola getterò le reti. Non vi meraviglia la fede di Simone Pietro? Anche noi ne abbiamo bisogno per affrontare tutte le vicissitudini della nostra esistenza.

Tra pochi mesi, a ottobre, avrà inizio l’Anno della fede indetto dal Papa. Come ci stiamo preparando? Facciamo atti espliciti di questa virtù prima di ricevere il sacramento della Confessione o la Comunione? Ci rivolgiamo a Dio con fede nella preghiera, di fronte alle innumerevoli incombenze di una vita ricca di compiti professionali e di preoccupazioni familiari? Come cerchiamo di avvicinare al Signore le persone care, gli amici, i compagni di studio o di lavoro? Non dimentichiamo — è così — che Iddio vuole servirsi di ognuna e di ognuno di noi perché lo conoscano, lo trattino, lo amino.

Guardate che con la fede si spalancano le porte sbarrate, si aprono orizzonti che sembravano chiusi. È questo l’insegnamento del brano evangelico. In obbedienza al comando del Signore, Pietro e i suoi compagni calarono le reti. Gesù invita anche noi a santificarci in tutte le circostanze ordinarie della vita e a gettare le reti dell’apostolato nel mare del mondo.

[1] SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 57.

[2] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Spe salvi, n. 2.

[3] Ibid.

Romana, n. 54, Gennaio-Giugno 2012, p. 107-108.

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