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Discorso nell’inaugurazione dell’anno accademico, Pontificia Università della Santa Croce, Roma (10-X-2011)

Eminenze, Eccellenze e illustrissime Autorità, Professori, studenti, e tutti voi che lavorate nella Pontificia Università della Santa Croce, Signore e Signori,

poche settimane fa, nel contesto della Giornata Mondiale della Gioventù celebrata quest’estate a Madrid, ho avuto il prezioso dono di partecipare all’incontro del Santo Padre con i giovani professori universitari a San Lorenzo de El Escorial. Sono sicuro che avete letto e riletto le parole di Benedetto XVI durante quei giorni indimenticabili e che sarà calato nel fondo dell’anima il contenuto di quel discorso rivolto in modo speciale a noi, perché con me eravate idealmente presenti anche voi che fate parte di questa Università. Penso, tuttavia, che l’inaugurazione di quest’anno accademico sarà ancora più fruttuosa se ritorniamo sulle parole del Papa affinché continuino a essere luce per far maturare nel nostro essere e nel nostro agire universitario il motto di quelle giornate: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”[1].

Riempie veramente di gioia, di fede, di speranza e di ottimismo l’effetto così positivo suscitato, in tanti uomini e donne del mondo della cultura, dallo sforzo del Papa per far risplendere l’intrinseca armonia di ragione e fede. Non sono pochi gli intellettuali che, prendendo spunto dal suo Magistero, profondamente influenzato dall’amore per l’università, hanno riconosciuto che una cultura pienamente umana non può prescindere dalla religione e che l’apertura alla trascendenza è indispensabile per la nostra società.

Un altro motivo di gioia particolare è rappresentato dal fatto che quest’anno celebriamo il 25º anniversario di fondazione dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose all’Apollinare. Promosso con lungimirante intuizione pastorale dal Card. Pietro Palazzini, di venerata memoria, l’Istituto fu eretto dalla Congregazione dell’Educazione Cattolica il 17 settembre 1986. Nel 1988 il Servo di Dio Mons. Álvaro del Portillo, primo Gran Cancelliere della nostra Università, accolse con gioia la richiesta del Card. Palazzini che l’Istituto fosse posto sotto la tutela accademica della Facoltà di Teologia, per offrire alla Chiesa in Italia un servizio qualificato, anche in questo ambito.

Le parole del Papa ricordate poc’anzi ci incoraggiano a cominciare questo nuovo anno di studio e di lavoro, sapendoci «uniti a quella catena di uomini e donne che si sono impegnati a proporre e a far stimare la fede davanti all’intelligenza degli uomini»[2], con la coscienza chiara che non basta limitarsi a insegnare o studiare i diversi trattati: la fede esige di essere vissuta, incarnata ogni giorno[3].

L’orientamento del nostro lavoro universitario deve contribuire a radicare la fede e la vita cristiana in noi stessi e nella cultura del nostro tempo. Bisogna, pertanto, stare in guardia dal rischio di intendere la missione dell’università unicamente in senso utilitarista, accontentandoci di formare esclusivamente professionisti delle scienze sacre competenti ed efficaci, capaci di soddisfare le necessità di ogni momento, privilegiando la «pura capacità tecnica» nei campi dell’insegnamento, del governo pastorale, dell’amministrazione ecclesiastica o della comunicazione istituzionale[4]. No: il nostro anelito è molto più elevato, va oltre la semplice utilità e il pragmatismo immediato.

In questa «casa dove si cerca la verità propria della persona umana»[5] — Benedetto XVI ama definire così l’università — si accendono e alimentano le nostre ansie apostoliche e di intimità con Dio, poiché, come spiegava San Josemaría, “non c’è lavoro umano che non sia santificabile, che non sia occasione di santificazione personale e mezzo per collaborare con Dio alla santificazione di coloro che ci circondano”. E aggiungeva, con parole che si possono applicare molto bene al lavoro universitario: “Il lavoro così fatto è orazione. Lo studio così fatto è orazione. La ricerca scientifica così fatta è orazione. Tutto converge verso una sola realtà: tutto è orazione, tutto può e deve portarci a Dio, alimentando un rapporto continuo con Lui, dalla mattina alla sera”[6].

Voi professori — ne sono convinto — siete ben consapevoli che, come dice il Santo Padre, «i giovani hanno bisogno di autentici maestri; persone aperte alla verità totale nei differenti rami del sapere, sapendo ascoltare e vivendo al proprio interno tale dialogo interdisciplinare; persone convinte, soprattutto, della capacità umana di avanzare nel cammino verso la verità»[7] su Dio, l’uomo, la società e la Chiesa stessa.

Voi sapete che «questa alta aspirazione è la più preziosa che potete trasmettere in modo personale e vitale ai vostri studenti»[8] e non dimenticate che «l’insegnamento non è un’arida comunicazione di contenuti, bensì una formazione dei giovani che dovrete comprendere e ricercare; nei quali dovete suscitare questa sete di verità che hanno nel profondo e quest’ansia di superarsi. Siate per loro stimolo e forza»[9]. Proprio perché — come affermò in maniera perentoria San Josemaría in una memorabile occasione — “non c’è propriamente Università nelle Scuole in cui, alla trasmissione del sapere, non va unita la formazione completa delle giovani personalità”[10]. E allora io vi ripeto con il Papa: «Siate per loro stimolo e forza».

Anche voi, cari membri del personale dell’Università che svolgete compiti non docenti, ma altrettanto necessari, contribuite alla formazione degli alunni al miglior servizio della Chiesa, con l’esempio del vostro lavoro ben fatto, curato fin nei minimi particolari, che possono contenere molto amore di Dio.

E infine mi rivolgo a voi, amati studenti di questa Università. Non smettete di vivere «gli anni della vostra formazione con gioia profonda, in atteggiamento di docilità, di lucidità e di radicale fedeltà evangelica, come pure in amorevole relazione con il tempo e le persone fra le quali vivete»[11].

All’inizio dell’anno accademico, mi sembra importante per tutti noi ricordare che la santificazione del lavoro universitario — cioè il fine per il quale ci troviamo qui — implica amare lo studio, giacché «non possiamo avanzare nella conoscenza di qualcosa se non ci muove l’amore, e neppure possiamo amare qualcosa nella quale non vediamo razionalità»[12].

Allo stesso tempo, dobbiamo amare tutte le persone — professori, alunni, personale non docente — con cui condividiamo questo lavoro: non sarebbe autentico un amore che permettesse di chiudersi nell’ambizione egoistica di acquisire conoscenze.

Sappiamo anche che la pietra di paragone dell’amore è il dolore[13]: nei momenti in cui lo studio o i rapporti con gli altri possono risultare più ardui, persevereremo non semplicemente per il desiderio di ottenere la sapienza, ma perché avremo la sicurezza che siamo amati, “radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”.

Con questa radice e fermezza — come ci esortava San Josemaría —, “l’Università sa che la necessaria oggettività scientifica rifiuta giustamente ogni neutralità ideologica, ogni ambiguità, ogni conformismo, ogni viltà: l’amore alla verità impegna la vita e l’intero lavoro dello scienziato e sostiene la sua onestà dinanzi a possibili situazioni scomode, perché a questa coerente rettitudine non sempre corrisponde un’immagine favorevole nell’opinione pubblica”[14].

Per andare avanti nel cammino della santificazione, che ci porta a saper amare con una perseveranza fermamente radicata nella fede, è indispensabile una virtù, necessaria in tutte le occupazioni, e menzionata espressamente da Benedetto XVI a proposito proprio del lavoro intellettuale e docente: l’umiltà «che ci protegge dalla vanità che chiude l’accesso alla verità»[15].

Se saremo umili sapremo dialogare, perché avremo capacità di ascolto. Saremo disposti a riconoscere di aver sbagliato, perché «la stessa verità è sempre più alta dei nostri traguardi. Possiamo cercarla e avvicinarci a essa, però non possiamo possederla totalmente, o meglio è essa che ci possiede e che ci motiva»[16].

Come piaceva ripetere a San Josemaría, “l’umiltà è la verità”[17], e per questo è una virtù imprescindibile per quanti hanno l’incarico di collaborare alla diffusione della verità. Chiediamola a Gesù, realmente presente nel SS. Sacramento, quando andiamo a salutarlo nel tabernacolo da cui presiede questi edifici, e avremo la garanzia di essere saldamente radicati in Lui.

Invochiamo, dunque, il Signore e ricorriamo anche a nostra Madre Santa Maria, Sedes Sapientiæ, affinché Lei ci faccia umili, ma efficaci collaboratori di suo Figlio, nella diffusione della verità, durante quest’anno accademico 2011-2012, che dichiaro, pertanto, inaugurato.

[1] Cfr. Col 2,7.

[2] BENEDETTO XVI, Incontro con giovani docenti universitari nella Basilica di San Lorenzo de El Escorial, 19-VIII-2011.

[3] Cfr. ibid.

[4] Cfr. ibid.

[5] Ibid.

[6] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 10.

[7] BENEDETTO XVI, Incontro con giovani docenti universitari, 19-VIII-2011.

[8] Ibid.

[9] Ibid.

[10] SAN JOSEMARÍA, Discorso nell’atto di investitura dei dottori “honoris causa” dell’Università di Navarra, 28-XI-1964; in Josemaría Escrivá de Balaguer y la Universidad, EUNSA, Pamplona 1993, p. 77.

[11] BENEDETTO XVI, Omelia nella Messa con seminaristi, Madrid, 20-VIII-2011.

[12] BENEDETTO XVI, Incontro con giovani docenti universitari, 19-VIII-2011.

[13] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Cammino, n. 439.

[14] SAN JOSEMARÍA, Discorso nell’atto di investitura dei dottori “honoris causa” dell’Università di Navarra, 9-V-1974, in Josemaría Escrivá de Balaguer y la Universidad, EUNSA, Pamplona 1993, pp. 106-107.

[15] BENEDETTO XVI, Incontro con giovani docenti universitari, 19-VIII-2011.

[16] Ibid.

[17] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Lettera 9-I-1932, n. 90; Lettera 8-VIII-1956, n. 5. La frase è di Santa Teresa d’Avila.

Romana, n. 53, Luglio-Dicembre 2011, p. 289-292.

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