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Intervista concessa alla Rivista degli ex Alunni dell’Istituto di Studi Imprenditoriali di Montevideo (IEEM), Uruguay (dicembre 2010)

— Che interesse aveva l’Opus Dei a promuovere un Istituto Commerciale? E perché in Uruguay?

La finalità della Prelatura dell’Opus Dei è quella di partecipare alla missione evangelizzatrice della Chiesa Cattolica, favorendo tra i cristiani di ogni condizione una condotta coerente con la fede attraverso la santificazione del lavoro e della vita ordinaria.

La Prelatura, per sua natura, si preoccupa di dare formazione ai suoi fedeli — e anche ad altre persone che lo desiderano —, in modo che ognuno, con libertà e responsabilità personali, possa contribuire allo sviluppo della Chiesa e della società. Un membro dell’Opus Dei deve sforzarsi di mettere in pratica la propria fede e dare impulso, insieme a colleghi e amici, a quei progetti che tendono a dare soluzione alle necessità materiali e spirituali dei concittadini.

L’iniziativa dell’IEEM si deve all’interesse di alcuni fedeli dell’Opus Dei, cooperatori e amici, e di altre persone, consapevoli che una Business School in Uruguay avrebbe aiutato a stimolare la rettitudine e la professionalità nell’attività di direzione delle imprese e, di conseguenza, a migliorare gli ambienti professionali.

Ho molto presente lo zelo soprannaturale e umano di San Josemaría Escrivá quando incoraggiava iniziative come questa, perché era cosciente del bene che una Scuola per Imprenditori che s’ispira allo spirito del Vangelo può produrre nella società. Intuiva l’importanza di una istituzione di buon livello professionale, dedicata alla formazione e al perfezionamento di imprenditori e dirigenti, che metta in primo piano il servizio agli altri e la volontà di dare al proprio lavoro un orientamento pienamente cristiano e, dunque, veramente umano.

Perché in Uruguay? Anche questa iniziativa nasce dal desiderio dei fedeli dell’Opus Dei di queste terre, e di quelli che partecipano ai loro apostolati, di portare il messaggio di Cristo alle attività ordinarie e di servire tutti gli uruguaiani. D’altra parte, e per gli stessi motivi, ancora in Uruguay sono ormai operative altre iniziative sociali come il Centro di Sostegno allo Sviluppo Integrale (CADI), la Scuola Los Pinos — entrambi nel quartiere Casavalle (Montevideo) —, le Scuole familiari agrarie Los Nogales e Las Camelias, ecc.

— Secondo lei, quali “spazi” dovrebbe occupare la fede cristiana nelle funzioni del management?

La fede cristiana non occupa “spazio”, non si può confondere con un libro, nel quale si trovano scritti alcuni principi e verità, che insieme ad altri trova posto in una libreria. La fede offre una conoscenza più profonda del mondo e delle attività umane. Con lo splendore della fede, l’agire del cristiano acquista un nuovo rilievo, una profondità prima insospettabile. La fede stimola la persona a scoprire in tutte le proprie attività la mano provvidente di Dio che vuole farlo partecipe dell’opera divina (cfr. San Josemaría, È Gesù che passa, n. 45). Essere coerenti con la fede nelle funzioni di management non richiede l’istituzione di un nuovo dipartimento di “fede cristiana”, come se si trattasse di un’abilità strategica e di una leadership che si aggiunge a tante altre. A San Josemaría dispiaceva il fatto che “molti cristiani hanno smarrito la convinzione che l’integrità di vita, richiesta dal Signore ai suoi figli, esige una cura autentica nell’adempimento dei propri compiti, che devono essere santificati, fino ai dettagli più minuti [...]. Il lavoro di ciascuno, il lavoro che impiega le nostre giornate e le nostre energie, dev’essere un’offerta degna per il Creatore, operatio Dei, lavoro di Dio e per Dio: in una parola, dev’essere un’opera completa, impeccabile” (San Josemaría, Amici di Dio, n. 55). Quelli che si occupano di attività manageriali non assimilerebbero l’unità di vita propria del cristianesimo se si limitassero a compiere i loro doveri verso Dio in un ambito esclusivamente “personale” — anche se fossero generosi nel dare un aiuto materiale alle iniziative apostoliche —, ma essendo negligenti nell’impregnare i loro doveri familiari, professionali e sociali dello spirito del Vangelo.

Come sottolineava San Josemaría, la grande audacia della fede cristiana consiste nel proclamare il valore e la dignità della natura umana affermando che, mediante la grazia, siamo stati creati per raggiungere la dignità di figli di Dio. Questa fede induce l’imprenditore non solo a rispettare tutti — senza manipolazioni o maneggi egoistici —, ma anche ad amare e rispettare veramente ciascuno, cominciando dai più vicini, e manifestando tale affetto con opere concrete di servizio. Ricordo che, in un affettuoso dialogo con i dirigenti di una Scuola di Direzione d’Azienda, uno dei presenti domandò a San Josemaría quale doveva essere la prima virtù di un imprenditore. La risposta s’incentrò sulla carità, “perché la sola giustizia non è sufficiente”. Il Fondatore dell’Opus Dei sosteneva che “la carità migliore consiste nell’esercitare una giustizia generosamente eccedente” (ibidem, n. 83) e anche: “Giustizia significa dare a ciascuno il suo; ma penso che questo non basti. Per quanto uno possa meritare, bisogna dargli di più, perché ogni anima è un capolavoro di Dio” (ibidem).

Un imprenditore animato dalla fede cristiana saprà cercare con rettitudine la giustizia e servire nell’ambito dei rapporti di lavoro. Nell’esercizio delle sue funzioni perseguirà il bene delle persone, e non soltanto alcune semplici e caduche soddisfazioni materiali. La dottrina sociale della Chiesa afferma che la vita economica non deve mirare solo a moltiplicare la produzione dei beni con l’unico obiettivo di aumentare il profitto o la potenza, ma deve essere ordinata anzitutto al servizio delle persone, dell’uomo nella sua integralità e di tutta la comunità umana (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2426).

La fede cristiana, pertanto, nell’apportare anche una ricca concezione dell’essere umano, non solo non risulta estranea alla direzione di un’azienda, ma le dà una prospettiva realmente umanizzante, attenta al servizio degli altri e capace di scoprire nuovi orizzonti.

— Lei ha visitato due volte l’Uruguay; pensa che in un Paese dove il laicismo ha avuto una particolare influenza si può sperare che mettano radici i principi della dottrina sociale della Chiesa?

L’Uruguay è nato cattolico, e l’impronta cristiana è presente nella società. È vero che il laicismo ha avuto una particolare influenza, come in altri posti; tuttavia, anche tra quelli che non hanno il dono della fede si trovano ideali che hanno radici cristiane, compatibili con i principi della dottrina sociale della Chiesa. Non si può dimenticare che questi principi sono l’espressione della verità autentica sull’uomo conosciuta attraverso la ragione e la fede, e che, come è stato dimostrato innumerevoli volte, sono il punto di contatto con le persone senza fede. Mi riferisco, per esempio, all’uguaglianza fondamentale tra tutti gli esseri umani e al rifiuto delle discriminazioni ingiuste; al principio di solidarietà, in base al quale ognuno, con una determinazione decisa e perseverante, si impegna per il bene comune, vale a dire, per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti (cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 193) e dobbiamo prenderci cura specialmente dei più poveri e dei meno abbienti (cfr. Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 30-XII-1987, n. 42); alla fiducia nella libertà e nella responsabilità delle persone, che si manifesta nei principi di partecipazione e di sussidiarietà.

Per questo motivo ogni comportamento cristiano, basato sui principi della dottrina sociale della Chiesa, esercita attrattiva, in quanto concorda con gli ideali che nascono nel cuore degli uomini di buona volontà. La sua forza di attrazione si trova soprattutto nelle modalità di azione che manifestiamo noi cristiani: Nostro Signore Gesù Cristo, che è la “luce del mondo” (Gv 8,12), che è venuto a portare la redenzione dal peccato, a restituire agli uomini l’amicizia con Dio, ad aprire le porte alla vita eterna.

Come ho affermato all’inizio, l’Uruguay è nato cattolico e deve continuare a essere cattolico sino alla fine dei tempi. Che i principi della dottrina sociale della Chiesa mettano radici dipende dai cristiani, se sapranno pienamente vivere in concreto le esigenze della fede nelle attività personali e sociali e vi si impegneranno.

— Secondo lei, quali potrebbero essere i motivi di ottimismo circa il fatto che il mondo possa trovare formule in grado di evitare la sofferenza di tanta gente come conseguenza delle crisi economiche?

Un cristiano, quale che sia la situazione, ha solo motivi per essere ottimista. Forse certe volte ci lasciamo portare troppo da mire semplicemente umane e dimentichiamo che Dio ha assunto la nostra condizione umana e si è fatto povero, che ha voluto subire una morte atroce per amore nostro, per riscattarci dai vincoli del peccato, l’unico male assoluto, e così guadagnarci la felicità eterna. Allora contempliamo solo la croce — la croce con la c minuscola —, le sofferenze, senza considerare che la Croce — la Croce con la C maiuscola — ha portato la salvezza del mondo e che dopo viene la Risurrezione.

Le crisi sono occasioni nelle quali noi cristiani siamo chiamati a essere per gli altri luce e speranza. Grazie alla nostra fede, siamo ottimisti e dobbiamo trasmettere questa visione attorno a noi. Le crisi si superano pregando e lavorando. Il cristiano deve andare avanti essendo esemplare, con la sua onestà di cittadino. Il buon esempio aiuta a superare la struttura dell’egoismo, del semplice utilitarismo, che sostituisce con quella della reciprocità e della donazione. È vero che la logica di mercato e i rapporti strettamente contrattuali si basano sull’interscambio, però “l’attività economica — come ricorda il Papa nella sua Enciclica Caritas in veritate — non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, 29-VI-2009, n. 36); è necessario modellare l’agire dell’imprenditore, discepolo di Cristo, mediante la carità che lo spinga a non “prescindere dalla gratuità, che dissemina e alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune nei suoi vari soggetti e attori” (ibidem, n. 38).

Mi consta che nell’IEEM si cerca di dare agli imprenditori uruguaiani una buona preparazione nella gestione dell’impresa, ma contemporaneamente li si sollecita a preoccuparsi di risolvere le necessità della comunità. Infatti, per stimolare lo sviluppo e per combattere la povertà e la corruzione occorrono una buona formazione morale, anche nella dottrina sociale della Chiesa, e una solida formazione imprenditoriale: è necessario stimolare un costante desiderio di generare lavoro e investimenti, di amministrare con onestà e trasparenza, di remunerare le persone con giustizia e generosità, di compiere il lavoro con la maggiore perfezione possibile.

Ricordo che quando i primi fedeli dell’Opus Dei arrivarono in queste amatissime terre, incontrarono molte difficoltà, vissero in condizioni di grande povertà, ma seppero superare le difficoltà con la fede in Dio e lavorando. I frutti di quei primi anni sono tangibili in iniziative apostoliche molto diverse, che mirano allo sviluppo integrale degli uruguaiani di tutti i ceti, anche grazie all’appoggio e all’interesse di molti imprenditori, che si sono impegnati generosamente a rendere possibili queste iniziative di servizio cristiano alla società.

Romana, n. 51, Luglio-Dicembre 2010, p. 363-367.

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