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Roma 10-III-2008 “La configurazione giuridica prevista da San Josemaría”, in occasione del XXV anniversario dell’erezione della Prelatura dell’Opus Dei, Pontificia Università della Santa Croce.

Eminenze Reverendissime, Eccellenze Reverendissime, Signori Professori, confratelli nel sacerdozio, Signore, Signori,

Per descrivere la configurazione giuridica prevista da San Josemaría per l’Opus Dei dovrò in primo luogo accennare ai tratti definitori di ciò che egli vide — è questo il verbo che adoperò abitualmente per riferirvisi[1] — il 2 ottobre 1928, data in cui si schiuse davanti ai suoi occhi l’orizzonte dell’Opera che il Signore voleva da lui. Alla luce di questa realtà viva percorrerò poi due filoni che s’intrecciano continuamente nel corso degli anni fino alla morte santa del Fondatore: da una parte, le diverse configurazioni che, senza tradire la sostanza dell’Opus Dei e con carattere provvisorio, San Josemaría dovette adottare affinché l’Opera godesse di un riconoscimento pubblico nella Chiesa secondo le possibilità offerte dal diritto allora vigente e potesse far fronte alle necessità organizzative inerenti alla sua estensione in un primo momento interdiocesana e poi internazionale; d’altra parte — ecco l’intreccio al quale ho accennato —, esporrò le abbondanti puntualizzazioni che San Josemaría ebbe cura di far constare nei confronti di quelle configurazioni accettate per necessità, ma sempre nell’attesa di una veste giuridica definitiva, prevista nel diritto comune, che accogliesse senza forzature il fenomeno pastorale dell’Opus Dei nella sua integrità[2].

1. I tratti definitori dell’Opus Dei

Dopo anni di preghiera in attesa di scoprire ciò che presagiva come volere di Dio, il 2 ottobre 1928, nel corso di alcuni giorni di ritiro spirituale, San Josemaría ricevette «l’illuminazione su tutta l’Opera»[3].

Che cosa significa «illuminazione su tutta l’Opera»? Non, di certo, che l’Opus Dei sia apparso davanti agli occhi del Fondatore nella completezza dei suoi dettagli operativi, organizzativi e di governo, e addirittura con un corpo di norme legali già pronte per l’uso. In proposito, San Josemaría scrisse anni dopo in un lungo documento: «La realtà della Volontà di Dio era chiara. Bisognava quindi fare ciò che il Signore comandava. Poi sarebbe venuta la teoria e sarebbe venuto il diritto, per inalveare la vita»[4].

Vi sono, pertanto, due aspetti che desidero esporre in seguito: in primo luogo, quali erano i tratti definitori del panorama che San Josemaría vide nella data fondazionale dell’Opus Dei; poi, quali erano, invece, quegli altri aspetti che dovevano essere profilati con il tempo, mediante la riflessione e la meditazione del Fondatore, sempre in un atteggiamento di docilità alle ispirazioni e all’azione di Dio nella sua anima.

1.1. Tratti definitori

San Josemaría non redasse una relazione, o, almeno, non è pervenuta a noi, sulle caratteristiche che definiscono il nucleo fondamentale dell’Opus Dei così come gli si presentò il 2 ottobre 1928. Dobbiamo, dunque, descrivere quegli aspetti e tratti essenziali in base agli scritti del Fondatore negli anni immediatamente successivi alla predetta data.

Innanzitutto, ciò che egli scoprì fu un orizzonte apostolico. Di fronte a tanti cristiani sparsi per il mondo nella cui vita si constatava di fatto un divario tra la fede e la propria esistenza concreta, fatta di lavoro e di occupazioni terrene, si sentì chiamato a promuovere un’istituzione che avesse il fine di diffondere fra coloro che vivono nel mondo una profonda coscienza della chiamata alla santità che Dio ha rivolto loro con il battesimo. Un’istituzione, quindi, costituita da cristiani comuni i quali, resi consci delle esigenze che la vocazione cristiana comporta, si impegnassero a cercare di metterle in pratica con piena radicalità e a trasmettere ad altri questa loro scoperta, per diffondere capillarmente il convincimento che la fede può e deve impregnare dal di dentro l’intera esistenza umana con tutte le realtà che la compongono: in primo luogo, le esigenze del lavoro professionale e, in generale, la vita familiare e sociale.

Si trattava, pertanto, non della realizzazione di un’attività di apostolato limitata e ristretta richiesta dalle circostanze dei tempi, ma di un orizzonte sconfinato di santificazione del mondo, di vivificazione delle occupazioni e delle realtà temporali mediante lo spirito del Vangelo. In questo panorama sono presenti l’insieme delle realtà che s’intrecciano nella vita ordinaria di qualsiasi uomo o donna, ma si attribuisce un’importanza basilare al lavoro professionale — qualunque esso sia[5]: davanti a Dio non ci sono lavori alti o umili —, come elemento essenziale del legame dell’uomo con il mondo.

L’Opera vista da San Josemaría presuppone la risposta a una vocazione da parte di coloro che devono realizzarla. Essa non è, infatti, un progetto apostolico limitato e ristretto, al quale si possa aderire impegnando solo una parte della propria vita, ma è invece un compito la cui realizzazione coinvolge la totalità della persona. Questa vocazione è un invito a cercare la santità nel mondo e nelle proprie circostanze personali; nel febbraio 1931, il Fondatore scrive: «Nel mondo, nel lavoro ordinario, nei propri doveri di stato, e lì, in tutto, santi!»[6]. Ed è, nel contempo, una chiamata all’apostolato, non solo con l’esempio, ma anche con la parola, specialmente mediante quella forma di apostolato personale, a tu per tu, che il Fondatore chiamò «apostolato di amicizia e di confidenza». Un apostolato che non conosce frontiere perché, sempre con parole di San Josemaría, questa volta del 1932, «ci interessano tutte le anime (...). Per questo dobbiamo desiderare di servire tutti, per amore di Dio (...). Portare tutti alla santità: estote perfecti! (tutti). Riempire il mondo di pace e di gioia»[7].

Passando poi agli aspetti organizzativi e istituzionali, rileviamo che questo progetto apostolico comprendeva uomini e donne. Nel 1928, il Fondatore pensò di doversi rivolgere esclusivamente a uomini, ma, trascorso meno di un anno e mezzo, il 14 febbraio 1930, il Signore gli fece capire che la luce ricevuta doveva essere comunicata anche alle donne, di modo che l’apostolato con gli uomini e quello con le donne procedessero in piena autonomia e, al tempo stesso, in unità di spirito e, successivamente, di struttura istituzionale. Questi uomini e donne possono essere sia celibi che sposati, compartecipi di una vocazione una ed unica, la stessa per tutti, di chiamata alla santificazione del lavoro professionale e all’apostolato nelle circostanze della vita ordinaria di ciascuno.

Ancora un’altra caratteristica fondamentale: la realizzazione del compito dell’Opus Dei richiede la partecipazione di sacerdoti e di laici in stretta e mutua cooperazione: sacerdoti che svolgano i compiti propri del loro ministero per aiutare gli altri in ciò che concerne la vita interiore e l’apostolato, rinunciando ad ogni sorta di protagonismo e senza mai interferire nelle libere scelte dei laici nelle questioni temporali.

È anche da sottolineare l’importanza attribuita alla formazione in tutti i suoi aspetti: spirituale, dottrinale, apostolico, umano e professionale. Da questo punto di vista, la formazione appare come il compito in cui si riassume tutto il lavoro dell’Opus Dei. L’Opus Dei, ripeterà spesso il Fondatore, ha come attività propria la formazione dei suoi membri e di coloro che si avvicinano al suo apostolato, così che essi, perché sono cittadini come gli altri, con gli stessi diritti e doveri, possano agire con senso cristiano nella vita professionale, familiare e sociale e, con la coscienza ben formata, siano in grado di decidere liberamente le proprie opzioni nelle questioni professionali, sociali e politiche o, in termini più generali, in tutto ciò che Dio ha lasciato alla scelta libera e responsabile degli uomini. In proposito, San Josemaría insistette continuamente, fin dai primissimi anni della fondazione, sulla necessità di un «denominatore comune» — l’insegnamento della Chiesa, lo spirito dell’Opera e l’impegno apostolico — con un numeratore diversissimo che, per quanto riguarda la libertà nelle questioni temporali, è non solo legittimo, ma logico e auspicabile, perché frutto e conseguenza del fatto di essere uguali ai propri concittadini.

Infine, l’Opus Dei nacque con le caratteristiche dell’universalità e dell’internazionalità. Su questo aspetto il Fondatore scrisse nel 1934: «Non siamo un’organizzazione circostanziale (...). Né veniamo a risolvere una necessità particolare di un paese o di un periodo determinato, poiché Gesù vuole che la sua Opera, sin dal primo momento, abbia un cuore universale, cattolico»[8]. Di conseguenza, l’Opus Dei dovrà avere un’organizzazione unitaria e interdiocesana; già nel 1931 aveva scritto che chi ne fosse a capo avrebbe dovuto avere un certo numero di persone a lui vicine o sparse per il mondo che lo aiutassero a governare l’Opera, la cui sede centrale si sarebbe stabilita a Roma, centro della cattolicità[9].

1.2. Gli aspetti ancora da determinare

Ho tratteggiato finora le caratteristiche fondamentali dell’Opus Dei così come appaiono negli scritti di San Josemaría nei primi anni ’30 del secolo scorso: un’istituzione con un orizzonte apostolico di santificazione personale e di diffusione della chiamata universale alla santità nel mondo e nelle diverse circostanze della vita ordinaria, integrata da uomini e donne di tutte le classi sociali, celibi e sposati, e da sacerdoti, in unità di vocazione e di mutua e necessaria collaborazione nell’impegno apostolico, di carattere internazionale e necessitata, pertanto, di un’organizzazione e di una struttura di governo rispondente a questa esigenza di universalità.

Tuttavia, in quei primi anni della sua esistenza l’Opera si trovava in quello che il Fondatore chiamava «il periodo di gestazione» e vi erano, evidentemente, aspetti da precisare, man mano che la vita lo avesse richiesto. Qual era il margine d’indeterminazione nella configurazione dell’Opera? San Josemaría meditava a lungo su ciò che Dio gli chiedeva ed era cosciente del carattere approssimativo che avevano molte delle sue riflessioni riguardanti aspetti organizzativi. Lo annotava nei suoi quaderni di Appunti intimi, dove spesso troviamo frasi come «la vita stessa, a suo tempo, ci indicherà la strada», oppure «il Signore ispirerà la soluzione quando vorrà» o, con carattere generale, nel marzo 1930: «tutte le note scritte in queste schede sono un germe che assomiglierà all’essere completo forse come un uovo assomiglia al pulcino arrogante che un giorno uscirà dal suo guscio»[10].

Tra gli aspetti che sarebbero stati definiti con il tempo si trovava ovviamente la configurazione giuridica capace di comprendere l’Opus Dei con tutte le caratteristiche definitorie finora descritte. Per lunghi anni, il diritto vigente della Chiesa non offriva alcuna possibilità soddisfacente, eppure la vita continuava a scorrere come un corso d’acqua sempre crescente, ed era necessario inalvearlo nel modo più adatto possibile, oppure — con parole di San Josemaría — nel modo meno inadatto, in attesa di una soluzione definitiva: egli dovette, quindi, ricorrere a diverse configurazioni che bastassero per risolvere le necessità del momento; e, al tempo stesso, sentì il peso e la responsabilità di lasciare tutto predisposto perché l’Opus Dei raggiungesse la configurazione giuridica confacente alla sua natura.

Esporrò in seguito le tre configurazioni giuridiche che rivestì l’Opus Dei mentre il Fondatore fu in vita.

2. Configurazioni giuridiche in vita del Fondatore

2.1. Pia unione (1941)

Fino alla forzata parentesi della persecuzione religiosa, che raggiunse il suo apice durante la guerra civile spagnola (1936-1939), per l’Opus Dei erano bastate l’approvazione e la benedizione del Vescovo diocesano, Monsignor Leopoldo Eijo y Garay, senza alcun documento scritto[11]. Con la fine del conflitto poté prendere l’avvio il desiderio di San Josemaría di estendere l’Opera in diverse città della Spagna e poi in altre Nazioni ma, per metterlo in pratica, si rendeva necessario un riconoscimento ufficiale dell’Opus Dei, qualche atto formale che gli permettesse di presentarsi come ente riconosciuto dall’autorità ecclesiastica.

Inoltre, alcune vicende resero ancora più necessario il predetto riconoscimento. In effetti, la novità pastorale dell’Opus Dei aveva provocato ostilità e incomprensioni, che arrivarono a una vera campagna di calunnie contro il Fondatore e, in generale, contro l’Opera. Sono vicende dolorose, nelle quali San Josemaría vide eroicamente uno strumento di purificazione permesso da Dio affinché la carità e la comprensione verso tutti allignassero più profondamente nella sua anima e in quella di coloro che lo seguivano. Desidero concludere rapidamente questo argomento, e mi limiterò pertanto a citare alcune frasi delle lettere indirizzate nel 1941 dal Vescovo di Madrid-Alcalà, diocesi di incardinazione di San Josemaría, all’Abate coadiutore del Monastero di Montserrat, che aveva chiesto informazioni. In riferimento alle accuse di mancanza di stima verso gli ordini e le congregazioni religiose rivolte al Fondatore e ai membri dell’Opera, il Prelato scriveva: «Si tratta di una delle più gravi calunnie che hanno rivolto contro l’Opus Dei; le garantisco, Rev.mo Padre, che è una pura calunnia. Come potrebbero amare la Santa Chiesa senza amare anche lo stato religioso?... Lo amano, lo venerano, lo proclamano mezzo di salvezza per coloro che a questo sono chiamati da Dio; ma non sentono questa vocazione, bensì quella di santificarsi in mezzo al mondo ed esercitare in esso il loro apostolato»[12].

Pochi mesi dopo, il Vescovo di Madrid si rivolse di nuovo all’Abate di Montserrat con le seguenti parole: «Mi dica se non è persecuzione, e crudelissima, chiamare quest’Opera... massoneria, setta eretica, antro tenebroso che porta le anime inevitabilmente alla rovina; e chiamarne i membri iconoclasti e ipnotizzati, persecutori della Chiesa e dello stato religioso e con tanti altri complimenti di questo stile; e muovere contro di loro le autorità civili e promuovere la chiusura dei loro centri e l’incarcerazione del loro fondatore e la condanna a Roma; e quello che è più tragico e doloroso, spargere zizzania con tutti i mezzi, dal confessionale fino alla visita a casa delle famiglie di coloro che vogliono bene all’Opus Dei. Se questo non è persecuzione, e durissima, che cosa lo sarà mai?... Mi creda, Rev.mo Padre — concludeva la lettera —, è edificante e consolante lo spirito di santa gioia, di pace, di carità e di amorevole rassegnazione con cui i membri dell’Opus Dei accolgono la persecuzione e baciano le mani che li feriscono. E questo mi conferma ancor di più in ciò che ho detto in precedenza a V.R.: che l’Opus è davvero Dei»[13].

Dovendo, quindi, cercare per l’Opus Dei una figura giuridica prevista nel Codice di Diritto Canonico del 1917 allora vigente, il Fondatore non trovò altro che le associazioni di laici e, tra esse, la pia unione, che, con una formula legale molto ampia, poteva essere costituita per «esercitare qualche opera di pietà o di carità»[14] e non intaccava minimamente il carattere secolare degli appartenenti all’Opera, che continuavano ad essere comuni cristiani. Le pie unioni, poi, potevano essere erette o semplicemente approvate dall’autorità competente[15]. In una conversazione di San Josemaría con il Vescovo di Madrid si optò per la semplice approvazione, con la quale si raggiungeva lo scopo di ottenere un riconoscimento ufficiale dell’esistenza dell’Opus Dei da parte del Vescovo diocesano e, al tempo stesso, veniva meglio fatto risaltare il carattere provvisorio della predetta configurazione.

Con la coscienza di dover evidenziare, anche dal punto di vista giuridico, le caratteristiche essenziali dell’Opera, il Fondatore non si limitò a presentare la richiesta di approvazione, ma ad essa allegò un Regolamento e altri brevi documenti che contenevano un abbozzo di ciò che più avanti sarebbero stati gli Statuti dell’Opus Dei, formato allora da meno di cinquanta persone. In quei documenti si tratteggiava una visione generale dell’Opera d’ampio respiro, dei suoi fini, delle persone che la componevano e del regime di governo, già fin da allora previsto a livello universale e nazionale.

2.2. L’erezione diocesana del 1943

Nel 1943 il numero di appartenenti all’Opus Dei aveva raggiunto il centinaio. La realizzazione dell’Opera richiedeva la mutua cooperazione fra laici e sacerdoti e nei primi anni San Josemaría fece ricorso all’aiuto di alcuni sacerdoti, ma ben presto capì che essi potevano provenire solo dalle file dei laici dell’Opera. L’esistenza di questi sacerdoti era già prevista nei documenti allegati alla richiesta del 1941 di approvazione dell’Opus Dei come pia unione, e non si trattava di una semplice ipotesi, perché già allora alcuni membri stavano realizzando gli studi ecclesiastici in vista del sacerdozio. Si poneva tuttavia il problema dell’incardinazione e del titolo di ordinazione. Il Codice di Diritto Canonico del 1917, allora vigente, prevedeva due sole possibilità: ogni sacerdote doveva essere ascritto a una diocesi o a un istituto religioso ed erano esclusi nel modo più assoluto i cosiddetti chierici vaghi[16]. Il Diritto Canonico esigeva, inoltre, il titolo di ordinazione, che garantisse il congruo sostentamento dei chierici per tutta la vita[17]. Per i chierici secolari un titolo previsto era quello risultante dalla costituzione di un patrimonio o di una pensione perpetua[18], che permetteva l’incardinazione del sacerdote in una diocesi rimanendo tuttavia libero di dedicarsi a compiti diversi dal servizio della stessa[19]. Il Vescovo di Madrid offrì a San Josemaría la possibilità di usufruire di questo titolo, che però comportava delle difficoltà insormontabili, perché non offriva garanzie di stabilità per un’istituzione nata con vocazione all’universalità e avrebbe inoltre comportato una spesa insostenibile.

In questa situazione d’incertezza, il 14 febbraio 1943, si schiarì ulteriormente l’orizzonte contemplato dal Fondatore il 2 ottobre 1928 e, cioè, la visione dell’Opus Dei come iniziativa apostolica la cui realizzazione richiede la mutua e piena cooperazione tra laici e sacerdoti. San Josemaría percepì allora che, come parte integrante dell’Opera, vi doveva essere un nucleo sacerdotale che rendesse presente nell’intero organismo dell’istituzione l’azione capitale di Cristo.

Tuttavia non era facile tradurre in termini giuridici la luce ricevuta. Si trattava, in effetti, di costituire, all’interno del fenomeno pastorale dell’Opera, un corpo di sacerdoti che rimanessero incardinati ad essa senza modificare la loro condizione secolare per lo svolgimento della cura pastorale e per cooperare con i membri laici nelle attività apostoliche.

Ho già fatto presente che il Codice di Diritto Canonico del 1917 solo prevedeva per i chierici la possibilità di essere ascritti a una diocesi o a un istituto religioso. Vi erano tuttavia alcuni casi di equiparazione in iure alle diocesi o agli istituti religiosi, stabiliti dallo stesso Diritto. Questa equiparazione fu applicata alle allora chiamate società di vita comune senza voti — oggi società di vita apostolica —, le quali non erano religiosi, ma potevano ascrivere sacerdoti, appunto perché il loro regime giuridico era stato parzialmente equiparato a quello dei religiosi[20].

D’accordo con il Vescovo di Madrid, San Josemaría chiese e ottenne di «trasformare un piccolo nucleo della nostra Opera, formato dai sacerdoti e da alcuni laici in preparazione prossima al sacerdozio, in una società di vita comune senza voti, la Società Sacerdotale della Santa Croce»[21]. L’erezione di questa piccola parte dell’Opera come società di diritto diocesano avvenne l’8 dicembre 1943, e ad essa sarebbe rimasta inseparabilmente unita, con il nome di Opus Dei, l’associazione di fedeli approvata con questa denominazione nel 1941, della quale avrebbero continuato a far parte i membri della Società Sacerdotale della Santa Croce.

Certamente la soluzione non rifletteva con esattezza la realtà del fenomeno pastorale ed era necessariamente provvisoria, giacché — con parole del Fondatore — «l’Opus Dei sembrava una cosa secondaria: un’associazione propria e inseparabile della Società Sacerdotale della Santa Croce, quando in realtà nessuna di queste due parti della nostra Opera è secondaria. Entrambe sono principali»[22].

Ciò tuttavia consentì l’ordinazione dei primi tre sacerdoti ascritti alla società, tra cui il mio carissimo predecessore Monsignor Álvaro del Portillo, il 25 giugno 1944, e di altri nel 1946.

2.3. Istituto secolare

La fine della seconda guerra mondiale (1945) rese possibile l’avvio dell’estensione dell’Opus Dei in altre Nazioni. Ciò metteva in primo piano la convenienza di un riconoscimento dell’Opera da parte della Santa Sede che assicurasse la sua struttura universale con un regime di governo interdiocesano e unitario. Nel febbraio 1946 il Fondatore inviò a Roma don Álvaro del Portillo, il suo collaboratore più fidato, perché conducesse le trattative presso gli organismi competenti della Curia Romana. Visto che, secondo la legislazione vigente, non era possibile ottenere una configurazione giuridica adeguata nell’ambito della Sacra Congregazione del Concilio — oggi Congregazione per il Clero —, il Fondatore decise di rivolgersi alla Sacra Congregazione dei Religiosi, unico Dicastero romano idoneo a concedere il regime desiderato. La soluzione prospettata era quella di chiedere il riconoscimento pontificio — il cosiddetto decretum laudis — per la società di diritto diocesano eretta nel 1943. Tuttavia, San Josemaría non poteva dirsi contento di questa configurazione giuridica e ottenne che il problema posto dall’Opus Dei fosse studiato nel contesto di quelle che genericamente erano chiamate «nuove forme di vita cristiana», che sboccò nella Costituzione Apostolica Provida Mater Ecclesia, del 2 febbraio 1947, con la quale veniva creata la figura degli istituti secolari. Entro questo ambito, il 24 febbraio dello stesso anno, l’Opus Dei con la Società Sacerdotale della Santa Croce ricevette il decretum laudis come istituto secolare di diritto pontificio e, successivamente, il 16 giugno 1950, l’approvazione definitiva della Santa Sede. Ciò comportava un notevole passo in avanti, giacché l’ente eretto era l’intero Opus Dei e non più, come prima, la Società Sacerdotale della Santa Croce con un’associazione (appunto l’Opus Dei) ad essa inseparabilmente unita. Erano anche esplicitamente riconosciute la piena secolarità e la condizione di comuni cristiani degli appartenenti, ma ne seguivano anche limiti e inconvenienti.

Un primo inconveniente provenne dal fatto che, come istituto secolare, l’Opus Dei fosse alle dipendenze della Sacra Congregazione dei Religiosi, la quale intese la secolarità in un senso molto ampio e ammise nel novero degli istituti secolari non poche istituzioni che avevano in realtà le caratteristiche proprie di una congregazione religiosa[23]. Ciò fu fonte di confusione e motivò, per esempio, che gli appartenenti all’Opera trovassero difficoltà nella messa in pratica delle loro libere scelte in materie professionali e sociali, perché incombeva su di essi il sospetto che agissero sotto la guida dei dirigenti dell’Opus Dei.

Inoltre, l’approvazione dell’Opus Dei come istituto secolare comportava una serie di eccezioni al diritto comune, che ben potevano qualificarsi come privilegio: soprattutto la presenza nella stessa istituzione di uomini e donne in unità di regime e di spirito, nonché di persone sia celibi che sposate compartecipi di una stessa chiamata.

A ciò si aggiunga che, dal punto di vista giuridico, l’Opus Dei veniva collocato nel contesto degli stati di perfezione, estraneo alla sua sostanza spirituale, imperniata sulla ricerca della santità e l’esercizio dell’apostolato nel proprio stato e condizione.

A motivo di tutto ciò, il 2 ottobre 1958 San Josemaría indirizzò una lettera ai membri dell’Opus Dei, nella quale, dopo aver ricordato le caratteristiche essenziali dell’Opera, asseriva: «Di fatto non siamo un Istituto Secolare, né di qui in avanti ci può essere applicato questo nome»[24]. E aggiungeva: «Informerò la Santa Sede, al momento opportuno, di questa situazione, di questa preoccupazione. E al tempo stesso dichiarerò che desideriamo ardentemente che si provveda a dare una soluzione conveniente, che non costituisca per noi un privilegio — cosa che ripugna al nostro spirito e alla nostra mentalità —, né introduca modifiche quanto alle attuali relazioni con gli Ordinari del luogo»[25].

3. Verso una configurazione giuridica definitiva

3.1. Negli anni ’60

Nel 1960, alla vigilia del Concilio Vaticano II, San Josemaría ritenne giunto il momento di compiere un altro tentativo per ottenere una configurazione giuridica capace di comprendere l’Opus Dei d’accordo con la sua natura, fuori dell’ambito degli istituti di perfezione, senza privilegi né eccezioni al Diritto comune. Fece quindi pervenire al Segretario di Stato, Card. Domenico Tardini, una consultazione ufficiosa, affinché egli valutasse la possibilità di proporre al Papa Giovanni XXIII la revisione dello statuto giuridico dell’Opus Dei. La soluzione proposta può essere riassunta così:

a) In primo luogo, che l’Opus Dei passasse a dipendere dalla Sacra Congregazione Concistoriale (oggi Congregazione per i Vescovi), mediante la creazione di una prelatura nullius per la cui sede territoriale sarebbe bastata una sola parrocchia[26].

b) Si prospettava inoltre che fosse confermato il diritto particolare dell’Opus Dei, che già godeva dell’approvazione pontificia, e che l’elezione del presidente generale dell’Opera richiedesse la conferma della Santa Sede, la quale, a sua volta, lo avrebbe nominato prelato di quel piccolo territorio.

Il Segretario di Stato comunicò a San Josemaría che non riteneva opportuno inoltrare in quel momento una richiesta formale: Siamo ancora molto lontani, aggiunse. Il commento di San Josemaría fu: «È stato gettato il seme, che prima o poi non mancherà di fruttificare».

Meno di due anni dopo, nel gennaio 1962, il Fondatore presentò al Santo Padre Giovanni XXIII una richiesta formale di revisione dello statuto giuridico dell’Opera. Le soluzioni prospettate erano due:

a) Erigere l’Opus Dei in prelatura nullius, fornendogli un territorio, sia pure simbolico, cui i sacerdoti sarebbero incardinati e dichiarando al tempo stesso che, d’accordo con la normativa vigente[27], il diritto particolare di quella prelatura sarebbe quello già approvato per l’Opus Dei.

b) Affidare al Presidente pro tempore dell’Opera una prelatura nullius già esistente o da crearsi, con facoltà di incardinare ad essa i sacerdoti dell’Opus Dei.

Mentre la seconda possibilità proposta coincide con quella presentata del 1960, la prima va oltre, perché prevede l’erezione in prelatura dell’Opus Dei in quanto tale.

In una nota complementare il Fondatore comunicava che la sistemazione giuridica da lui intravista sin dal 1928 era qualcosa di simile ai vicariati castrensi, composti da sacerdoti secolari e da laici, i quali hanno bisogno, per le loro peculiari circostanze, di un trattamento giuridico ecclesiastico e di una assistenza spirituale adeguati. Nel nostro caso — aggiungeva — le peculiarità provengono dalle esigenze di svolgere l’apostolato secolare in tutte le schiere della società con una formazione spirituale e intellettuale specifica[28].

Parimenti in questo caso la risposta fu negativa. Nelle due lettere redatte sulla questione nel 1961 e 1962 San Josemaría insiste accoratamente, dopo matura riflessione, sulla responsabilità che gli incombe di essere fedele al carisma ricevuto: «Di fronte a nostro Signore — scrive — ho il dovere di impiegare tutti i mezzi leciti, soprannaturali e umani, per compiere la Santa Volontà di Dio per quel che concerne lo statuto della sua Opera, così come Lui me l’ha fatta capire... Non sono un giovanotto che scrive alla leggera: comincio ad avere molti anni alle spalle, e Dominus prope est (Fil 4,5): per me il giudizio del Signore è vicino»[29].

Il 14 febbraio 1964 San Josemaría fece pervenire al Santo Padre Paolo VI una relazione di coscienza, nella quale, tra gli altri argomenti, inseriva alcuni accenni all’assetto giuridico dell’Opus Dei. Pochi mesi dopo fu ricevuto in Udienza dal Papa, parlarono del problema istituzionale e conclusero che era opportuno aspettare la fine del Concilio Vaticano II.

3.2. Il Congresso Generale speciale (1969-1970) e il nuovo Codice di diritto particolare dell’Opus Dei

Alla luce delle nuove prospettive aperte dal Concilio recentemente concluso[30], San Josemaría indisse un Congresso Generale speciale dell’Opus Dei, che si svolse in due parti, nel 1969 e 1970. Egli intese questo Congresso non come un’adunanza di tecnici per profilare la soluzione giuridica, ma come una profonda riflessione di tutto l’Opus Dei, in unione con il Fondatore, sulla propria natura e sulle proprie caratteristiche. Tuttavia, accogliendo il suggerimento presentato in una proposta, all’inizio della seconda parte, e cioè nel 1970, San Josemaría comunicò al Congresso di aver costituito una commissione tecnica di specialisti, presieduta da don Álvaro del Portillo e composta da due sottocommissioni: una giuridico-canonica e un’altra teologica. Concluse le sessioni del Congresso, la predetta commissione tecnica continuò i suoi lavori, di modo che il 25 giugno 1973 San Josemaría, ricevuto in udienza da Paolo VI, poté informare il Papa sull’andamento dei lavori e fu incoraggiato dal Romano Pontefice a proseguire fino al loro compimento. Finalmente, il 1º ottobre 1974, il Fondatore poté approvare il progetto del nuovo codice di diritto particolare dell’Opus Dei, nel quale erano messi tra parentesi i termini e le disposizioni che, richiesti dalla configurazione giuridica tuttora in vigore, avrebbero dovuto essere espunti con il nuovo auspicato assetto.

San Josemaría morì santamente il 26 giugno 1975 e non poté vedere realizzato il desiderio che era stato per tanti anni oggetto della sua sollecitudine, della sua preghiera e della sua azione. Per quanto concerne la storia successiva, devo lasciare la parola all’Em.mo Card. Julián Herranz, che terrà la prossima relazione.

3.3. Riepilogo

Nel corso della mia esposizione ho cercato di mettere in evidenza da una parte i tratti definitori dell’Opus Dei e, dall’altra, i passi giuridici compiuti dal Fondatore per ottenere una configurazione che, senza mai cedere su quei tratti irrinunciabili, permettesse all’Opera di svolgere la sua missione nelle diverse fasi del suo sviluppo secondo le possibilità limitate offerte dal diritto vigente.

Posso dire in sintesi che l’assetto già intravisto da San Josemaría fin dall’inizio e verso il quale diresse i suoi sforzi doveva rispondere, senza ricorrere a privilegi o eccezioni, alle caratteristiche essenziali dell’Opus Dei, vale a dire:

— Esso è un’unità organica e indivisibile, composta da uomini e donne, celibi e sposati, fedeli comuni e comuni cittadini, tutti con la stessa vocazione, con lo stesso grado di appartenenza all’Opus Dei, senza alcuna distinzione.

— Nell’Opera, la distinzione fra sacerdoti e laici è la stessa che vige nella struttura della Chiesa. Ben si può applicare ad essa il dettato della Costituzione dogmatica Lumen gentium, n. 10: «Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale [quantunque differiscano essenzialmente e non già di grado] sono ordinati l’uno all’altro». E, nel n. 30 della stessa Costituzione dogmatica, leggiamo: «I sacri Pastori sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli tutta la missione della salvezza che la Chiesa ha ricevuto nei confronti del mondo, ma che il loro compito magnifico è di pascere i fedeli e riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nel modo loro proprio, all’opera comune». Si tratta quindi non di una cooperazione subordinata dei laici nei compiti dei sacerdoti, ma di una cooperazione mutua, dei laici con i sacerdoti e dei sacerdoti con i laici, per realizzare insieme l’opera comune[31].

— L’Opus Dei ha bisogno di un’organizzazione universale di governo e, nelle sue prospettive per un assetto futuro, San Josemaría prevedeva che le relazioni con la gerarchia ecclesiastica territoriale continuassero ad essere quelle già vigenti secondo la configurazione precedente, senza mai pretendere una maggiore autonomia, che sarebbe stata contraria alla volontà di Dio percepita dal Fondatore.

Tutto ciò si è avverato con l’erezione come Prelatura personale. In questa giornata di commemorazione e di ringraziamento al Signore non mi resta che esprimere la riconoscenza, mia e di tutto l’Opus Dei, al Servo di Dio Giovanni Paolo II, che procedette all’erezione della Prelatura, a Monsignor Álvaro del Portillo, fedelissimo successore di San Josemaría, che guidò l’Opera e lavorò instancabilmente per ottenere che si avverasse il desiderio del Fondatore, e a quanti ad esso hanno contribuito nel corso di molti anni con la loro preghiera, il loro sacrificio e il loro lavoro.

[1] In alcune occasioni compaiono espressioni come ricevere la luce o l’illuminazione, ecc.

[2] Per un’esposizione più ampia cfr. A. DE FUENMAYOR - V. GÓMEZ-IGLESIAS - J.L. ILLANES, L’itinerario giuridico dell’Opus Dei. Storia e difesa di un carisma, Giuffrè editore, Milano 1991. La redazione di questo libro fu diretta e seguita passo passo dal mio carissimo predecessore Monsignor Álvaro del Portillo, che volle contare anche sulla mia collaborazione.

[3] Il primo documento autografo di San Josemaría esistente su questa data è del 2 ottobre 1931. Egli scrive: «Esattamente tre anni or sono... ricevetti l’illuminazione su tutta l’Opera» (Apuntes íntimos, n. 306). Gli Apuntes íntimos sono quaderni nei quali il Fondatore prendeva nota delle proprie esperienze interiori, delle idee che sorgevano nella sua preghiera, ecc. Il primo quaderno è perduto. Il secondo inizia nel marzo 1930.

[4] Lettera 29-XII-1947/14-II-1966, n. 23.

[5] San Josemaría considerò lavoro professionale, e di grande importanza sociale, quello della donna che dedica tutta la propria attività alla cura della famiglia e della casa.

[6] Apuntes íntimos, n. 154.

[7] Ibid., n. 158.

[8] Istruzione, 19-III-1934, nn. 14-15.

[9] Cfr. Apuntes íntimos, n. 153 (2-II-1931), n. 220 (10-VIII-1931) e n. 422 (29-XI-1931).

[10] Apuntes íntimos, n. 14.

[11] San Josemaría agì fin dal primo momento in stretta unione con il suo Vescovo. Ne rende testimonianza lo stesso Monsignor Eijo y Garay in una lettera del 24 maggio 1941 a Dom Aurelio María Escarré, Abate coadiutore di Montserrat, nella quale afferma che l’Opus Dei, «da quando è stato fondato nel 1928, è nelle mani della Chiesa: l’Ordinario diocesano, vale a dire il mio Vicario generale, e io conosciamo e, se necessario, dirigiamo tutti i suoi passi. I suoi primi vagiti e i suoi attuali gemiti risuonano nelle nostre orecchie e... nel nostro cuore. Poiché, mi creda Rev.mo Padre Abate, l’Opus è davvero Dei, fin dalla sua prima idea e in tutti i suoi passi e attività» (la lettera fa parte della fitta corrispondenza tra il Vescovo e l’Abate di Montserrat; l’originale si conserva nell’archivio dell’abbazia). «I suoi attuali gemiti»: con queste parole Monsignor Eijo y Garay si sta riferendo ai gravi attacchi allora in atto contro San Josemaría. Nel testo successivo accennerò brevemente a questi attacchi.

[12] Lettera del 21-VI-1941 di Monsignor Eijo y Garay all’Abate Aurelio Escarré (cfr. nota 11).

[13] 13. Lettera dell’1-IX-1941 di Monsignor Eijo y Garay all’Abate Aurelio Escarré (cfr. nota 11).

[14] 14. CIC 1917, can. 707 § 1.

[15] 15. Cfr. CIC 1917, can. 708.

[16] 16. Cfr. CIC 1917, can. 111.

[17] 17. Cfr. CIC 1917, can. 974 § 1, n. 7.

[18] Cfr. CIC 1917, can. 979 § 2.

[19] Cfr. CIC 1917, can. 128.

[20] Cfr. CIC 1917, cann. 673-681.

[21] SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Lettera 14-II-1944, n. 12.

[22] SAN JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Lettera 29-XII-1947/14-II-1966, n. 160.

[23] Si può trovare questa stessa affermazione nelle opere di A. Oberti, J. Beyer e di molti altri studiosi che seguirono fin dai primi anni l’evoluzione degli istituti secolari.

[24] Lettera 2-X-1958, n. 9 (il corsivo è dell’originale).

[25] Ibid., n. 11.

[26] Per questa possibilità si era aperto uno spiraglio con l’erezione della Mission de France come prelatura nullius il 15-VIII-1954: AAS 46 (1954), pp. 567-574.

[27] Cfr. CIC 1917, can. 319 § 2.

[28] In una testimonianza redatta dopo la morte del Fondatore, Pedro Casciaro ricorda che, nel 1936, San Josemaría gli segnalò due lapidi funerarie in una chiesa di Madrid e disse all’incirca: «Lì c’è la futura soluzione giuridica dell’Opera». Le lapidi appartenevano a due Vicari generali castrensi.

[29] Lettera 25-V-1962, nn. 26 e 34.

[30] La chiusura del Concilio Vaticano II avvenne l’8 dicembre 1965. Il 6-VIII-1966 fu promulgato il Motu proprio Ecclesiae Sanctae, che nella sua Parte I conteneva le disposizioni esecutive sui decreti conciliari Christus Dominus e Presbyterorum Ordinis. Nel n. 4 si profilavano le norme sulle prelature personali (AAS 58 [1966], pp. 760-761).

[31] Questo concetto sarà qualificato come «cooperazione organica» nel CIC 1983, can. 296.

Romana, n. 46, Gennaio-Giugno 2008, p. 83-94.

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