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ABC (Madrid) 6-X-2007 “Lo splendore della carità”, articolo pubblicato su “ABC”

Cinque anni fa, il 6 ottobre 2002, davanti a una variopinta moltitudine di persone provenienti da tutto il mondo, Giovanni Paolo II proclamò la santità di Josemaría Escrivá, Fondatore dell’Opus Dei. Il giorno dopo, nell’udienza tenuta nella stessa Piazza San Pietro con i partecipanti alla canonizzazione, definì san Josemaría come «il santo dell’ordinario». Con questa espressione sintetizzava il nucleo del messaggio che questo sacerdote fedele aveva predicato: le attività comuni — la vita familiare, il lavoro professionale, le relazioni sociali — sono il sentiero che porta al Cielo, se si cammina con gli occhi volti a Dio e col desiderio di aiutare il prossimo.

Ho avuto la fortuna — lo considero un dono di Dio — di essere un testimone diretto, per un quarto di secolo, della sollecitudine di san Josemaría nell’aiutare molte persone a superare la frattura tra la vita di fede e l’esistenza ordinaria. Fin dagli inizi dell’Opus Dei, il 2 ottobre 1928, ha insegnato che tutte le realtà umane nobili, in quanto amate da Dio e fatte proprie da Cristo nell’Incarnazione, possono essere vie di santità. «C’è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ciascuno di voi scoprire» (Omelia Amare il mondo appassionatamente, 8-X-1967). Lo trasmetteva — a livello teologico o nella forma di un consiglio pratico — a donne e a uomini dei più diversi ambiti professionali e sociali, in conversazioni personali o in incontri di massa, come nell’omelia appena citata, predicata davanti a più di ventimila persone nel campus dell’Università di Navarra.

Fondere vita di fede e vita ordinaria è questione d’amore. Quando l’amore a Dio è la causa delle azioni del cristiano, diventa naturale cominciare, portare avanti e concludere le attività con il pensiero posto nel Signore. La fabbrica, l’ufficio, la biblioteca, il laboratorio, la bottega, le pareti domestiche, si trasformano allora nello scenario del dialogo fra il Creato-re e la creatura, fra un Padre che ama alla follia i propri figli e un figlio o una figlia che san-no di essere amati da Dio. Tutto diventa materia di orazione. Nello stesso modo, quando si coltiva un amore autentico verso il prossimo, si sente la chiamata a impregnare col balsamo della carità le relazioni familiari, sociali e professionali.

È un messaggio pienamente attuale e singolarmente importante in questi momenti nei quali per un verso si diffida delle ideologie e, per l’altro, si constatano continuamente le conseguenze negative di una serie di azioni guidate dalla logica dell’interesse o del potere. La carità cristiana non consiste mai in qualcosa di strumentale, non cerca di ottenere altri obiettivi: l’amore è gratuito. Mettere in pratica la carità nella vita ordinaria — dice san Josemaría — richiede «cuore grande, sentire le preoccupazioni di quelli che ci circondano, saper perdona-re e comprendere, sacrificarsi in unione a Gesù Cristo per tutte le anime» (È Gesù che passa, n. 158).

Come ha ricordato Benedetto XVI nella sua prima Enciclica, la carità costituisce l’opzione fondamentale della vita di un cristiano. Nel quinto anniversario della canonizzazione di san Josemaría Escrivá, il mio cuore e la mia mente vanno anche ai tanti fedeli e cooperatori della Prelatura dell’Opus Dei che, insieme ai loro amici e colleghi, spendono la loro vita in iniziative sociali e assistenziali di profonda natura cristiana in tanti paesi dei cinque continenti.

Seguono in tal modo le orme di quella magnanimità con la quale san Josemaría promosse tante opere di evangelizzazione e di promozione umana a favore dei più poveri, come ha ricordato Giovanni Paolo II nel suo discorso il giorno successivo alla canonizzazione. Alcune di queste attività sono nate proprio per celebrare quell’evento ecclesiale, con lo stile che sarebbe piaciuto a san Josemaría: è il caso del Centro di cure palliative Laguna, a Madrid, o del progetto di promozione educativa Harambee, desti-nato ad avviare alcune attività di interesse sociale nei paesi dell’Africa subsahariana. Cinque anni dopo, i frutti prodotti da queste iniziative si moltiplicano di giorno in giorno, sia in quelli che le promuovono sia in quelli che ne traggono beneficio.

Comunque, la chiamata a esercitare la carità cristiana si dimostra ugualmente stimo-lante per chi non si dedica intensamente o esclusivamente alle attività di tipo assistenziale. La carità non si limita ad essere una virtù teorica, e nella vita quotidiana è inseparabile dall’affetto umano: «Non abbiamo un cuore per amare Dio — diceva san Josemaría —, e un altro cuore per amare le creature: il nostro povero cuore, di carne, ama con un affetto umano che, se è unito all’amore di Cristo, è anche soprannaturale. Questa, non altra, è la carità che dobbiamo far crescere nell’anima» (Amici di Dio, n. 229).

In questi tempi purtroppo ricchi di conflitti — a livello familiare, nazionale e internazionale —, è urgente sottolineare che mettere in pratica la carità nella vita ordinaria significa, in gran misura, offrire e accettare il perdono. Il perdono apre l’unica via possibile per tra-sformare un campo di battaglia in un luogo di cooperazione e solidarietà. Esercitarsi nella comprensione, nel perdono dato e ricevuto, comporta sicuramente un percorso faticoso, nel quale è necessario ricominciare sempre, ma traccia un sentiero che alimenta la speranza. Al contrario, quando manca una cultura del perdono, diventa difficile tenere la famiglia unita, lavorare per un obiettivo comune nella vita della città, seminare pace e gioia nelle relazioni internazionali.

Per un cristiano, oltretutto, la carità costituisce il linguaggio più adatto a trasmettere la fede. Come insegna Benedetto XVI: «L’amore, nella sua purezza e nella sua gratuità, è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo» (Deus Caritas est, n. 31). La evangelizzazione non è mai una semplice comunicazione intellettuale. La scoperta delle ricchezze della fede non poche volte dev’essere preceduta da un incontro personale: molti si avvicinano a Gesù Cristo, in un contesto di libertà, quando percepiscono l’affetto dei cristiani. In questo senso, amare gli altri nella vita quotidiana, con manifestazioni concrete, ci rivela un modo di conoscere e di farsi conoscere. Perciò san Josemaría affermava che la evangelizzazione è un compito adatto a persone che hanno il cuore grande e le braccia aperte.

Il Concilio Vaticano II ha dichiarato che uno dei più gravi errori del mondo moderno consiste proprio nel divorzio tra la fede e la vita quotidiana (cfr. Gaudium et spes, 43). Cinque anni dopo la canonizzazione di san Josemaría, «il santo dell’ordinario», supplico Dio che, per sua intercessione, aiuti in modo speciale noi cristiani a unire nella nostra anima l’amore a Dio con l’affetto ai nostri fratelli e sorelle, a tutte le donne e a tutti gli uomini: che ci sostenga nel nostro impegno di illuminare ogni nostra giornata con lo splendore della carità.

+ Mons. Javier Echevarría

Prelato dell’Opus Dei

Romana, n. 45, Luglio-Dicembre 2007, p. 287-289.

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