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La missione della Chiesa verso le realtà temporali

Antonio Miralles

Facoltà di Teologia

Pontificia Università della Santa Croce

1. Chiarimenti introduttivi

Con l’espressione «missione della Chiesa» si vuole indicare il fine a cui deve tendere la sua attività, la quale non comprende soltanto le realtà ultime che si avranno con la seconda venuta gloriosa di Cristo e la risurrezione finale, ma anche le realtà temporali, proprie del tempo presente della Chiesa pellegrinante verso la patria definitiva. In questo senso il magistero della Chiesa parla di «informare e perfezionare con spirito cristiano l’ordine delle realtà temporali»[1]; ma usa anche l’espressione equivalente di «realtà terrene»[2].

Le realtà temporali in quanto raggiunte dalla missione della Chiesa appaiono anche come equivalenti al «mondo». Esso non è solo il luogo dove vive e agisce la Chiesa, ma è anche termine della sua attività in compimento della sua missione.

La missione della Chiesa è responsabilità di tutti i fedeli, nessuno escluso. Come insegna il Concilio: «Nostro Signore Gesù, “che il Padre santificò e inviò nel mondo” (Gv 10,36), rende partecipe tutto il suo corpo mistico di quella unzione dello Spirito con la quale è stato unto: in esso, infatti, tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale […] Non vi è dunque nessun membro che non abbia parte nella missione di tutto il corpo»[3]. Tuttavia la missione non si svolge indistintamente attraverso attività comuni a tutti, ma vi è diversità di funzioni entro l’unità organica di tutto il popolo di Dio. Perciò diventerebbe riduttivo e fuorviante considerare il compimento della missione, sia verso la salvezza eterna degli uomini, sia verso le realtà temporali, soltanto come attività di una categoria di persone nella Chiesa, sia dei sacri ministri, sia dei laici, sia dei religiosi.

2. Cenni biblici

Per quanto riguarda la missione della Chiesa, nel Nuovo Testamento non appaiono esplicitati i concetti di realtà temporali, o di realtà terrene, o di ordine sociale; invece si parla spesso del mondo, designato come cosmo, inteso soprattutto come il mondo dell’uomo, il genere umano e la sua dimora, la scena della storia[4].

Secondo l’epistolario paolino, tutte le cose create sono buone[5], ma il mondo è attualmente soggetto alla forza negativa del peccato e opposto a Dio[6]. Tuttavia questo giudizio negativo sul mondo non è assoluto, anche se frequente, perché il mondo è oggetto della redenzione operata da Cristo. «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo» (2 Cor 5,19). I cristiani si trovano nel mondo e non sono chiamati ad uscirne[7], ma a diffondervi luce[8].

Tra le cose di questo mondo c’è da annoverare l’ordine sociale. Un suo elemento determinante è la pubblica autorità e san Paolo offre nella Lettera ai Romani un preciso insegnamento circa l’atteggiamento di rispetto e di obbedienza dei cristiani nei suoi riguardi[9]. Di primo acchito potrebbe sembrare un programma d’immobilismo socio-politico, di pieno adattamento al sistema. Ma a ben vedere, la parenesi dell’Apostolo assegna ai cristiani una missione fortemente trasformatrice. Egli infatti, pur raccogliendo motivazioni di valenza temporale, ribadisce ripetutamente che la sottomissione all’autorità risponde all’ordine stabilito da Dio: va vissuta al cospetto di Dio, è una questione di coscienza. Obbedire all’autorità civile e pagarle i tributi è obbedire e pagare a un servitore di Dio. L’ordine sociale ne risulta trasformato, non attraverso un’azione diretta della comunità cristiana sulle strutture sociali, ma introducendovi un nuovo spirito attraverso l’agire coerentemente cristiano dei fedeli. In altri brani delle lettere paoline, altri elementi dell’ordine sociale risultano trasformati secondo la stessa modalità: il rapporto fra gli sposi[10]; la condizione degli schiavi[11]; il valore delle ricchezze[12]; la pace sociale[13]; il valore del lavoro[14]. La prima Lettera di san Pietro offre un insegnamento parallelo[15].

Pur essendo prevalente l’attenzione di san Paolo al mondo umano in rapporto alla salvezza, nondimeno egli si sofferma a descrivere sommariamente la situazione attuale della creazione materiale e ad assicurarne la partecipazione al destino degli uomini redenti[16]. Quando avverrà la risurrezione gloriosa dei corpi, la creazione materiale sarà anche liberata dalla caducità e dalla corruzione per entrare in uno stato confacente alla libertà gloriosa dei figli di Dio[17]. L’orizzonte è escatologico, e l’Apostolo non accenna a un compito dei cristiani nel tempo presente riguardo al mondo materiale, né per affermarlo né per negarlo.

3. Le prime proposte dottrinali sulla missione della Chiesa verso le realtà temporali

Si è dovuto attendere il XX secolo perché la missione della Chiesa verso l’ordine delle realtà terrene fosse oggetto, in termini generali, di una specifica riflessione teologica. In questo capitolo dottrinale la vita è andata parecchio in avanti rispetto alla teologia. Frutto della vita era stata la profonda trasformazione sociale e culturale prodotta dalla cristianizzazione sia delle terre dell’Impero Romano e di altre ad esso vicine, nei primi secoli della Chiesa, sia dei popoli germanici, slavi ed altri, nei secoli posteriori. Ma né i Padri della Chiesa né i teologi medievali e dell’età moderna misero a tema questo argomento teologico, anche perché neppure si confrontarono con lo studio della missione della Chiesa in prospettiva generale[18].

Negli ultimi decenni del XIX secolo, la sollecitudine di Papa Leone XIII per la scristianizzazione di non pochi settori della società civile lo spinse a pubblicare una serie di Encicliche su aspetti concreti dell’ordine sociale e politico; ne spicca per notorietà l’Enciclica Rerum novarum (15 maggio 1891). Tuttavia non vi sviluppò una dottrina generale sulla missione della Chiesa riguardo alle realtà temporali, anche se in diversi momenti sottolineava l’influsso benefico della Chiesa in questo campo, pur perseguendo essa direttamente la salvezza delle anime[19]. Qualcosa di simile accadde con l’insegnamento sociale dei successivi Pontefici. Fino al Concilio Vaticano II non si è avuta una esposizione generale e più sistematica del Magistero sulla missione della Chiesa verso le realtà temporali.

L’opera dei teologi su questo argomento cominciò a fare frutti di una certa maturità verso la metà del XX secolo[20]. Si prese coscienza che le realtà temporali rientrano in modo originario nel disegno divino di salvezza e che per comprenderle entro tale disegno occorre passare per l’uomo. Si vedeva il bisogno di distinguere tra il piano spirituale e quello temporale, ma vi erano parecchie divergenze sui criteri di distinzione. Un punto assodato era il compito del Magistero di illuminare il retto ordine delle realtà terrene in quanto rientrano nel disegno divino, come anche diventò convinzione comune il protagonismo dei laici nel cercare in modo effettivo tale ordine. Si diffuse l’idea della consecratio mundi. L’espressione fu usata da Pio XII, per dire che la consecratio mundi è essenzialmente opera dei laici[21]. Tuttavia restava aperta la determinazione del contenuto di tale espressione; come anche rimaneva controversa la continuità o discontinuità tra il mondo presente e il Regno futuro, con diverse soluzioni sul valore dell’attività umana nel tempo.

Non vi fu soltanto una riflessione teologica, la quale, pur importante, non riesce a diventare efficace finché non si traduce in concreta azione dei fedeli. Decisivo al riguardo fu il fatto che molti cattolici — singolarmente o in collaborazione tra loro e con altri uomini — intraprendessero, consapevolmente e con spirito di fede, un’azione volta a perfezionare le realtà temporali. La fede ci spinge a vedervi l’impulso e il sostegno dello Spirito Santo, che anima la vita della Chiesa. Una rassegna di tale azione dei cattolici eccederebbe di molto i limiti di un articolo, tuttavia, tenendo conto della rivista in cui esso si pubblica, farò alcuni accenni al messaggio spirituale e all’azione di san Josemaría Escrivá, nonché alla loro ripercussione in questo ambito della missione della Chiesa.

L’opera di san Josemaría e il suo messaggio si identificano con l’inizio e il primo sviluppo dell’Opus Dei. Il traguardo della missione della Chiesa verso le realtà temporali e la via per raggiungerlo erano espressi, in modo sommario, in uno dei punti del suo noto libro Cammino, pubblicato nel 1939: «Un segreto. Un segreto a gran voce: queste crisi mondiali sono crisi di santi. Dio vuole un pugno di uomini “suoi” in ogni attività umana. Poi... pax Christi in regno Christi, la pace di Cristo nel regno di Cristo»[22]. Nel disegno di Dio ogni attività umana deve essere ricapitolata in Cristo[23], e san Josemaría vede che ciò accadrà attraverso i fedeli uniti a Cristo, docili alla sua azione. Quell’essere presenti in ogni attività umana è inteso in senso professionale, come appare chiaro da questo altro brano del medesimo libro: «Perché regni Lui [Cristo] nel mondo sono necessarie persone che, con lo sguardo rivolto al cielo, si dedichino con prestigio a tutte le attività umane e, per mezzo di esse, esercitino in silenzio — e con efficacia — un apostolato di carattere professionale»[24].

Le attività professionali sono, tra le attività umane, quelle più caratteristiche dell’ambito delle realtà temporali. Il pieno impegno in esse, con un senso di missione, ben più di un enunciato teorico stampato in un libro, era una realtà vissuta e promossa da san Josemaría tra uomini e donne di ogni condizione e ceto sociale. In questo modo la teologia della missione della Chiesa verso le realtà temporali diventava teologia incarnata nella vita di cristiani comuni, come egli spiegava ai membri dell’Opus Dei: «Uniti a Cristo mediante l’orazione e la mortificazione nel nostro lavoro di ogni giorno, nelle mille circostanze umane della nostra vita semplice di cristiani comuni, compiremo la meraviglia di mettere tutte le cose ai piedi del Signore, innalzato sulla Croce, dove si è lasciato inchiodare dall’amore per il mondo e per gli uomini. […] In questo modo, il lavoro è per noi non solo il mezzo naturale per provvedere alle necessità economiche e per stare in logica e normale comunità di vita con gli altri uomini, ma anche — e soprattutto — il mezzo specifico di santificazione personale che Dio nostro Padre ci ha indicato e il grande strumento di apostolato e di santificazione che ci ha messo a disposizione per fare in modo che in tutto il creato risplenda l’ordine da Lui voluto»[25]. Alla vigilia del Concilio Vaticano II c’erano, in un gran numero di nazioni, migliaia di uomini e di donne che compivano in questo modo la missione della Chiesa verso le realtà temporali[26].

4. La dottrina del Concilio Vaticano II

Nel secondo capitolo del Decreto Apostolicam actuositatem, il Concilio offre in modo sistematico e completo, quantunque breve, la dottrina sulla missione della Chiesa, anche per quanto concerne le realtà temporali. Tale esposizione sistematica fornisce l’ossatura dove integrare gli altri insegnamenti del Concilio su questo argomento.

a) I due ambiti di attuazione della missione della Chiesa

Il capitolo inizia mettendo la missione di Cristo a fondamento della missione della Chiesa e dei due versanti in cui essa si dispiega. «L’opera della redenzione di Cristo, mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure la instaurazione di tutto l’ordine temporale. Perciò la missione della Chiesa non è soltanto di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche di permeare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico» (AA 5). La missione della Chiesa continua quella di Cristo, come egli stesso afferma nella sua preghiera al Padre: «Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo» (Gv 17,18), e poi comunicherà ai discepoli il giorno della risurrezione: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21); perciò, l’opera della redenzione di Cristo determina il contenuto della missione della Chiesa. Tale opera presenta due ambiti di attuazione: da una parte, la salvezza degli uomini; dall’altra, la instaurazione di tutto l’ordine temporale. Al primo corrisponde l’opera di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini; al secondo, quella di permeare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico.

L’instaurazione di tutto l’ordine temporale a cui anche mira l’opera della redenzione di Cristo si realizzerà appieno nella consumazione finale. Si parla qui di instaurazione d’accordo con la terminologia di Ef 1,10, secondo la traduzione della Vulgata (instaurare omnia in Christo, quæ in cælis et quæ in terra sunt). Nella Neovulgata si è preferito il verbo ricapitulare («ricapitolare» nella traduzione della CEI), per meglio esprimere le molteplici sfaccettature del verbo greco: riassumere, compendiare, riprendere da capo, rinnovare, raccogliere sotto un capo. Già adesso, nel tempo della Chiesa pellegrinante in terra, comincia a realizzarsi una tale instaurazione, e il compito della Chiesa è appunto quello di permeare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico.

I due percorsi di attuazione della missione della Chiesa non scorrono in modo parallelo, quasi fossero indipendenti tra loro. Infatti il documento conciliare continua affermando l’unità tra l’ordine spirituale e quello temporale, pur distinguendosi tra loro: «Questi ordini, sebbene siano distinti, nell’unico disegno di Dio sono così legati, che Dio stesso intende ricapitolare in Cristo tutto il mondo per formare una nuova creatura, in modo iniziale su questa terra, in modo perfetto nell’ultimo giorno» (AA 5). Il legame tra i due ordini è dato dal disegno di Dio di ricapitolare tutto il mondo in Cristo.

b) Unità di missione, ma diversità di azione per il suo compimento

La modalità dell’azione dei fedeli nei due ambiti della sua missione è diversa a seconda della loro condizione ecclesiale. Infatti, «la Chiesa è nata con il fine di rendere, mediante la diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, partecipi tutti gli uomini della redenzione salvifica e per mezzo di essi ordinare effettivamente il mondo intero a Cristo» (AA 2). Riguardo al primo ambito, la redenzione salvifica è ciò che determina la natura e la missione della Chiesa, ed il parteciparla agli uomini è il compito pienamente adeguato ad essa. «Perciò l’apostolato della Chiesa, e di tutti i suoi membri, è diretto prima di tutto a manifestare al mondo il messaggio di Cristo con la parola e i fatti e a comunicare la sua grazia» (AA 6). Questo compito prioritario impegna tutti i fedeli, ma il ministero di coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’Ordine vi acquista un ruolo di primo piano: «Ciò si attua principalmente con il ministero della parola e dei sacramenti, affidato in modo speciale al clero, nel quale anche i laici hanno la loro parte molto importante da compiere» (AA 6). Il ruolo di primo piano dei sacri ministri non rende marginale quello dei laici, la cui parte è qualificata di molto importante, e ciò è confermato dall’asserto successivo: «Specialmente in questo ordine l’apostolato dei laici e il ministero pastorale si completano a vicenda» (AA 6).

Per quanto attiene alla diversa modalità di azione dei fedeli verso le realtà temporali, il testo conciliare formula il compito della Chiesa introducendo una variante: la Chiesa compie la sua missione di ordinare il mondo intero a Cristo per mezzo degli uomini resi partecipi della redenzione. I primi protagonisti di questo compito sono i fedeli, più che la Chiesa come istituzione. Quando si parla della Chiesa come istituzione, il ruolo dei pastori passa in primo piano, mentre riguardo alla costruzione dell’ordine temporale i pastori passano in secondo piano, e non perché la loro attività sia secondaria, ma perché è di sostegno ai comuni fedeli, come chiaramente spiega il Decreto conciliare: «È compito di tutta la Chiesa lavorare affinché gli uomini siano resi capaci di ben costruire tutto l’ordine temporale e di ordinarlo a Dio per mezzo di Cristo. Spetta ai pastori enunciare con chiarezza i principi circa il fine della creazione e l’uso del mondo, dare gli aiuti morali e spirituali affinché l’ordine temporale venga instaurato in Cristo» (AA 7). Invece, riguardo ai laici, così continua il testo: «Bisogna che i laici assumano la instaurazione dell’ordine temporale come compito proprio e in esso, guidati dalla luce del Vangelo e dal pensiero della Chiesa e mossi dalla carità cristiana, operino direttamente e in modo concreto» (AA 7). Su questo punto la costituzione pastorale Gaudium et spes offre un eloquente richiamo: «Il Concilio esorta i cristiani, che sono cittadini dell’una e dell’altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno. […] Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna» (GS 43). L’esortazione riguarda tutti i cristiani, ma è facile da capire come essa importi specialmente ai fedeli laici.

Il perfezionamento dell’ordine delle realtà temporali interessa tutti gli uomini, non soltanto i fedeli della Chiesa; anzi non può essere svolto dal singolo cristiano isolatamente, perché di sua natura è sociale, e pertanto occorre il concorso di tutti. Se manca questo concorso, con animo concorde, non si costruisce nessun ordine. Perciò il testo conciliare continua: bisogna «che come cittadini [i laici] cooperino con gli altri cittadini secondo la specifica competenza e sotto la propria responsabilità; che cerchino dappertutto e in ogni cosa la giustizia del regno di Dio» (AA 7). Si sottolinea la loro esclusiva responsabilità, perché non agiscono a nome della Chiesa, come rappresentandola, anche se la loro azione ha un valore ecclesiale in quanto realizzata come membra di Cristo, partecipi del suo eterno sacerdozio regale, guidati dallo Spirito Santo, e quindi beneficando tutta la Chiesa, per mezzo della comunione dei santi.

c) Il contenuto della missione della Chiesa verso le realtà temporali

Il Decreto conciliare riassume il contenuto della missione della Chiesa verso le realtà temporali come «permeare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico» (AA 5); ma si avvale anche di altre formulazioni equivalenti: «costruire tutto l’ordine temporale e ordinarlo a Dio per mezzo di Cristo» (AA 7); «informare e perfezionare con spirito cristiano l’ordine delle realtà temporali» (AA 4).

Per maggior chiarezza e a scanso di equivoci il Decreto elenca le realtà che costituiscono l’ordine temporale: «I beni della vita e della famiglia, la cultura, l’economia, le arti e le professioni, le istituzioni della comunità politica, le relazioni internazionali e altre simili, come pure il loro evolversi e progredire» (AA 7). Sono dunque le realtà che costituiscono il mondo umano quelle che possono essere permeate con lo spirito evangelico o — detto in un altro modo — informate con spirito cristiano. Tuttavia il Decreto, nelle righe in seguito, che citerò nel prossimo capoverso, allarga la prospettiva verso tutto il creato materiale; e giustamente, perché l’uomo ha una componente materiale, che non gli è periferica, quasi fosse un involucro. Il corpo è parte essenziale della persona umana, la quale si esprime in esso e per suo mezzo è inserita nel cosmo materiale.

Le realtà terrene diventano oggetto della missione della Chiesa non come fine ultimo, ma intermedio; nondimeno hanno un proprio valore e una propria consistenza, perché non sono dei semplici mezzi, che perderebbero il loro valore quando si raggiungesse il fine della salvezza. Infatti aggiunge il Decreto: «Non soltanto sono mezzi in relazione al fine ultimo dell’uomo, ma hanno anche un valore proprio, riposto in esse da Dio, sia considerate in se stesse, sia considerate come parti di tutto l’ordine temporale: “E Dio vide tutte le cose che aveva fatto, ed erano assai buone” (Gn 1,31). Questa loro bontà naturale riceve una speciale dignità dal loro rapporto con la persona umana a servizio della quale sono state create. Infine piacque a Dio unificare in Cristo Gesù tutte le cose, naturali e soprannaturali, “affinché egli abbia il primato su tutte le cose” (Col 1,18). Questa destinazione, tuttavia, non solo non priva l’ordine temporale della sua autonomia, dei suoi propri fini, leggi, mezzi, della sua importanza per il bene degli uomini, ma anzi lo perfeziona nella sua consistenza e nella propria eccellenza e nello stesso tempo lo adegua alla vocazione totale dell’uomo sulla terra» (AA 7). Il rispetto della consistenza e dei valori propri delle realtà temporali chiama i laici a un impegno formativo nell’ordine temporale, come insegna il Concilio nella Gaudium et spes: «Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistarsi una vera perizia in quei campi» (GS 43).

Per meglio capire che cosa significa il permeare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico o le altre formulazioni equivalenti, occorre fare attenzione ad alcuni sviluppi dell’insegnamento conciliare al riguardo. Il Decreto Apostolicam actuositatem offre due brevi indicazioni tra loro equivalenti: la nativa destinazione dell’ordine temporale a servizio della persona umana e a rientrare nell’unificazione di tutte le cose in Cristo Gesù «lo adegua alla vocazione totale dell’uomo sulla terra» (AA 7); «l’ordine temporale deve essere instaurato in modo che, nel rispetto integrale delle leggi sue proprie, sia reso ulteriormente conforme ai principi della vita cristiana e adattato alle svariate condizioni di luogo, di tempo e di popoli» (AA 7). Sono brevi indicazioni, perché lo sviluppo di questi punti era lasciato alla Gaudium et spes, in concreto al capitolo IV della prima parte sul compito della Chiesa nel mondo contemporaneo.

Mettendosi nella prospettiva della missione della Chiesa, la costituzione pastorale afferma: «La Chiesa, certo, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica all’uomo la vita divina, ma anche diffonde la sua [della vita divina] luce con ripercussione, in qualche modo, su tutto il mondo, soprattutto per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine della umana società, e immette nel lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato» (GS 40). Sono tre gli aspetti dell’ordine temporale che sono perfezionati: la dignità della persona umana, la compagine della umana società, il lavoro quotidiano. Nei tre paragrafi successivi (41, 42, 43) si mostra come la Chiesa realizza tale perfezionamento. I tre aspetti corrispondono a quelli che erano rispettivamente gli oggetti dei tre primi capitoli[27]. Il testo è redatto in modo che venga sottolineata l’unità del fine della missione della Chiesa, perché la comunicazione della vita divina all’uomo si ripercuote positivamente sull’ordine temporale, visto in quei tre aspetti. La Chiesa non si limita a comunicare la vita divina, ma si adopera pure per il perfezionamento dell’ordine delle realtà temporali, non però come azione parallela, ma in modo che la comunicazione della vita divina contribuisca in gran misura a tale perfezionamento.

— Risanamento ed elevazione della dignità umana

L’attività di risanamento e di elevazione della dignità umana che svolge la Chiesa mira innanzi tutto al singolo uomo. La Chiesa «svela all’uomo il senso della sua propria esistenza, vale a dire la verità profonda sull’uomo. […] L’uomo, infatti, avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, del suo lavoro e della sua morte» (GS 41). Gli interrogativi sul significato della vita, del lavoro, della morte toccano in modo particolare il singolo uomo. La risposta che viene da Dio ha, certo, un valore universale e la Chiesa la offre a tutti, ma ognuno la percepisce come risposta ai suoi intimi desideri.

L’attenzione verso il singolo non sminuisce l’impegno verso la proclamazione e la difesa della dignità dell’uomo nell’ambito della collettività umana. Il Concilio, infatti, sollecita i vescovi diocesani a includere nel loro insegnamento questo importante capitolo dottrinale, cioè «quale sia, secondo la dottrina della Chiesa, il valore della persona umana, della sua libertà e della stessa vita fisica»[28]; e rivendica inoltre il diritto della Chiesa «di dare il suo giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime» (GS 76). Come anche sollecita i laici: «Inoltre i laici, anche mettendo in comune la loro forza, risanino le istituzioni e le condizioni di vita del mondo, se ve ne sono, che spingono i costumi al peccato, così che tutte siano rese conformi alle norme della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l’esercizio delle virtù. Così agendo impregneranno di valore morale la cultura e i lavori dell’uomo»[29].

— Consolidamento della compagine della umana società

Per quanto riguarda il consolidamento della compagine della umana società, occorre tener presente in primo luogo come tale compagine è compresa dalla Gaudium et spes, e cioè che l’umana società è chiamata a una così forte unità da formare una famiglia. Infatti, «Dio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro con animo di fratelli» (GS 24). In seguito ne spiega il fondamento: «Tutti, infatti, creati a immagine di Dio, “che da un solo uomo ha prodotto l’intero genere umano affinché popolasse tutta la terra” (At 17,26), sono chiamati all’unico e medesimo fine, cioè a Dio stesso» (GS 24). Il fondamento è l’unità di natura (creati a immagine di Dio), l’unità di origine da un unico capostipite, e l’unità di fine, Dio stesso. Sembra un progetto utopico, se si considera l’intera storia umana, fatta da continue contese e durissime contrapposizioni, e da ininterrotte violenze mortali e da offese alla dignità umana. Nondimeno è un disegno che alla fine troverà piena attuazione. Dio non fallisce. Egli stesso con l’incarnazione del suo Figlio ne ha stabilito l’incrollabile fondamento ed avviato l’inarrestabile dinamica del suo compimento.

Cristo ha formato la comunità dei credenti in lui, cioè la Chiesa, come famiglia di Dio[30]. Perciò si capisce bene che il paragrafo 42, destinato a spiegare come la Chiesa nel compimento della sua missione consolidi la compagine della umana società, cominci con questa affermazione: «L’unione della famiglia umana viene molto rafforzata e completata dall’unità della famiglia dei figli di Dio fondata sul Cristo» (GS 42). Pertanto la Chiesa compie questo aspetto della sua missione edificando se stessa come famiglia di Dio, il che significa rafforzare la sua unità.

La Chiesa non immette lo spirito di unione familiare nella umana società dall’esterno. Il suo creare unità fra gli uomini non è un impegno artificioso, bensì coerente con il dinamismo interno della società umana. «La Chiesa, inoltre, riconosce tutto ciò che di buono si trova nel dinamismo sociale odierno: soprattutto l’evoluzione verso l’unità […]. Promuovere l’unità corrisponde infatti alla intima missione della Chiesa, la quale è appunto “in Cristo come un sacramento, ossia segno e strumento di intima unione con Dio e di unità di tutto il genere umano”[31]» (GS 42).

Anche riguardo a questo aspetto della missione della Chiesa verso le realtà umane il testo conciliare mette in evidenza la stretta unità fra i due percorsi dell’attività della Chiesa nel compimento della sua missione. Il fine proprio della Chiesa è di natura religiosa. «Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono dei compiti, della luce e delle forze, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina» (GS 42). Come ciò avvenga, si spiega poco sotto: «Al mondo essa [la Chiesa] mostra che la vera unione sociale esteriore discende dall’unione delle menti e dei cuori, ossia da quella fede e da quella carità, con cui la sua unità è stata indissolubilmente fondata nello Spirito Santo. Infatti, la forza che la Chiesa riesce a immettere nella società umana contemporanea, consiste in quella fede e carità portate ad efficacia di vita, e non nell’esercitare con mezzi puramente umani un qualche dominio esteriore» (GS 42).

L’insegnamento conciliare aggiunge un altro aspetto, derivato dal fatto che unità ed universalità sono strettamente congiunte nella Chiesa: «Inoltre, siccome in forza della sua missione e della sua natura non è legata ad alcuna particolare forma di cultura umana o sistema politico, economico o sociale, la Chiesa per questa sua universalità può costituire un legame strettissimo tra le diverse comunità umane e le nazioni, purché queste abbiano fiducia in lei e riconoscano realmente la vera sua libertà in ordine al compimento della sua missione» (GS 42). In seguito il discorso trae una importante conseguenza per l’attuazione della missione della Chiesa in questo campo: «Per questo motivo la Chiesa esorta i suoi figli, come pure tutti gli uomini, a superare, in questo spirito di famiglia proprio dei figli di Dio, ogni dissenso tra nazioni e razze, e a consolidare interiormente le giuste associazioni umane» (GS 42).

— L’immissione di un più profondo senso e significato nell’attività umana

Infine, per quanto riguarda l’immissione di un più profondo senso e significato nell’attività quotidiana degli uomini, esso — come detto sopra — costituisce l’oggetto del capitolo III della Gaudium et spes. Sia sufficiente qui citarne alcune affermazioni che consentono di coglierlo nella sua essenzialità. «L’uomo, infatti, creato a immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra con tutto quanto essa contiene, e di governare il mondo nella giustizia e nella santità, e così pure di riportare a Dio se stesso e l’universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose; in modo che, nella subordinazione di tutte le realtà all’uomo, sia glorificato il nome di Dio su tutta la terra» (GS 34). Tutte le realtà della creazione materiale sono subordinate all’uomo, proprio perché creato a immagine di Dio, sicché per mezzo dell’attività umana riguardo ad esse Dio sia glorificato. Il testo in seguito rende più concreto il discorso: «Ciò vale anche per gli ordinari lavori quotidiani. Gli uomini e le donne, infatti, che per procurare il sostentamento per sé e per la famiglia esercitano il proprio lavoro così da prestare anche conveniente servizio alla società, possono a buon diritto ritenere che col loro lavoro essi prolungano l’opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli, e donano un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia» (GS 34). Qui appare chiaro in che cosa consiste quel più profondo senso e significato nell’attività quotidiana degli uomini.

«L’attività umana, invero, come deriva dall’uomo, così è ordinata all’uomo. L’uomo, infatti, quando lavora, non soltanto modifica le cose e la società, ma anche perfeziona se stesso. Apprende molte cose, sviluppa le sue facoltà, è portato a uscire da sé e a superarsi. Tale sviluppo, se è ben compreso, vale più delle ricchezze esteriori che si possono accumulare. L’uomo vale più per quello che è che per quello che ha. Parimenti tutto ciò che gli uomini compiono allo scopo di conseguire una maggiore giustizia, una più estesa fraternità e un ordine più umano nei rapporti sociali, ha più valore dei progressi in campo tecnico. Questi, infatti, possono formare, per così dire, la materia alla promozione umana, ma da soli non valgono in nessun modo ad effettuarla» (GS 35). Il quadro, però, assieme a questa luce contiene anche alcune ombre a causa del peccato, e l’uomo si trova a dover resistere «a quello spirito di vanità e di malizia, che stravolge in strumento di peccato l’operosità umana, ordinata al servizio di Dio e dell’uomo» (GS 37). Di conseguenza, «tutte le attività umane, che sono messe in pericolo quotidianamente dalla superbia e dall’amore disordinato di se stessi, devono venir purificate e rese perfette per mezzo della croce e della risurrezione di Cristo» (GS 37).

Come si dia attuazione a quest’ultima affermazione si spiega nel paragrafo successivo, facendo particolare attenzione alle circostanze ordinarie della vita: Cristo «ammonisce a non camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita. Sopportando la morte per noi tutti peccatori, egli ci insegna col suo esempio che è necessario anche portare la croce; quella che dalla carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia» (GS 38).

Da tutto ciò consegue che la missione della Chiesa per quanto riguarda l’immissione di un più profondo senso e significato nell’attività degli uomini non può circoscriversi a una azione di insegnamento, ma richiede anche la comunicazione della vita divina, principalmente attraverso i sacramenti, per accogliere e assecondare l’azione di Cristo il quale «opera nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito». Con tale docilità all’azione di Cristo i laici possono compiere la loro parte in questo aspetto della missione della Chiesa. «Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale» (GS 43): la luce dei principi dottrinali e la forza della vita divina comunicata per mezzo dei sacramenti. E così i laici possono svolgere la loro attività nell’ordine temporale, con un autentico senso di missione entro l’ampio orizzonte operativo che prospetta loro il Concilio nella Lumen gentium: «Con la loro competenza quindi nelle profane discipline e con la loro attività, elevata intrinsecamente dalla grazia di Cristo, portino efficacemente l’opera loro, perché i beni creati, secondo l’ordine del Creatore e la luce del suo Verbo, siano fatti progredire dal lavoro umano, dalla tecnica e dalla cultura per l’utilità di tutti assolutamente gli uomini, e siano tra loro più giustamente distribuiti e, nella loro misura, contribuiscano al progresso universale nella libertà umana e cristiana» (LG 36).

L’attività dei laici nel compimento della missione della Chiesa non soltanto può contribuire efficacemente al retto ordine delle realtà temporali, ma può altresì elevarle ad un più alto livello, come parte del loro culto spirituale a Dio: «Tutte infatti le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesù Cristo (cfr. 1 Pt 2,5); e queste cose nella celebrazione dell’Eucaristia sono piissimamente offerte al Padre insieme all’oblazione del corpo del Signore. Così anche i laici, operando santamente dappertutto come adoratori, consacrano a Dio il mondo stesso» (LG 34). Si giunge così al senso più genuino della consecratio mundi, quello che risulta dall’unione con il sacrificio di Cristo.

5. Dopo il Concilio

a) La traduzione nella vita della dottrina del Vaticano II

San Josemaría Escrivá, che dalla fine degli anni Venti si era infaticabilmente adoperato per rendere attivi i comuni cristiani nell’assumere la loro parte nella missione della Chiesa verso le realtà temporali, accolse con grande gioia tutti questi insegnamenti conciliari, sentendosi confermato sul punto nodale dello spirito dell’Opus Dei che conduce alla santificazione del lavoro ordinario[32]. Egli continuò a diffondere il suo messaggio spirituale: «Per la maggior parte degli uomini, la santità consiste nel santificare il proprio lavoro, nel santificarsi nel lavoro e nel santificare gli altri per mezzo del lavoro, realizzando così l’incontro con Dio lungo la strada della propria vita»[33]. Si noti che non soltanto egli parla di santificarsi nel lavoro e di santificare gli altri per mezzo del lavoro, ma anche di santificare il lavoro stesso. Di qui l’effettiva realizzazione del compito di informare e perfezionare con spirito cristiano l’ordine delle realtà temporali. Diede alla stampa altri suoi scritti, tratti principalmente dalla sua predicazione, ma soprattutto continuò a promuovere tra uomini e donne di ogni stato, condizione e ceto sociale, in un gran numero di nazioni, l’effettiva traduzione nella vita di ciò che, con una tale dovizia di dottrina, aveva insegnato il Concilio[34].

Con l’impegno dei fedeli dell’Opus Dei e di innumerevoli altri cristiani, singolarmente o raggruppati in diverse realtà ecclesiali, la dottrina conciliare, a poco a poco, sta producendo frutti di vera instaurazione dell’ordine temporale. Tutta questa opera di compimento della missione della Chiesa verso le realtà terrene è accompagnata dalla riflessione teologica e dall’attività del Magistero della Chiesa, il quale, oltre a riproporre spesso la dottrina del Concilio, ha fornito nuove luci su alcuni punti. Si verifica infatti che «la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse [dalla Tradizione], cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la profonda intelligenza che essi provano delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità»[35]. Dottrina e vita vanno di pari passo. Vedremo in seguito alcuni interventi del Magistero papale che hanno aggiunto nuove luci alla dottrina conciliare.

b) L’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi

L’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975) di Paolo VI, a dieci anni della chiusura del Concilio Vaticano II, riassume la missione della Chiesa come evangelizzazione[36]. Essa non mira soltanto ai singoli uomini, ma anche alla collettività umana, che deve essere trasformata attraverso la trasformazione dei singoli[37]. È un’azione in profondità. Si tratta infatti «di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la parola di Dio e col disegno della salvezza» (EN 19). Un tale sconvolgimento si ripercuote, ovviamente, sull’ordine delle realtà temporali.

La salvezza che l’evangelizzazione offre ad ogni uomo non si esaurisce nel quadro dell’esistenza temporale, ma è anche trascendente, escatologica, e si attua in una comunione con Dio[38]. In continuità con questa affermazione, il Papa si sofferma a chiarire in che modo vi rientri la promozione umana, intesa come liberazione e sviluppo, mettendo in guardia di fronte a visioni riduttive della liberazione[39]. Chiarendo che la missione della Chiesa non è circoscritta all’ambito religioso, ma che riguarda anche i problemi temporali dell’uomo, il Papa riafferma che l’annunzio della salvezza in Gesù Cristo è prioritario[40]. «La Chiesa collega ma non identifica giammai liberazione umana e salvezza in Gesù Cristo» (EN 35). La liberazione, intesa soltanto come liberazione temporale, politica, non rientra nel concetto evangelico di liberazione: «La Chiesa ha la ferma convinzione che ogni liberazione temporale, ogni liberazione politica — anche se si sforza di trovare la propria giustificazione in questa o in quella pagina dell’Antico o del Nuovo Testamento, anche se rivendica per i suoi postulati ideologici e per le sue norme di azione l’autorità dei dati e delle conclusioni teologiche, anche se pretende di essere la teologia per i nostri giorni — porta in se stessa il germe della propria negazione e decade dall’ideale che si propone sia perché i suoi motivi non sono quelli della giustizia nella carità, sia perché lo slancio che la trascina non ha una dimensione veramente spirituale e perché il suo scopo finale non è la salvezza e la beatitudine di Dio» (EN 35). Le teologie liberazioniste di stampo temporalistico vengono squalificate alla radice.

c) L’Esortazione apostolica Christifideles laici

Così come il Decreto Apostolicam actuositatem sull’apostolato dei laici è stato il documento in cui il Concilio ha esposto in modo più organico la dottrina sulla missione della Chiesa, ci si poteva anche attendere che l’Esortazione post-sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988) di Giovanni Paolo II approfondisse tale insegnamento, specie per quanto concerne la missione verso le realtà temporali. Così è avvenuto.

Secondo la Gaudium et spes, la Chiesa raggiunge il mondo nella sua missione perché vi si trova immersa. Il linguaggio conciliare fa intendere che non si tratta di una semplice constatazione sociologica. La Christifideles laici mette a fuoco questo punto e chiarisce la dimensione secolare della Chiesa che in modo particolare definisce la condizione teologica ed ecclesiale dei laici. «Certamente tutti i membri della Chiesa sono partecipi della sua dimensione secolare; ma lo sono in forme diverse. In particolare, la partecipazione dei fedeli laici ha una sua modalità di attuazione e di funzione che, secondo il Concilio, è loro “propria e peculiare”: tale modalità viene designata con l’espressione “indole secolare”[41]. […] Il “mondo” diventa così l’ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici, perché esso stesso è destinato a glorificare Dio Padre in Cristo. […] I fedeli laici, infatti, “sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l’esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a rendere visibile Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro vita e con il fulgore della fede, della speranza e della carità”[42]. Così l’essere e l’agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed ecclesiale»[43]. Il primato dell’attività dei laici nel compimento della missione della Chiesa verso il mondo non deriva da esigenze di efficacia strategica, ma dalla loro precisa vocazione divina che dona vero spessore teologico al fatto che la Chiesa cammina nel mondo e la sua missione si estende ad esso nella sua valenza temporale.

Giovanni Paolo II ne trae una conseguenza di fondamentale importanza: l’unità di vita, necessaria ai laici per il compimento della loro missione verso le realtà temporali. Il tema ricompare diverse volte nel documento. In un primo momento viene trattato sotto il profilo della ricerca della santità proprio attraverso la loro vita professionale e sociale: «La vocazione dei fedeli laici alla santità comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e nella loro partecipazione alle attività terrene. […] “L’unità della vita dei fedeli laici è di grandissima importanza: essi, infatti, devono santificarsi nell’ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano rispondere alla loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono guardare alle attività della vita quotidiana come occasione di unione con Dio e di compimento della sua volontà, e anche di servizio agli altri uomini, portandoli alla comunione con Dio in Cristo”[44]» (CFL 17).

Più avanti nel documento ricompare il bisogno dell’unità di vita a riguardo della nuova evangelizzazione, sicché non ci sia frattura tra il Vangelo e la vita: «Ad essi [i fedeli laici] tocca, in particolare, testimoniare come la fede cristiana costituisca l’unica risposta pienamente valida, più o meno coscientemente da tutti percepita e invocata, dei problemi e delle speranze che la vita pone ad ogni uomo e ad ogni società. Ciò sarà possibile se i fedeli laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e la vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, sul lavoro e nella società, l’unità di una vita che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza» (CFL 34).

E di nuovo la necessaria unità di vita è ribadita a proposito della formazione: «I fedeli laici devono essere formati a quell’unità di cui è segnato il loro stesso essere di membri della Chiesa e di cittadini della società umana. Nella loro esistenza non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta “spirituale”, con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall’altra, la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell’impegno politico e della cultura. […] Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come “luogo storico” del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli» (CFL 59).

La Christifideles laici si pone in continuità con GS 40, là dove si afferma che il perseguimento del suo fine di salvezza da parte della Chiesa si ripercuote sull’ordine temporale, e vede questa ripercussione nel fatto che, «avendo ricevuto l’incarico di manifestare al mondo il mistero di Dio che splende in Cristo Gesù, al tempo stesso la Chiesa svela l’uomo all’uomo, gli fa noto il senso della sua esistenza, lo apre alla verità intera su di sé e sul suo destino» (CFL 36). In seguito esplicita diversi ambiti di tale svelamento dell’uomo all’uomo, mostrando il ruolo primario che vi hanno i laici. Dedica un paragrafo a ognuno di essi e la loro enunciazione è sufficientemente espressiva: «la dignità inviolabile di ogni persona umana» (§ 37); «l’inviolabilità della vita umana» (§ 38); «il diritto alla libertà di coscienza e alla libertà religiosa» (§ 39); «la coppia e la famiglia», quale «prima e originaria espressione della dimensione sociale della persona» (§ 40); «la carità verso il prossimo» (§ 41); «la partecipazione alla politica» (§ 42); «la questione economico-sociale, la cui chiave è data dall’organizzazione del lavoro» (§ 43); «la creazione e la trasmissione della cultura» (§ 44).

Considerare l’instaurazione dell’ordine temporale mettendovi al centro l’uomo non significa disinteresse nei confronti del contesto materiale in cui egli si trova inserito. Difatti Giovanni Paolo II tra i diversi aspetti della questione economico-sociale include l’ecologia: «In rapporto alla vita economico-sociale e al lavoro si pone oggi, in modo sempre più acuto, la questione cosiddetta “ecologica”. Certamente l’uomo ha da Dio stesso il compito di “dominare” le cose create e di “coltivare il giardino” del mondo; ma è un compito, questo, che l’uomo deve assolvere nel rispetto dell’immagine divina ricevuta, e quindi con intelligenza e con amore: egli deve sentirsi responsabile dei doni che Dio gli ha elargito e continuamente gli elargisce. L’uomo ha fra le mani un dono che deve passare — e, se possibile, persino migliorato — alle generazioni future, anch’esse destinatarie dei doni del Signore» (CFL 43).

Si possono anche citare altri interventi magisteriali dei Papi dopo il Concilio, ma bastano i due sopra esposti, in quanto sono quelli che aggiungono maggiori approfondimenti alla dottrina conciliare, e i limiti di un articolo non consentono di realizzare una trattazione esauriente dell’argomento.

6. Considerazioni finali

Se la missione della Chiesa verso le realtà temporali, prima del Concilio, appariva poco sviluppata sotto il profilo dottrinale, la situazione attuale è ben diversa. Infatti l’insegnamento del Concilio e quello papale successivo ci offrono una trattazione organica di contenuto assai ricco, immediatamente traducibile nella vita.

Un primo punto da rilevare è la prospettiva in cui si pone il Magistero: la Chiesa non guarda il mondo dal di fuori, ma immersa in esso, anche se per vari versi lo trascende. La Chiesa «cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena» (GS 40), perciò guarda il mondo con occhi di piena solidarietà.

Nel compimento della missione della Chiesa verso le realtà terrene, il Magistero, ripetutamente, richiama i laici a un impegno di primo piano, con libertà e responsabilità in prima persona. Ciò non significa che il ruolo dei pastori sia marginale, innanzitutto perché il loro compito d’insegnamento della dottrina della Chiesa in questo campo è imprescindibile affinché i fedeli laici ricevano la luce del Vangelo con cui illuminare il proprio agire riguardo all’ordine temporale, ma più ancora affinché ricevano la forza spirituale derivante dalla comunicazione della vita divina per mezzo dei sacramenti. Senza una autentica vita cristiana di sequela di Cristo e attraverso di lui di unione con il Padre nella forza dello Spirito Santo, i laici, anziché informare e perfezionare con spirito cristiano il mondo delle realtà temporali, diverrebbero persone mondane, permeate di quello spirito del mondo che san Giovanni riassume come «la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita» (1 Gv 2,16). Di qui il particolare bisogno di unità di vita.

La missione della Chiesa verso il mondo giunge all’uomo, non considerato come una categoria, ma nella sua singolarità, e passa attraverso di lui, attuandosi nei tre versanti, della dignità personale dell’uomo, della sua attività, della sua socialità; e attraverso di lui giunge anche al mondo materiale, sicché la missione della Chiesa si fa anche carico della questione ecologica. Gli ampi sviluppi di ognuno di questi aspetti offrono elementi più che abbondanti per innumerevoli programmi di azione concreta da parte dei laici, singolarmente o associati ad altri uomini, cristiani e non cristiani.

[1] CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam actuositatem (in seguito AA), 4.

[2] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes (in seguito GS), 36.

[3] CONCILIO VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, 2.

[4] Cfr. A. BONORA, Cosmo, in P. ROSSANO - G. RAVASI - A. GIRLANDA (ed.), Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Paoline, Cinisello Balsamo 1988, pp. 333-334; H. SASSE, kovsmoV, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, V, 916-941.

[5] Cfr. 1 Tm 4,4.

[6] In effetti, «a causa di un solo uomo [Adamo] il peccato è entrato nel mondo» (Rm 5,12). Il peccato è dilagato, cosicché «tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio» (Rm 3,19). E Gesù Cristo «ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso» (Gal 1,4). Cfr. Col 2,20, Gal 6,14.

[7] «Vi ho scritto nella lettera precedente di non mescolarvi con gli impudichi. Non mi riferivo però agli impudichi di questo mondo o agli avari, ai ladri o agli idolàtri: altrimenti dovreste uscire dal mondo!» (1 Cor 5,9-10).

[8] «[…] siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo» (Fil 2,15). È l’eco dell’insegnamento di Gesù nel discorso della montagna (cfr. Mt 5,16).

[9] Cfr. Rm 13,1-7.

[10] Cfr. Ef 5,21-33; Col 3,18-19.

[11] Cfr. 1 Cor 7,21-23; 12,13; Gal 3,28; Ef 6,5-9; Col 3,22; 4,1; 1 Tm 6,1-2; Tt 2,9-10.

[12] Cfr. 1 Tm 6,17-19.

[13] Cfr. Rm 12,17-21.

[14] Cfr. 2 Ts 3,7-12.

[15] Sulla sottomissione all’autorità civile, cfr. 1 Pt 2,13-15; sul rapporto fra gli sposi, cfr. 1 Pt 3,1-7; sulla sottomissione degli schiavi ai loro padroni, cfr. 1 Pt 2,18-21.

[16] Cfr. Rm 8,16-18.23.

[17] «La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità — non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa — e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8,19-23). Si è discusso molto, dall’epoca patristica fino a oggi, su come intendere «la creazione» in questo brano. La sua distinzione dai «figli di Dio», da «noi, che possediamo le primizie dello Spirito», dunque dai fedeli, e il fatto di essere stata «sottomessa alla caducità non per suo volere», che la distingue dai non credenti (cfr. Rm 1,21), suggeriscono di intenderla come il mondo non umano (cfr. B. BYRNE, Romans [«Sacra Pagina Series», 6], The Liturgical Press, Collegeville, Minnesota 1996, pp. 254-262; J. A. FITZMYER, Lettera ai Romani. Commentario critico-teologico, Piemme, Casale Monferrato 1999, pp. 601-608; J. D. G. DUNN, Romans 1-8 [«Word Biblical Commentary», 38A], Word Books, Dallas, Texas 1988, pp. 465-475).

[18] Cfr. A. MIRALLES, La missione della Chiesa nella storia della teologia cattolica, «Annales theologici», 18 (2004), 285-354; specie 285-312, per quanto riguarda il periodo anteriore al Concilio Vaticano II.

[19] Cfr. Enchiridion delle Encicliche, 3: Leone XIII (1878-1903), Dehoniane, Bologna 1997, nn. 445, 887, 903-904.

[20] Come opere di maggior rilievo si possono menzionare quelle di MICHAEL SCHMAUS, Katholische Dogmatik, III/1: Die Kirche und das göttliche Leben, München 1940, pp. 154-156; la trattazione è ampliata nel volume III/1 (Die Lehre von der Kirche), pp. 653-666; GUSTAVE THILS, Théologie des réalités terrestres, 2 vol., Paris 1946, 1949; YVES CONGAR, Jalons pour une théologie du laïcat, Paris 19542 (1ª ed. 1953), pp. 488-498, 85-146; ALFONS AUER, Weltoffener Christ: Grudsätzliches und Geschichtliches zur Laienfrömmigkeit, Düsseldorf 19622 (1ª ed. 1960), pp. 140-159; Kirche und Welt, in F. HOLBÖCK - T. SARTORY (ed.), Mysterium Kirche: in der Sicht der theologischen Disziplinen, II, Salzburg 1962, pp. 479-567.

[21] Cfr. PIO XII, Discorso al II Congresso Mondiale per l’Apostolato dei laici, 5 ottobre 1957, in Discorsi e Radiomessaggio di Sua Santità Pio XII, XIX, Tipografia poliglotta Vaticana, p. 459.

[22] Cammino, Ares, Milano 198416, n. 301.

[23] «Egli [Dio Padre] ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,9-10).

[24] Cammino, o. c., n. 347.

[25] Lettera, 11-III-1940, n. 13, citata da A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei. Vita di Josemaría Escrivá, I: “Signore, fa’ che io veda!”, Leonardo International, Milano 1999, p. 404.

[26] Non occorre in questo articolo fornire statistiche precise, che è compito piuttosto di coloro che scrivono sulla storia dell’Opus Dei. Tuttavia per farsi un’idea del numero dei suoi membri, oltre i 30.000, e dell’estensione del lavoro apostolico in quegli anni vicini al Concilio, cfr. A. DE FUENMAYOR — V. GÓMEZ-IGLESIAS — J. L. ILLANES, L’itinerario giuridico dell’Opus Dei. Storia e difesa di un carisma, Giuffrè, Milano 1991, p. 416.

[27] I titoli dei capitoli sono: I. La dignità della persona umana; II. La comunità degli uomini; III. L’attività umana nell’universo.

[28] CONCILIO VATICANO II, Decr. Christus Dominus, 12.

[29] CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium (in seguito LG), 36.

[30] «Essa poi è già presente qui sulla terra, ed è composta da uomini, i quali appunto sono membri della città terrena, chiamati a formare già nella storia dell’umanità la famiglia dei figli di Dio, che deve crescere costantemente fino all’avvento del Signore. […] ed è come il fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio» (GS 40).

[31] Lumen gentium, 1.

[32] Così si esprimeva in una intervista pubblicata su L’Osservatore della Domenica nel giugno 1968: «Una delle mie maggiori gioie è stata appunto vedere come il Concilio Vaticano II ha proclamato con grande chiarezza la vocazione divina del laicato. Senza ombra di presunzione, devo dire che, per quanto si riferisce alla nostra spiritualità, il Concilio non ha significato un invito a cambiare, ma ha invece confermato ciò che — per la grazia di Dio — stavamo vivendo e insegnando da tanti anni a questa parte. La principale caratteristica dell’Opus Dei non sono delle tecniche e dei metodi di apostolato, e nemmeno delle strutture determinate, bensì una spiritualità che conduce appunto alla santificazione del lavoro ordinario» (l’intervista è stata raccolta nel volume Colloqui con Monsignor Escrivá, Ares, Milano 19875, p. 114 per il testo citato).

[33] Intervista raccolta da Tad Szulc, corrispondente del New York Times, il 7 ottobre 1966 (Colloqui con Monsignor Escrivá, o. c., p. 85).

[34] Sull’impegno effettivo di san Josemaría nell’espansione dell’apostolato dell’Opus Dei, perché raggiungesse molte migliaia di persone di ogni ceto e condizione sociale in un gran numero di nazioni, informano i suoi biografi; si veda, ad esempio, la succitata biografia finora più documentata: A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei. Vita di Josemaría Escrivá, III: “I cammini divini della terra”, Leonardo International, Como 20042, pp. 307-343, 610-623, 660-691, 703-708. Negli anni del primo post-Concilio il numero dei fedeli dell’Opus Dei continuava a crescere e il lavoro apostolico si estendeva. Per rendersene conto è sufficiente considerare il totale dei partecipanti ai lavori attorno al Congresso Generale Speciale negli anni 1969-1970: 50.710 (26.974 uomini e 23.736 donne) di 77 nazioni (cfr. A. DE FUENMAYOR — V. GÓMEZ-IGLESIAS — J. L. ILLANES, L’itinerario giuridico dell’Opus Dei, o. c., p. 535).

[35] CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Dei Verbum, 8.

[36] «Vogliamo nuovamente confermare che il mandato d’evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa. […] Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda» (PAOLO VI, Esort. apost. Evangelii nuntiandi [in seguito EN], 8 dicembre 1975, n. 14).

[37] Cfr. Evangelii nuntiandi, 18.

[38] «La salvezza è offerta ad ogni uomo, come dono di grazia e misericordia di Dio stesso. E non già una salvezza immanente, a misura dei bisogni materiali o anche spirituali che si esauriscono nel quadro dell’esistenza temporale e si identificano totalmente con i desideri, le speranze, le occupazioni, le lotte temporali, ma altresì una salvezza che oltrepassa tutti questi limiti per attuarsi in una comunione con l’unico “Assoluto”, quello di Dio: salvezza trascendente, escatologica, che ha certamente il suo inizio in questa vita, ma che si compie nell’eternità» (EN 27).

[39] «Non dobbiamo nasconderci, infatti, che molti cristiani, anche generosi e sensibili alle questioni drammatiche che racchiude il problema della liberazione, volendo impegnare la Chiesa nello sforzo di liberazione, hanno spesso la tentazione di ridurre la sua missione alle dimensioni di un progetto semplicemente temporale: i suoi compiti a un disegno antropologico; la salvezza, di cui essa è messaggera e sacramento, a un benessere materiale; la sua attività, trascurando ogni preoccupazione spirituale e religiosa, a iniziative di ordine politico o sociale» (EN 32).

[40] Cfr. Evangelii nuntiandi, 34.

[41] CONCILIO VATICANO II, cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 31.

[42] CONCILIO VATICANO II, cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 31.

[43] GIOVANNI PAOLO II, esort. apost. Christifideles laici (in seguito CFL), 30 dicembre 1988, n. 15; le sottolineature sono dell’originale.

[44] Propositio 5.

Romana, n. 44, Gennaio-Giugno 2007, p. 180-197.

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