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Lettera agli anziani (1-X-1999)

Ai miei fratelli e sorelle anziani!

«Gli anni della nostra vita sono settanta,

ottanta per i più robusti,

ma quasi tutti sono fatica, dolore;

passano presto e noi ci dileguiamo»

(Sal 90 [89], 10)

1. Settant'anni erano tanti al tempo in cui il Salmista scriveva queste parole, e non erano in molti ad oltrepassarli; oggi, grazie ai progressi della medicina nonché alle migliorate condizioni sociali ed economiche, in molte regioni del mondo la vita si è notevolmente allungata. Resta, però, sempre vero che gli anni passano in fretta; il dono della vita, nonostante la fatica e il dolore che la segnano, è troppo bello e prezioso perché ce ne possiamo stancare.

Anziano anch'io, ho sentito il desiderio di mettermi in dialogo con voi. E lo faccio anzitutto rendendo grazie a Dio per i doni e le opportunità che mi ha elargito con abbondanza sino ad oggi. Ripercorro nella memoria le tappe della mia esistenza, che s'intreccia con la storia di gran parte di questo secolo, e vedo affiorare i volti di innumerevoli persone, alcune delle quali particolarmente care: sono ricordi di eventi ordinari e straordinari, di momenti lieti e di vicende segnate dalla sofferenza. Sopra ogni cosa, tuttavia, vedo stendersi la mano provvidente e misericordiosa di Dio Padre, il quale «cura nel modo migliore tutto ciò che esiste»[1], e «qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà egli ci ascolta» (1 Gv 5, 14). A Lui dico con il Salmista: «Tu mi hai istruito, o Dio, fin dalla giovinezza / e ancora oggi proclamo i tuoi prodigi. / E ora, nella vecchiaia e nella canizie, / Dio, non abbandonarmi, / finché io annunzi la tua potenza, / a tutte le generazioni le tue meraviglie» (Sal 71 [70], 17-18).

Il mio pensiero si volge con affetto a tutti voi, carissimi anziani di ogni lingua e cultura. Vi indirizzo questa lettera nell'anno che l'Organizzazione delle Nazioni Unite ha voluto opportunamente dedicare agli anziani, per richiamare l'attenzione dell'intera società sulla situazione di chi, per il peso dell'età, deve spesso affrontare molteplici e difficili problemi.

Su questo tema già il Pontificio Consiglio per i Laici ha offerto preziose linee di riflessione[2]. Con la presente lettera intendo soltanto esprimervi la mia vicinanza spirituale con l'animo di chi, anno dopo anno, sente crescere dentro di sé una comprensione sempre più profonda di questa fase della vita ed avverte conseguentemente il bisogno di un contatto più immediato con i suoi coetanei per ragionare di cose che sono esperienza comune, tutto ponendo sotto lo sguardo di Dio, che ci avvolge col suo amore e con la sua provvidenza ci sostiene e ci conduce.

2. Carissimi fratelli e sorelle, riandare al passato per tentare una sorta di bilancio è spontaneo alla nostra età. Questo sguardo retrospettivo consente una valutazione più serena ed oggettiva di persone e situazioni incontrate lungo il cammino. Il passare del tempo sfuma i contorni delle vicende e ne addolcisce i risvolti dolorosi. Purtroppo crucci e tribolazioni sono largamente presenti nell'esistenza di ciascuno. Talvolta si tratta di problemi e sofferenze, che mettono a dura prova la resistenza psicofisica e magari scuotono la stessa fede. L'esperienza però insegna che le stesse pene quotidiane, con la grazia del Signore, contribuiscono spesso alla maturazione delle persone, temprandone il carattere.

Al di là delle singole vicende, la riflessione che maggiormente s'impone è quella relativa al tempo che scorre inesorabile. «Il tempo fugge irrimediabilmente», sentenziava già l'antico poeta latino[3]. L'uomo è immerso nel tempo: in esso nasce, vive e muore. Con la nascita viene fissata una data, la prima della sua vita, e con la morte un'altra, l'ultima: l'alfa e l'omega, l'inizio e la fine della sua vicenda terrena, come la tradizione cristiana sottolinea, scolpendo queste lettere dell'alfabeto greco sulle lapidi delle tombe.

Ma se così misurata e fragile è l'esistenza di ciascuno di noi, ci conforta il pensiero che, in forza dell'anima spirituale, sopravviviamo alla morte stessa. La fede poi ci apre ad una «speranza che non delude» (cfr. Rm 5, 5), additandoci la prospettiva della risurrezione finale. Non per nulla la Chiesa, nella solenne Veglia pasquale, usa queste stesse lettere in riferimento a Cristo vivo ieri, oggi e sempre: «Egli è il principio e la fine, è l'alfa e l'omega. A lui appartengono il tempo e i secoli»[4]. La vicenda umana, pur soggetta al tempo, viene posta da Cristo nell'orizzonte dell'immortalità. Egli «si è fatto uomo tra gli uomini, per unire il principio alla fine, cioè l'uomo a Dio»[5].

Un secolo complesso verso un futuro di speranza

3. Rivolgendomi agli anziani, so di parlare a persone e di persone che hanno compiuto un lungo percorso (cfr. Sap 4, 13). Parlo ai miei coetanei; posso, dunque, facilmente cercare un'analogia nella mia vicenda personale. La nostra vita, cari fratelli e sorelle, è stata inscritta dalla Provvidenza in questo ventesimo secolo, che ha ricevuto una complessa eredità dal passato ed è stato testimone di numerosi e straordinari eventi.

Come tanti altri tempi della storia, esso ha registrato luci ed ombre. Non tutto è stato oscuro. Molti aspetti positivi hanno bilanciato il negativo o sono emersi da esso come una benefica reazione della coscienza collettiva. E vero tuttavia — e sarebbe ingiusto quanto pericoloso dimenticarlo! — che ci sono state inaudite sofferenze, che hanno inciso sulla vita di milioni e milioni di persone. Basterebbe pensare ai conflitti esplosi in diversi continenti in seguito a contese territoriali fra Stati o all'odio interetnico. Non meno gravi sono da considerare le condizioni di estrema povertà di ampie fasce sociali nel Sud del mondo, il vergognoso fenomeno della discriminazione razziale e la sistematica violazione dei diritti umani in molte nazioni. E che dire poi dei grandi conflitti mondiali?

Nella prima parte del secolo ce ne furono ben due, con una quantità mai prima conosciuta di morti e distruzioni. La prima guerra mondiale mieté milioni di soldati e di civili, stroncando tante vite umane sul limitare dell'adolescenza o, addirittura, dell'infanzia. E che dire della seconda guerra mondiale? Sopravvenuta dopo pochi decenni di relativa pace nel mondo, specialmente in Europa, fu più tragica della precedente, con conseguenze immani per la vita delle nazioni e dei continenti. Fu guerra totale, inaudita mobilitazione dell'odio, che si abbatté brutalmente anche sulle inermi popolazioni civili e distrusse intere generazioni. Il tributo pagato sui vari fronti alla follia bellica fu incalcolabile e altrettanto terrificante fu l'eccidio consumato nei campi di sterminio, veri Golgota dell'epoca contemporanea.

Sulla seconda metà del secolo è pesato, per diversi anni, l'incubo della guerra fredda, del confronto cioè tra i due grandi blocchi ideologici contrapposti, l'Est e l'Ovest, con una folle corsa agli armamenti e la costante minaccia di una guerra atomica, capace di condurre l'umanità all'estinzione[6]. Grazie a Dio, quella pagina oscura si è chiusa con la caduta in Europa dei regimi totalitari oppressivi, come frutto di una lotta pacifica, che s'è avvalsa dell'uso delle armi della verità e della giustizia[7]. Si è così avviato un faticoso, ma proficuo processo di dialogo e di riconciliazione, teso ad instaurare una più serena e solidale convivenza fra i popoli.

Ma troppe nazioni sono ancora ben lontane dal conoscere i benefici della pace e della libertà. Grande trepidazione ha suscitato nei mesi scorsi il violento conflitto scoppiato nella regione dei Balcani, teatro già negli anni precedenti di una terribile guerra a sfondo etnico: altro sangue è stato versato, altre distruzioni si sono avute, altro odio è stato alimentato. Ora, che finalmente il furore delle armi s'è placato, si comincia a pensare alla ricostruzione nella prospettiva del nuovo millennio. Ma intanto continuano a divampare, anche in altri continenti, molteplici focolai di guerra, talvolta con massacri e violenze troppo presto dimenticati dalle cronache.

4. Se questi ricordi e queste attualità dolorose ci rattristano, non possiamo dimenticare che il nostro secolo ha visto levarsi all'orizzonte molteplici segnali positivi, che costituiscono altrettante risorse di speranza per il terzo millennio. E cresciuta così — pur tra tante contraddizioni, specie sul versante del rispetto della vita di ogni essere umano — la coscienza dei diritti umani universali, proclamati in solenni dichiarazioni che impegnano i popoli.

Si è venuto, altresì, sviluppando il senso del diritto dei popoli ad auto-governarsi nel quadro di rapporti nazionali e internazionali ispirati alla valorizzazione delle identità culturali e insieme al rispetto delle minoranze. Il crollo di sistemi totalitari, come quelli dell'Est europeo, ha fatto crescere la percezione universale del valore della democrazia e del libero mercato, pur lasciando l'enorme sfida di coniugare libertà e giustizia sociale.

E pure da considerare un grande dono di Dio che le religioni stiano tentando, con sempre maggior determinazione, un dialogo che le renda elemento fondamentale di pace e di unità per il mondo.

E che dire poi della crescita, nella coscienza comune, del riconoscimento della dignità della donna? C'è indubbiamente ancora molto cammino da percorrere, ma la linea è tracciata. Motivo di speranza è inoltre l'intensificarsi delle comunicazioni che, favorite dall'attuale tecnologia, permettono di superare i confini tradizionali, facendoci sentire cittadini del mondo.

Altro importante campo di maturazione è la nuova sensibilità ecologica, che merita di essere incoraggiata. Fattori di speranza sono anche i grandi progressi della medicina e delle scienze applicate al benessere dell'uomo.

Tanti sono dunque i motivi per i quali dobbiamo ringraziare Dio. Questo scorcio di secolo si presenta, nonostante tutto, con grandi potenzialità di pace e di progresso. Dalle stesse prove attraverso cui è passata la nostra generazione emerge una luce capace di illuminare gli anni della nostra vecchiaia. Risulta così confermato un principio che è caro alla fede cristiana: «Le tribolazioni non solo non distruggono la speranza, ma ne sono il fondamento»[8].

È suggestivo allora che, mentre il secolo ed il millennio si avviano al tramonto e si intravvede già l'alba d'una nuova stagione per l'umanità, noi ci fermiamo a meditare sulla realtà del tempo che scorre via veloce, non per rassegnarci ad un destino inesorabile, ma per valorizzare appieno gli anni che ci restano da vivere.

L'autunno della vita

5. Che cosa è la vecchiaia? Di essa a volte si parla come dell'autunno della vita — lo faceva già Cicerone[9] — seguendo l'analogia suggerita dalle stagioni e dal susseguirsi delle fasi della natura. Basta guardare il variare del paesaggio, lungo il corso dell'anno, sulle montagne e nelle pianure, nei prati, nelle vallate, nei boschi, sugli alberi e sulle piante. C'è una stretta somiglianza tra i bio-ritmi dell'uomo e i cicli della natura, di cui egli è parte.

Allo stesso tempo, però, l'uomo si distingue da ogni altra realtà che lo circonda, perché è persona. Plasmato ad immagine e somiglianza di Dio, egli è soggetto consapevole e responsabile. Anche nella sua dimensione spirituale, tuttavia, egli vive il succedersi di fasi diverse, tutte ugualmente fuggevoli. Sant'Efrem il Siro amava paragonare la vita alle dita di una mano, sia per mettere in evidenza che la sua lunghezza non va oltre quella di una spanna, sia per indicare che, al pari di ciascun dito, ogni fase della vita ha la sua caratteristica, e «le dita rappresentano i cinque gradini su cui l'uomo avanza»[10].

Se, pertanto, l'infanzia e la giovinezza sono il periodo in cui l'essere umano è in formazione, vive proiettato verso il futuro, e, prendendo consapevolezza delle proprie potenzialità, imbastisce progetti per l'età adulta, la vecchiaia non manca dei suoi beni, perché — come osserva san Girolamo — attenuando l'impeto delle passioni, essa «accresce la sapienza, dà più maturi consigli»[11]. In un certo senso, è l'epoca privilegiata di quella saggezza che in genere è frutto dell'esperienza, perché «il tempo è un grande maestro»[12]. È ben nota, poi la preghiera del Salmista: «Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore» (Sal 90 [89], 12).

Gli anziani nella Sacra Scrittura

6. «La giovinezza e i capelli neri sono un soffio», osserva Qoelet (11, 10). La Bibbia non si esime dal richiamare l'attenzione, talora con schietto realismo, sulla caducità della vita e sul tempo che scorre inesorabilmente: «Vanità delle vanità [...] vanità delle vanità, tutto è vanità» (Qo 1, 2): chi non conosce il severo ammonimento dell'antico Sapiente? Lo comprendiamo specialmente noi anziani, ammaestrati dall'esperienza.

Nonostante questo disincantato realismo, la Scrittura conserva una visione molto positiva del valore della vita. L'uomo resta sempre fatto a «immagine di Dio» (cfr. Gn 1, 26) ed ogni età ha la sua bellezza e i suoi compiti. L'età avanzata trova, anzi, nella parola di Dio una grande considerazione al punto che la longevità è vista come segno della benevolenza divina (cfr. Gn 11, 10-32). Con Abramo, uomo di cui viene sottolineato il privilegio dell'anzianità, questa benevolenza assume il volto di una promessa: «Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò ed in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gn 12, 2-3). Accanto a lui c'è Sara, la donna che vede il proprio corpo invecchiare, ma che sperimenta nel limite della carne ormai sfiorita la potenza di Dio che supplisce all'umana insufficienza.

Anziano è Mosè, quando Dio gli affida la missione di far uscire il popolo eletto dall'Egitto. Le grandi opere che per mandato del Signore egli compie in favore di Israele non occupano gli anni della giovinezza, ma della vecchiaia. Tra altri esempi offerti da anziani, vorrei citare la vicenda di Tobi, il quale con umiltà e coraggio si impegna ad osservare la legge di Dio, ad aiutare i bisognosi, a sopportare con pazienza la cecità fino a sperimentare l'intervento risolutore dell'angelo di Dio (cfr. Tb 3, 16-17); ed ancora quella di Eleazaro, il cui martirio è testimonianza di singolare generosità e fortezza (cfr. 2 Mac 6, 18-31).

7. Anche il Nuovo Testamento, pervaso dalla luce di Cristo, annovera eloquenti figure di anziani. Il Vangelo di Luca si apre presentando una coppia di coniugi «avanti negli anni» (1, 7): Elisabetta e Zaccaria, genitori di Giovanni Battista. Verso di loro si rivolge la misericordia del Signore (cfr. Lc 1, 5-25.39-79): a Zaccaria ormai vecchio viene annunciata la nascita di un figlio. Egli stesso lo sottolinea: «Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni» (Lc 1, 18). Durante la visita di Maria, l'anziana cugina Elisabetta, piena di Spirito Santo, esclama: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo» (Lc 1, 42) ed alla nascita di Giovanni Battista, Zaccaria intona l'inno del Benedictus. Ecco una mirabile coppia di anziani, pervasa da profondo spirito di preghiera.

Nel tempio di Gerusalemme Maria e Giuseppe, che vi hanno portato Gesù per offrirlo al Signore, o piuttosto, secondo la Legge, per riscattarlo come primogenito, incontrano il vecchio Simeone, che a lungo aveva atteso il Messia. Prendendo il Bambino tra le braccia, egli benedice Iddio e prorompe nel Nunc dimittis: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace...» (Lc 2, 29).

Accanto a lui troviamo Anna, vedova di ottantaquattro anni, frequentatrice assidua del Tempio, che nell'occasione ha la gioia di vedere Gesù. Nota l'Evangelista che «si mise a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (Lc 2, 38).

Anziano è Nicodemo, stimato componente del Sinedrio. Egli si reca di notte da Gesù per non dare nell'occhio. A lui il divin Maestro rivela di essere il Figlio di Dio, venuto a salvare il mondo (cfr. Gv 3, 1-21). Ritroveremo Nicodemo al momento della sepoltura di Cristo, quando, portando una mistura di mirra e di aloe, vincerà la paura e si manifesterà come discepolo del Crocifisso (cfr. Gv 19, 38-40). Quali confortanti testimonianze, queste! Ci ricordano come in ogni età il Signore chieda a ciascuno l'apporto dei propri talenti. Il servizio al Vangelo non è questione di età!

E che dire dell'anziano Pietro, chiamato a testimoniare la sua fede con il martirio? Gli aveva detto un giorno Gesù: «Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21, 18). Sono parole che, in quanto successore di Pietro, mi toccano da vicino e mi fanno sentire forte il bisogno di tendere le mani verso quelle di Cristo, in obbedienza al suo comando: «Seguimi!» (Gv 21, 19).

8. Il Salmo 92 [91], quasi sintetizzando le fulgide testimonianze di anziani che troviamo nella Bibbia, proclama: «Il giusto fiorirà come palma, / crescerà come cedro del Libano;... / Nella vecchiaia daranno ancora frutti, / saranno vegeti e rigogliosi, / per annunziare quanto è retto il Signore» (13, 15-16). E l'apostolo Paolo, facendo eco al Salmista, annota nella Lettera a Tito: «I vecchi siano sobri, dignitosi, assennati, saldi nella fede, nell'amore e nella pazienza. Ugualmente le donne anziane si comportino in maniera degna dei credenti...; sappiano insegnare il bene, per formare le giovani all'amore del marito e dei figli» (2, 2-5).

La vecchiaia, dunque, alla luce dell'insegnamento e nel lessico proprio della Bibbia, si propone come «tempo favorevole» per il compimento dell'umana avventura, e rientra nel disegno divino riguardo ad ogni uomo come tempo in cui tutto converge, perché egli possa meglio cogliere il senso della vita e raggiungere la «sapienza del cuore». «Vecchiaia veneranda — osserva il Libro della Sapienza — non è la longevità, né si calcola dal numero degli anni; ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza; vera longevità è una vita senza macchia» (4, 8-9). Essa costituisce la tappa definitiva della maturità umana ed è espressione della benedizione divina.

Custodi di una memoria collettiva

9. Nel passato si nutriva grande rispetto per gli anziani. Scriveva in proposito il poeta latino Ovidio: «Grande era un tempo la riverenza per il capo canuto»[13]. Secoli prima, il poeta greco Focilide ammoniva: «Rispetta i capelli bianchi: rendi al vecchio savio quegli omaggi stessi che tributi a tuo padre»[14].

Ed oggi? Se ci soffermiamo ad analizzare la situazione attuale, constatiamo che presso alcuni popoli la vecchiaia è stimata e valorizzata; presso altri, invece, lo è molto meno a causa di una mentalità che pone al primo posto l'utilità immediata e la produttività dell'uomo. Per via di tale atteggiamento, la cosiddetta terza o quarta età è spesso deprezzata, e gli anziani stessi sono indotti a domandarsi se la loro esistenza sia ancora utile.

Si giunge persino a proporre con crescente insistenza l'eutanasia, come soluzione per le situazioni difficili. Il concetto di eutanasia, purtroppo, è venuto perdendo in questi anni per molte persone quella connotazione di orrore che naturalmente suscita negli animi sensibili al rispetto della vita. Certo, può accadere che, nei casi di malattie gravi con sofferenze insopportabili, le persone provate siano tentate di esasperazione e i loro cari o quanti sono preposti alle loro cure possano sentirsi spinti da una malintesa compassione a ritenere ragionevole la soluzione della «morte dolce». A tal proposito, occorre ricordare che la legge morale consente di rinunciare al cosiddetto «accanimento terapeutico»[15], e richiede soltanto quelle cure che rientrano nelle normali esigenze dell'assistenza medica. Ma ben altro è l'eutanasia intesa come diretta provocazione della morte! Malgrado le intenzioni e le circostanze, essa resta un atto intrinsecamente cattivo, una violazione della legge divina, un'offesa alla dignità della persona umana[16].

10. Urge ricuperare la giusta prospettiva da cui considerare la vita nel suo insieme. E la prospettiva giusta è l'eternità, della quale la vita è preparazione significativa in ogni sua fase. Anche la vecchiaia ha un suo ruolo da svolgere in questo processo di progressiva maturazione dell'essere umano in cammino verso l'eterno. Da questa maturazione non potrà non trarre giovamento lo stesso gruppo sociale di cui l'anziano è parte.

Gli anziani aiutano a guardare alle vicende terrene con più saggezza, perché le vicissitudini li hanno resi esperti e maturi. Essi sono custodi della memoria collettiva, e perciò interpreti privilegiati di quell'insieme di ideali e di valori comuni che reggono e guidano la convivenza sociale. Escluderli è come rifiutare il passato, in cui affondano le radici del presente, in nome di una modernità senza memoria. Gli anziani, grazie alla loro matura esperienza, sono in grado di proporre ai giovani consigli ed ammaestramenti preziosi.

Gli aspetti di fragile umanità, connessi in maniera più visibile con la vecchiaia, diventano in questa luce un richiamo all'interdipendenza ed alla necessaria solidarietà che legano tra loro le generazioni, perché ogni persona è bisognosa dell'altra e si arricchisce dei doni e dei carismi di tutti.

Suonano significative, al riguardo, le considerazioni di un poeta a me caro, che così scrive: «Non è eterno solo il futuro, non solo!... Sì, anche il passato è l'era dell'eternità: quanto è già successo, non si ripresenterà d'un tratto così com'era... Ritornerà come Idea, non ricomparirà come se stesso»[17].

«Onora il padre e la madre»

11. Perché allora non continuare a tributare all'anziano quel rispetto che le sane tradizioni di molte culture in ogni continente hanno posto in valore? Per i popoli dell'area raggiunta dall'influsso biblico, il riferimento è stato, nei secoli, il comandamento del Decalogo: «Onora il padre e la madre»; un dovere, peraltro, universalmente riconosciuto. Dalla sua piena e coerente applicazione non è scaturito soltanto l'amore per i genitori da parte dei figli, ma è stato anche evidenziato il forte legame che esiste fra le generazioni. Dove il precetto viene accolto e fedelmente osservato, gli anziani sanno di non correre il pericolo di essere considerati un peso inutile ed ingombrante.

Il comandamento insegna, inoltre, a tributare rispetto a coloro che ci hanno preceduto e a quanto hanno operato di bene: «il padre e la madre» indicano il passato, il legame tra una generazione e l'altra, la condizione che rende possibile l'esistenza stessa di un popolo. Secondo la duplice redazione proposta dalla Bibbia (cfr. Es 20, 2-17; Dt 5, 6-21), questo comando divino occupa il primo posto nella seconda Tavola, quella concernente i doveri dell'essere umano verso se stesso e verso la società. E poi l'unico a cui è legata una promessa: «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio» (Es 20, 12; cfr. Dt 5, 16).

12. «Alzati davanti a chi ha i capelli bianchi, onora la persona del vecchio» (Lv 19, 32). Onorare gli anziani comporta un triplice dovere verso di loro: l'accoglienza, l'assistenza, la valorizzazione delle loro qualità. In molti ambienti ciò avviene quasi spontaneamente, come per antica consuetudine. Altrove, specialmente nelle nazioni economicamente più progredite, s'impone una doverosa inversione di tendenza, per far sì che coloro che avanzano negli anni possano invecchiare con dignità, senza dover temere di essere ridotti a non contare più nulla. Occorre convincersi che è proprio di una civiltà pienamente umana rispettare e amare gli anziani, perché essi si sentano, nonostante l'affievolirsi delle forze, parte viva della società. Osservava già Cicerone che «il peso dell'età è più lieve per chi si sente rispettato ed amato dai giovani»[18].

Lo spirito umano, del resto, pur partecipando all'invecchiamento del corpo, rimane in un certo senso sempre giovane, se vive rivolto verso l'eterno, e di questa perenne giovinezza fa più viva esperienza, quando all'interiore testimonianza della buona coscienza, si unisce l'affetto premuroso e grato delle persone care. L'uomo, allora, come scrive san Gregorio di Nazianzo, «non invecchierà nello spirito: accetterà la dissoluzione come il momento stabilito per la necessaria libertà. Dolcemente trasmigrerà nell'aldilà dove nessuno è immaturo o vecchio, ma tutti sono perfetti nell'età spirituale»[19].

Tutti conosciamo esempi eloquenti di anziani con una sorprendente giovinezza e vigoria dello spirito. Per chi li avvicina, essi sono di stimolo con le loro parole e di conforto con l'esempio. Possa la società valorizzare appieno gli anziani, che in alcune regioni del mondo — penso in particolare all'Africa — sono stimati giustamente come «biblioteche viventi» di saggezza, custodi di un patrimonio inestimabile di testimonianze umane e spirituali. Se è vero che sul piano fisico hanno in genere bisogno di aiuto, è altrettanto vero che, nella loro età avanzata, possono offrire sostegno ai passi dei giovani che si affacciano all'orizzonte dell'esistenza per saggiarne i percorsi.

Mentre parlo degli anziani, non posso non rivolgermi anche ai giovani per invitarli a stare loro accanto. Vi esorto, cari giovani, a farlo con amore e generosità. Gli anziani possono darvi molto di più di quanto possiate immaginare. Il Libro del Siracide in proposito ammonisce: «Non trascurare i discorsi dei vecchi, perché anch'essi hanno imparato dai loro padri» (8, 9); «Frequenta le riunioni degli anziani; qualcuno è saggio? Unisciti a lui» (6, 34); perché agli anziani «si addice la sapienza» (25, 5).

13. La comunità cristiana può ricevere molto dalla serena presenza di chi è avanti negli anni. Penso, soprattutto, all'evangelizzazione: la sua efficacia non dipende principalmente dall'efficienza operativa. In quante famiglie i nipotini ricevono dai nonni i primi rudimenti della fede! Ma sono molti altri i campi a cui può estendersi il benefico apporto degli anziani. Lo Spirito agisce come e dove vuole, servendosi non di rado di vie umane che agli occhi del mondo appaiono di poco conto. Quanti trovano comprensione e conforto in persone anziane, sole o ammalate, ma capaci di infondere coraggio mediante il consiglio amorevole, la silenziosa preghiera, la testimonianza della sofferenza accolta con paziente abbandono! Proprio mentre vengono meno le energie e si riducono le capacità operative, questi nostri fratelli e sorelle diventano più preziosi nel disegno misterioso della Provvidenza.

Anche sotto questo profilo, dunque, oltre che per un'evidente esigenza psicologica dell'anziano stesso, il luogo più naturale per vivere la condizione di anzianità resta quello dell'ambiente in cui egli è «di casa», tra parenti, conoscenti ed amici, e dove può rendere ancora qualche servizio. A mano a mano che, con l'allungamento medio della vita, la fascia degli anziani cresce, diventerà sempre più urgente promuovere questa cultura di una anzianità accolta e valorizzata, non relegata ai margini. L'ideale resta la permanenza dell'anziano in famiglia, con la garanzia di efficaci aiuti sociali rispetto ai bisogni crescenti che l'età o la malattia comportano. Ci sono tuttavia situazioni, in cui le circostanze stesse consigliano o impongono l'ingresso in «case per anziani», perché l'anziano possa godere della compagnia di altre persone e usufruire di un'assistenza specializzata. Tali istituzioni sono pertanto lodevoli, e l'esperienza dice che possono rendere un servizio prezioso, nella misura in cui si ispirano a criteri non solo di efficienza organizzativa, ma anche di affettuosa premura. Tutto è in questo senso più facile, se il rapporto stabilito con i singoli ospiti anziani da parte di familiari, amici, comunità parrocchiali, è tale da aiutarli a sentirsi persone amate e ancora utili per la società. E come non inviare qui un ammirato e grato pensiero alle Congregazioni religiose ed ai gruppi di volontariato, che si dedicano con speciale cura proprio all'assistenza degli anziani, soprattutto di quelli più poveri, abbandonati o in difficoltà?

Carissimi anziani, che vi trovate in precarie condizioni per la salute o per altro, vi sono vicino con affetto. Quando Dio permette la nostra sofferenza a causa della malattia, della solitudine o per altre ragioni connesse con l'età avanzata, ci dà sempre la grazia e la forza perché ci uniamo con più amore al sacrificio del Figlio e partecipiamo con più intensità al suo progetto salvifico. Siamone persuasi: Egli è Padre, un Padre ricco di amore e di misericordia!

Penso in maniera speciale a voi, vedovi e vedove, rimasti soli a percorrere l'ultimo tratto della vita; a voi, religiosi e religiose anziani, che per lunghi anni avete servito fedelmente la causa del Regno dei cieli; a voi, carissimi fratelli nel Sacerdozio e nell'Episcopato, che per raggiunti limiti di età avete lasciato la diretta responsabilità del ministero pastorale. La Chiesa ha ancora bisogno di voi. Essa apprezza i servizi che ancora vi sentite di prestare in molteplici campi di apostolato, conta sul vostro apporto di prolungata preghiera, attende i vostri sperimentati consigli, e si arricchisce della testimonianza evangelica da voi resa giorno dopo giorno.

«Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza» (Sal 16 [15], 11)

14. È naturale che, con il passare degli anni, diventi familiare il pensiero del «tramonto». Se non altro, ce lo ricorda il fatto stesso che le file dei nostri parenti, amici e conoscenti vanno assottigliandosi: ce ne rendiamo conto in varie circostanze, ad esempio quando ci ritroviamo per riunioni di famiglia, per incontri con i nostri compagni d'infanzia, di scuola, di università, di servizio militare, con i nostri colleghi di seminario... Il confine tra la vita e la morte attraversa le nostre comunità e si avvicina a ciascuno di noi inesorabilmente. Se la vita è un pellegrinaggio verso la patria celeste, la vecchiaia è il tempo in cui più naturalmente si guarda alla soglia dell'eternità.

E tuttavia anche noi anziani facciamo fatica a rassegnarci alla prospettiva di questo passaggio. Esso infatti presenta, nella condizione umana segnata dal peccato, una dimensione di oscurità che necessariamente ci intristisce e ci mette paura. E come potrebbe essere diversamente? L'uomo è stato fatto per la vita, mentre la morte — come la Scrittura ci spiega fin dalle prime pagine (cfr. Gn 2-3) — non era nel progetto originario di Dio, ma è subentrata in seguito al peccato, frutto dell'«invidia del diavolo» (Sap 2, 24). Si comprende dunque perché, di fronte a questa realtà tenebrosa, l'uomo reagisca e si ribelli. E significativo a tal proposito che Gesù stesso, «provato in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (Eb 4, 15), abbia avuto paura di fronte alla morte: «Padre, se possibile, passi da me questo calice» (Mt 26, 39). E come dimenticare le sue lacrime davanti alla tomba dell'amico Lazzaro, nonostante che egli si accingesse a risuscitarlo (cfr. Gv 11, 35)?

Per quanto la morte sia razionalmente comprensibile sotto il profilo biologico, non è possibile viverla con «naturalezza». Essa contrasta con l'istinto più profondo dell'uomo. Ha detto in proposito il Concilio: «In faccia alla morte l'enigma della condizione umana diventa sommo. Non solo si affligge, l'uomo, al pensiero dell'avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, ed anzi più ancora, per il timore che tutto finisca per sempre»[20]. Certo, il dolore resterebbe inconsolabile, se la morte fosse la distruzione totale, la fine di tutto. La morte costringe perciò l'uomo a porsi le domande radicali sul senso stesso della vita: che c'è oltre il muro d'ombra della morte? Costituisce essa il termine definitivo della vita o esiste qualcosa che l'oltrepassa?

15. Non mancano, nella cultura dell'umanità, dai tempi più antichi ai nostri giorni, risposte riduttive, che limitano la vita a quella che viviamo su questa terra. Nello stesso Antico Testamento, alcune annotazioni nel Libro di Qoelet fanno pensare alla vecchiaia come ad un edificio in demolizione ed alla morte come alla sua totale e definitiva distruzione (cfr. 12, 1-7). Ma, proprio alla luce di queste risposte pessimistiche, acquista maggior rilievo la prospettiva piena di speranza, che emana dall'insieme della Rivelazione, e specialmente dal Vangelo: «Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi» (Lc 20, 38). Attesta l'apostolo Paolo che il Dio che dà vita ai morti (cfr. Rm 4, 17) darà la vita anche ai nostri corpi mortali (cfr. Ibid., 8, 11). E Gesù afferma di se stesso: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» (Gv 11, 25-26).

Cristo, avendo varcato i confini della morte, ha rivelato la vita che sta oltre questo limite in quel «territorio» inesplorato dall'uomo che è l'eternità. Egli è il primo Testimone della vita immortale; in Lui la speranza umana si rivela piena di immortalità. «Se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell'immortalità futura»[21]. A queste parole, che la Liturgia offre ai credenti come conforto nell'ora del commiato da una persona cara, segue un annuncio di speranza: «Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un'abitazione eterna nel cielo»[22]. In Cristo la morte, realtà drammatica e sconvolgente, viene riscattata e trasformata, fino a manifestare il volto di una «sorella» che ci conduce tra le braccia del Padre[23].

16. La fede illumina così il mistero della morte e infonde serenità alla vecchiaia, non più considerata e vissuta come attesa passiva di un evento distruttivo, ma come promettente approccio al traguardo della maturità piena. Sono anni da vivere con un senso di fiducioso abbandono nelle mani di Dio, Padre provvidente e misericordioso; un periodo da utilizzare in modo creativo in vista di un approfondimento della vita spirituale, mediante l'intensificazione della preghiera e l'impegno di dedizione ai fratelli nella carità.

Sono perciò da lodare tutte quelle iniziative sociali che permettono agli anziani sia di continuare a coltivarsi fisicamente, intellettualmente e nella vita di relazione, sia di rendersi utili, mettendo a disposizione degli altri il proprio tempo, le proprie capacità e la propria esperienza. In questo modo, si conserva ed accresce il gusto della vita, fondamentale dono di Dio. D'altra parte, con tale gusto della vita non contrasta quel desiderio dell'eternità, che matura in quanti fanno un'esperienza spirituale profonda, come ben testimonia la vita dei Santi.

Il Vangelo ci ricorda in proposito le parole del vecchio Simeone, che si dichiara pronto a morire, dal momento che ha potuto stringere tra le sue braccia il Messia atteso: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza» (Lc 2, 29-30). L'apostolo Paolo si sentiva in certo senso combattuto tra il desiderio di continuare a vivere, per annunciare il Vangelo, e il desiderio di «essere sciolto dal corpo per essere con Cristo» (Fil 1, 23). Sant'Ignazio di Antiochia, mentre andava gioioso a subire il martirio, testimoniava di sentire nell'animo la voce dello Spirito Santo, quasi «acqua» viva che gli sgorgava dentro e gli sussurrava l'invito: «Vieni al Padre»[24]. Gli esempi potrebbero continuare. Essi non gettano alcun'ombra sul valore della vita terrena, che è bella, nonostante limiti e sofferenze, e va vissuta fino in fondo. Ci ricordano però che essa non è il valore ultimo, sicché il tramonto dell'esistenza, nella percezione cristiana, assume i contorni di un «passaggio», di un ponte gettato dalla vita alla vita, tra la gioia fragile e insicura di questa terra e la gioia piena che il Signore riserva ai suoi servi fedeli: «Entra nella gioia del tuo Signore!» (Mt 25, 21).

Un augurio di vita

17. In questo spirito, mentre vi auguro, cari fratelli e sorelle anziani, di vivere serenamente gli anni che il Signore ha disposto per ciascuno, mi viene spontaneo parteciparvi fino in fondo i sentimenti che mi animano in questo scorcio della mia vita, dopo più di vent'anni di ministero sul soglio di Pietro, e nell'attesa del terzo millennio ormai alle porte. Nonostante le limitazioni sopraggiunte con l'età, conservo il gusto della vita. Ne ringrazio il Signore. È bello potersi spendere fino alla fine per la causa del Regno di Dio.

Al tempo stesso, trovo una grande pace nel pensare al momento in cui il Signore mi chiamerà: di vita in vita! Per questo mi sale spesso alle labbra, senza alcuna vena di tristezza, una preghiera che il sacerdote recita dopo la celebrazione eucaristica: In hora mortis meae voca me, et iube me venire ad te — nell'ora della morte chiamami, e comanda che io venga a te. È la preghiera della speranza cristiana, che nulla toglie alla letizia dell'ora presente, mentre consegna il futuro alla custodia della divina bontà.

18. «Iube me venire ad te!»: è questo l'anelito più profondo del cuore umano, anche in chi non ne è consapevole.

Dacci, o Signore della vita, di prenderne lucida coscienza e di assaporare come un dono, ricco di ulteriori promesse, ogni stagione della nostra vita.

Fa' che accogliamo con amore la tua volontà, ponendoci ogni giorno nelle tue mani misericordiose.

E quando verrà il momento del definitivo «passaggio», concedici di affrontarlo con animo sereno, senza nulla rimpiangere di quanto lasceremo.

Incontrando Te, dopo averti a lungo cercato, ritroveremo infatti ogni valore autentico sperimentato qui sulla terra, insieme con quanti ci hanno preceduto nel segno della fede e della speranza.

E tu, Maria, Madre dell'umanità pellegrina, prega per noi «adesso e nell'ora della nostra morte». Tienici sempre stretti a Gesù, Figlio tuo diletto e nostro fratello, Signore della vita e della gloria.

Amen!

Dal Vaticano, il 1 Ottobre 1999.

[1] S. GIOVANNI DAMASCENO, Esposizione della fede ortodossa, 2, 29.

[2] Cfr. La dignità dell'anziano e la sua missione nella Chiesa e nel mondo, Città del Vaticano 1998.

[3] VIRGILIO, «Fugit inreparabile tempus», Georgiche, III, 284.

[4] Liturgia della Veglia pasquale.

[5] S. IRENEO DI LIONE, Adversus hæreses, 4, 20, 4.

[6] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus, 1-V-1991, 18.

[7] Cfr. Ibid., 23.

[8] S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento alla Lettera ai Romani, 9, 2.

[9] Cfr. Cato maior, seu De senectute, 19, 70.

[10] Su «Tutto è vanità e afflizione di spirito», 5-6.

[11] «Auget sapientiam, dat maturiora consilia», Commentaria in Amos, 2, prol.

[12] CORNEILLE, Sertorius, a. II, sc. 4, b. 717.

[13] «Magna fuit quondam capitis reverentia cani», Fasti, lib. V, v. 57.

[14] Sentenze, XLII.

[15] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium vitæ, 65.

[16] Cfr. Ibid.

[17] C. NORWID, Nie tylko przyszlosc..., Post scriptum, I, vv. 1-4.

[18] «Levior fit senectus, eorum qui a iuventute coluntur et diliguntur», Cato maior, seu De senectute, 8, 26.

[19] Discorso dopo il ritorno dalla campagna, 11.

[20] CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 18.

[21] Messale Romano, 1º Prefazio dei defunti.

[22] Ibid.

[23] Cfr. S. FRANCESCO D'ASSISI, Cantico delle creature.

[24] Lettera ai Romani, 7, 2.

Romana, n. 29, Luglio-Dicembre 1999, p. 188-200.

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