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Il 21 settembre, il Vescovo Prelato dell’Opus Dei, Mons. Javier Echevarría ha conferito l’ordine sacerdotale a ventidue diaconi della Prelatura nella Basilica di Sant’Eugenio, a Roma. Ha pronunziato la seguente omelia.

1. La creazione giubili insieme agli Angeli. Ti lodi, ti glorifichi, o Dio altissimo[1]. Gli uomini e gli Angeli prorompono in un inno di lode a Dio, dinanzi al mistero che si compie sull’altare. Ogni volta che rinnoviamo l’offerta del sacrificio di Cristo si attualizza la sconfinata forza vivificante della Redenzione. Essa sembra addirittura dilatarsi in una celebrazione come quella odierna, nella quale, mediante il Sacramento dell’Ordine, la Chiesa conferisce ad altri suoi figli la potestà di esercitare, in persona Christi, gli atti del ministero sacro.

Grazie a Dio, questa è la terza ordinazione presbiterale di diaconi della Prelatura dell’Opus Dei ad aver luogo nell’anno in corso. Anche oggi, come nelle occasioni precedenti, anziché tracciare una descrizione sistematica del dono del sacerdozio, mi soffermerò solo su qualche suo aspetto, utile a captare almeno un barlume dell’immensa ricchezza che si sprigiona dal tesoro della nostra fede. A questo scopo, desidero prendere spunto proprio dal canto d’ingresso: la creazione giubili insieme agli Angeli. Ti lodi, ti glorifichi, o Dio altissimo.

Nell’inno che fa da proemio alla lettera agli Efesini, San Paolo esalta il disegno dell’amore divino verso il mondo e spiega come esso, avendo il proprio vertice nella redenzione dell’uomo caduto, investa l’intera creazione: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra[2]. Il piano della salvezza, scaturito nell’eterno presente della prescienza di Dio, prende le mosse nell’atto stesso della creazione assumendo Cristo quale centro: per mezzo del Verbo, infatti, tutte le cose sono state create; in Lui sussistono; a Cristo l’universo intero è orientato come al proprio fine[3]. Giunta la pienezza dei tempi, con l’Incarnazione del Verbo, tale disegno entra nella fase culminante. In Cristo, Dio assume la natura umana, si immerge nel creato: in un corpo tratto dal grembo di una donna[4] abita tutta la pienezza della divinità[5].

Vivendo fra noi, lavorando con il sudore della propria fronte, Gesù innalza al Padre e divinizza tutto il creato. È con pieno rigore teologico che il Beato Josemaría parla del «materialismo cristiano, che si oppone audacemente ai materialismi chiusi allo spirito»[6]. E ne spiega così una delle implicazioni più importanti per la vita spirituale del cristiano: «Non si può dire che ci siano realtà — buone, nobili, e anche indifferenti — esclusivamente profane: perché il Verbo di Dio ha stabilito la sua dimora in mezzo ai figli degli uomini, ha avuto fame e sete, ha lavorato con le sue mani, ha conosciuto l’amicizia e l’obbedienza, ha sperimentato il dolore e la morte»[7].

Infine, morendo sul Calvario, il Signore porta a compimento il progetto divino, rappacificando con il sangue della sua croce le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli[8]. La Redenzione, nelle parole di San Paolo, ci si rivela dunque come una vera e propria nuova creazione, nella quale tutto viene riconciliato con Dio, restituito a Lui, in Cristo, al quale pertanto spetta il primato su tutte le cose[9].

È il mistero del Regno di Cristo, che si snoda nella storia attraverso la Chiesa. Ne vedremo la piena attuazione alla fine dei tempi[10]: Quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti[11]. Per ora, la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio (...) e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio[12]. Ma fin da adesso la Chiesa edifica il Regno di Cristo nel mondo. E di quest’opera l’Eucaristia rappresenta il fattore decisivo, come afferma il Santo Padre Giovanni Paolo II: «In questo sacrificio, da una parte è presente nel modo più profondo lo stesso mistero trinitario, dall’altra è come “ricapitolato” tutto l’universo creato»[13]. Nel sacrificio di Cristo, capo del Corpo che è la Chiesa, con l’uomo redento tutte le creature benedicono Dio, come recita il Cantico dei tre fanciulli che costituisce una delle più antiche preghiere di ringraziamento della Messa: Benedicite omnia opera Domini Domino...[14]. Sottolineando questa dimensione cosmica della Redenzione, il Papa aggiunge che nella Santa Messa la Chiesa offre «sull’altare della terra intera il lavoro e la sofferenza del mondo». E conclude: «Nell’Eucaristia Cristo restituisce al Padre tutto ciò che da Lui proviene. Si realizza così un profondo mistero di giustizia della creatura verso il Creatore. Bisogna che l’uomo renda onore al Creatore offrendo, con atto di ringraziamento e di lode, tutto ciò che da Lui ha ricevuto. L’uomo non può smarrire il senso di questo debito»[15].

2. La Santa Messa contiene dunque un’esplicita chiamata di Dio ai cristiani, affinché si impegnino a soddisfare questo debito anche con il proprio lavoro nel mondo: a plasmare cioè tutta la realtà creata, dando seguito all’opera della creazione, informando con lo spirito di Cristo, in armoniosa unità di vita, tutte le proprie occupazioni terrene e conferendo alla propria attività il senso della glorificazione di Dio. Il Concilio Vaticano II proclama: «L’opera della redenzione di Cristo, mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure l’instaurazione di tutto l’ordine temporale. Perciò la missione della Chiesa non è soltanto di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche di permeare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico»[16].

Il Concilio stesso, illustrando questo aspetto della missione della Chiesa, che opera visibilmente per la crescita del Regno di Cristo nel mondo, commenta che esso è «preannunziato dalle parole del Signore circa la sua morte in croce: “E io, quando sarò levato in alto da terra, tutti attirerò a me” (Gv 12, 32 gr.). Ogni volta che il sacrificio della croce, “col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immo1ato” (1 Cor 5, 7), viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione»[17].

Questo passo richiama alla nostra memoria un momento assai significativo nella vita del Beato Josemaría. Era il 7 agosto del 1931: il Signore di tanto in tanto faceva irruzione nella sua anima e lo illuminava, con luci nuove, in una comprensione sempre più profonda del contenuto teologico e della portata ecclesiale della missione dell’Opus Dei, fondato per ispirazione divina il 2 ottobre 1928.

Quel giorno del 1931, festa a Madrid della Trasfigurazione del Signore, mentre celebrava in intenso raccoglimento la Santa Messa, vibrando nel desiderio di prodigarsi fino allo stremo nel compimento della Volontà di Dio, il Beato Josemaría sentì echeggiare interiormente il passo evangelico che abbiamo appena letto nel testo conciliare. Ma seguiamo il suo racconto: «Giunse il momento della Consacrazione: nell’alzare la Sacra Ostia, senza perdere il dovuto raccoglimento, senza distrarmi — avevo appena fatto in mente l’offerta all’Amore misericordioso —, si presentò al mio pensiero, con forza e chiarezza straordinarie, quel passo della Scrittura: “et si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum” (Gv 12, 32). In genere, di fronte al soprannaturale ho paura. Poi viene il ne timeas!, sono Io». Questa locuzione improvvisa era la premessa di una grazia, strettamente legata alla sua missione fondazionale. Eccone la descrizione: «E compresi che saranno gli uomini e le donne di Dio ad innalzare la Croce con le dottrine di Cristo sul pinnacolo di tutte le attività umane... E vidi il Signore trionfare e attrarre a Sé tutte le cose»[18]. Era una nuova conferma della radice evangelica dello spirito dell’Opus Dei e della sua missione nella Chiesa: diffondere la coscienza della vocazione universale alla santità e la comprensione del lavoro professionale come ambito e mezzo di santificazione[19].

3. Quale conclusione possiamo trarre da tutto questo? Carissimi canditati al sacerdozio, riflettete sulla grandezza del vostro compito. Considerate il nesso che, alla luce dell’efficacia redentiva della Santa Messa, lega il ministero sacerdotale all’instaurazione del Regno di Dio sulla terra mediante il retto operare dei cristiani nella società. Esiste un rapporto inscindibile fra fede e opere, preghiera e lavoro, liturgia e vita, funzione del sacerdote e ruolo dei laici, sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune, nell’unica missione della Chiesa. Ogni volta che vi accosterete all’altare per celebrarvi l’Eucaristia, voi offrirete al Padre, con il sacrificio del Corpo e del Sangue di Cristo, il lavoro, la fatica, le difficoltà e le sofferenze di tutti gli uomini. Contribuirete così nascostamente, ma con quale efficacia!, alla santificazione del mondo intero. Chiedete dunque al Signore un cuore sacerdotale capace, come quello del Beato Josemaría, di abbracciare tutte le creature.

Vi leggo un suo testo, assai eloquente in proposito: «Io celebro la Messa con tutto il popolo di Dio. Anzi: mi stanno accanto anche coloro che finora non si sono accostati al Signore, i più lontani, quelli che ancora non fanno parte del suo gregge: anche costoro li porto nel cuore. E mi sento circondato da tutti gli uccelli che solcano in volo l’azzurro del cielo, fino, alcuni di loro, a guardare il sole in faccia (...). E sono attorniato da tutti gli animali che stanno sulla terra: i razionali, come noi uomini anche se a volte perdiamo la ragione, e gli irrazionali, che corrono sulla superficie terrestre o abitano nascosti nelle viscere del mondo. Io mi sento così, quando rinnovo il Santo Sacrificio della Croce!»[20].

Ricordatevi, in quei momenti, in modo particolare di tutti i fedeli della Prelatura, impegnati per la loro vocazione cristiana nelle più diverse attività umane a cercare la santità proprio nel lavoro professionale, e dei tanti che collaborano ai nostri apostolati. Qui sta il vostro primo servizio alla Chiesa. In questa prospettiva voglio rammentarvi l’eroico esempio che abbiamo ricevuto dal Beato Josemaría nell’esercizio del ministero della Penitenza: questo Sacramento, infatti, appare indispensabile nell’economia della santità e, in particolare, per amministrare e per ricevere degnamente l’Eucaristia.

4. Consentitemi di rammentarvi un altro momento, a mio avviso strettamente connesso con quello appena ricordato, della biografia spirituale del nostro santo Fondatore. È una prova ulteriore del grado di identificazione che il Beato Josemaría raggiunse con il mistero eucaristico. Il 24 ottobre 1966 egli ci confidò: «Sono arrivato a sessantacinque anni per fare una scoperta meravigliosa. Mi affascina celebrare la Santa Messa, ma ieri mi è costata una fatica tremenda. Un duro sforzo! Ho visto che la Messa è veramente Opus Dei, lavoro, come lavoro è stata per Cristo la sua prima Messa: la Croce. Ho visto che il compito del sacerdote, la celebrazione della Santa Messa, è un lavoro per confezionare l’Eucaristia; vi si sperimenta dolore, e gioia, e stanchezza. Ho sentito nella mia carne la spossatezza di un lavoro divino»[21].

Poche settimane dopo, aggiungeva: «Anche a Cristo è costata fatica (...). La sua Santissima Umanità faceva resistenza ad aprire le braccia sulla Croce, in gesto di eterno Sacerdote. La celebrazione del Santo Sacrificio non mi è mai costata tanto come ieri, quando ho sentito che anche la Messa è Opus Dei. Mi ha dato molta gioia, ma mi sono ritrovato sfinito»[22].

Non si tratta solo di un testo suggestivo. Per tutti noi, per voi, carissimi candidati al sacerdozio, qui si apre un orizzonte vastissimo di impegno spirituale: la celebrazione della Messa richiede che il sacerdote, sull’esempio di Cristo, spenda tutte le proprie energie, in effettivo olocausto, per le anime. E, con l’esempio, le guidi a tradurre in pratica la supplica che eleviamo oggi a Dio nella III Preghiera eucaristica: «Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il Regno promesso»[23]. Tutta la vita dei cristiani — sacerdoti e laici —, tutto il loro lavoro, divengono così in qualche modo una Messa: offerta di sé a Dio, in Cristo, per la salvezza del mondo.

Carissimi, davvero grande è la missione alla quale la Chiesa oggi vi chiama e vi abilita. Siate uniti al Papa ed ai Vescovi; in particolare desidero oggi invitarvi ad elevare la vostra preghiera a Dio per il Cardinale Vicario di Roma ed i suoi Vescovi ausiliari. Implorate il Signore della messe, affinché mandi molti operai nella sua messe: il mondo ha bisogno di sacerdoti santi. Prodigatevi nel ministero a favore di tutte le anime, a cominciare da quelle dei fedeli della Prelatura. Sappiate essere sempre strumenti di unità nell’Opus Dei, per servire efficacemente la Chiesa, come avete imparato dal Beato Josemaría e dal suo primo successore, Mons. Álvaro del Portillo.

Per queste intenzioni chiedo di cuore l’elemosina della preghiera di tutti i presenti e, in primo luogo, dei genitori, familiari ed amici di questi candidati al sacerdozio. La loro ordinazione è un dono divino anche per ciascuno di voi, un invito che il Signore vi rivolge personalmente a immedesimarvi sempre di più nel mistero della Chiesa ed a operare per il Regno di Cristo: vostro figlio, vostro fratello, pregherà ogni giorno per ognuno di voi.

Che Maria Santissima, Madre della Chiesa, faccia ardere nel nostro cuore un amore inestinguibile per suo Figlio e ci aiuti a trasformare tutta la nostra vita ed il nostro lavoro quotidiano in offerta a Dio Padre, in unione con il Sacrificio di Cristo, nella gioia dello Spirito Santo. Amen.

[1] Canto d’ingresso.

[2] Ef 1, 10.

[3] Cfr. Col 1, 16-18.

[4] Cfr. Gal 4, 4.

[5] Col 2, 9.

[6] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Colloqui, n. 115.

[7] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, È Gesù che passa, n. 112.

[8] Col 1, 20.

[9] Col 1, 18.

[10] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 48.

[11] 1 Cor 15, 28.

[12] Rm 8, 19-21.

[13] GIOVANNI PAOLO II, Dono e mistero, p. 84.

[14] Dan 3, 57.

[15] GIOVANNI PAOLO II, Dono e mistero, p. 85.

[16] CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 5.

[17] CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 3.

[18] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, 7-VIII-1931, in Apuntes íntimos, n. 217.

[19] La Neovulgata introduce nel testo giovanneo una variante rispetto alla versione dell’antica Vulgata: non più “attirerò tutto (omnia) a me”, ma “attirerò tutti (omnes) a me”. Fra le due dizioni non esiste contraddizione: attraverso l’innalzamento a Dio degli uomini, tutte le loro opere, il creato intero, viene elevato a Dio, ricapitolato in Cristo.

[20] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Parole in una riunione familiare, 22-V-1970 (AGP, P01 X-1970, p. 25).

[21] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Parole in una riunione familiare, 24-X-1966 (AGP, P01 1990, p. 69).

[22] BEATO JOSEMARÍA ESCRIVÁ, Parole in una riunione familiare, 9-IX-1966 (AGP, P01 1990, p. 69).

[23] Ordinario della Messa, Preghiera eucaristica III.

Romana, n. 25, Luglio-Dicembre 1997, p. 269-274.

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