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Lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo 1997 (16-III-1997)

1. Iesu, Sacerdos in æternum, miserere nobis!

Carissimi sacerdoti,

seguendo la tradizione di rivolgervi la parola nel giorno in cui vi radunate intorno al vostro Vescovo, per commemorare gioiosamente l’istituzione del sacerdozio nella Chiesa, rinnovo innanzitutto i miei sentimenti di gratitudine al Signore per le celebrazioni giubilari che, nei giorni 1 e 10 novembre dello scorso anno, videro tanti fratelli Sacerdoti partecipare alla mia gioia. Ringrazio tutti di vero cuore.

Un pensiero particolare va ai Sacerdoti, che l’anno scorso, come me, hanno celebrato il 50º della loro Ordinazione. Molti di loro non hanno esitato, nonostante gli anni e la distanza, a venire a Roma per concelebrare con il Papa il Giubileo d’Oro.

Ringrazio il Cardinale Vicario, i Vescovi suoi collaboratori, i presbiteri e i fedeli della Diocesi di Roma, i quali hanno manifestato in vari modi la loro unione con il Successore di Pietro, lodando Dio per il dono del sacerdozio. La mia riconoscenza si estende ai Signori Cardinali, agli Arcivescovi e ai Vescovi, ai Sacerdoti, ai Consacrati e alle Consacrate e a tutti i Fedeli della Chiesa per il dono della loro vicinanza, della loro preghiera, e per il Te Deum di ringraziamento, che insieme abbiamo cantato.

Desidero inoltre ringraziare tutti i Collaboratori della Curia Romana per quanto hanno fatto affinché questo Giubileo d’Oro del Papa potesse servire a ravvivare la consapevolezza del grande dono e mistero del sacerdozio. Prego costantemente il Signore di continuare ad accendere la scintilla della vocazione sacerdotale nell’anima di tanti giovani.

In quei giorni, mi sono recato più volte, col pensiero e col cuore, nella cappella privata degli Arcivescovi di Cracovia, dove il 1º novembre 1946 l’indimenticabile Metropolita di Cracovia Adam Stefan Sapieha, poi Cardinale, impose su di me le sue mani, trasmettendomi la grazia sacramentale del sacerdozio. Con commozione sono ritornato spiritualmente nella Cattedrale del Wawel, in cui ho celebrato la prima Santa Messa, all’indomani dell’ordinazione.

Nei giorni giubilari, abbiamo tutti sentito in modo particolare la presenza di Cristo Sommo Sacerdote, meditando le parole della liturgia: «Ecco il sommo sacerdote che ai suoi giorni piacque a Dio e fu trovato giusto». Ecce Sacerdos magnus. Queste parole trovano la loro piena applicazione in Cristo stesso. È Lui il Sommo Sacerdote della Nuova ed Eterna Alleanza, l’unico Sacerdote, da cui tutti noi sacerdoti attingiamo la grazia della vocazione e del ministero. Gioisco del fatto che nelle celebrazioni per il giubileo della mia Ordinazione, il sacerdozio di Cristo ha potuto risplendere nella sua ineffabile verità come dono e mistero a favore degli uomini di tutti i tempi, sino alla consumazione dei secoli.

A cinquant’anni dall’ordinazione sacerdotale, ogni giorno, come sempre, rivolgo il pensiero ai miei coetanei, sia di Cracovia che di tutte le altre Chiese del mondo, ai quali non è stato dato di arrivare a tale giubileo. Prego Cristo, eterno Sacerdote, di donare loro in eredità l’eterna ricompensa, accogliendoli nella gloria del suo Regno.

2. Iesu, Sacerdos in æternum, miserere nobis!

Vi scrivo questa lettera, cari Fratelli, durante il primo anno di preparazione immediata all’inizio del terzo millennio: Tertio millennio adveniente. Nella Lettera apostolica che inizia con queste parole, ho messo in rilievo il significato del passaggio dal secondo al terzo millennio dopo la nascita di Cristo ed ho stabilito che gli ultimi tre anni prima del 2000 siano dedicati alla Santissima Trinità. Il primo anno, inaugurato solennemente nella scorsa prima domenica d’Avvento, è centrato su Cristo. È Lui, infatti, l’eterno Figlio di Dio, fatto uomo e nato da Maria Vergine, che ci conduce al Padre. L’anno prossimo sarà dedicato allo Spirito Santo Paraclito, promesso da Cristo agli Apostoli al momento del suo passaggio da questo mondo al Padre. Infine, l’anno 1999 sarà dedicato al Padre, al quale il Figlio vuole condurci nello Spirito Santo, il Consolatore.

Vogliamo così terminare il secondo millennio con una corale lode alla Santissima Trinità. In tale itinerario troverà eco la trilogia di Encicliche che, per grazia di Dio, mi è stato dato di pubblicare all’inizio del Pontificato: Redemptor hominis, Dominum et vivificantem e Dives in misericordia, e che vi esorto, cari Fratelli, a rimeditare nel corso del triennio. Nel nostro ministero, specialmente in quello liturgico, deve essere sempre presente la consapevolezza di essere in cammino verso il Padre, guidati dal Figlio nello Spirito Santo. Appunto a tale consapevolezza ci richiamano le parole con cui terminiamo ogni orazione: «Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen».

3. Iesu, Sacerdos in æternum, miserere nobis!

Questa invocazione è tratta dalle Litanie a Cristo Sacerdote e Vittima, che venivano recitate nel Seminario di Cracovia il giorno prima dell’ordinazione sacerdotale. Le ho volute porre in appendice al libro Dono e mistero, pubblicato in occasione del mio giubileo sacerdotale. Ma voglio porle in evidenza anche nella presente Lettera, poiché mi sembrano illustrare in modo ricco e profondo il sacerdozio di Cristo e il nostro legame con esso. Sono basate su testi della Sacra Scrittura, in particolare sulla Lettera agli Ebrei, ma non soltanto. Quando, ad esempio, preghiamo: Iesu, Sacerdos in æternum secundum ordinem Melchisedech, riandiamo idealmente all’Antico Testamento, al Salmo 110 [109]. Sappiamo bene che cosa significhi per Cristo essere sacerdote al modo di Melchisedech. Il suo sacerdozio si è espresso nell’offerta del proprio corpo, «fatta una volta per sempre» (Eb 10,10). Essendosi offerto in sacrificio cruento sulla croce, Egli stesso ne ha istituito la «memoria» incruenta per tutti i tempi, sotto le specie del pane e del vino. E sotto tali specie Egli ha affidato questo suo Sacrificio alla Chiesa. Cosi dunque la Chiesa —e in essa ogni sacerdote— celebra l’unico Sacrificio di Cristo.

Ricordo intensamente i sentimenti che suscitarono in me le parole della consacrazione pronunciate per la prima volta insieme col Vescovo che mi aveva appena ordinato, parole che ripetei il giorno successivo, nella S. Messa celebrata nella Cripta di S. Leonardo. E da allora tante, tante volte —è difficile contarle— queste parole sacramentali sono risonate sulle mie labbra, per rendere presente, sotto le specie del pane e del vino, Cristo nell’atto salvifico di sacrificare se stesso sulla croce.

Contempliamo insieme, ancora una volta, questo mistero sublime. Gesù prese il pane e lo diede ai suoi discepoli dicendo: «Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio corpo...». E dopo prese nelle sue mani il calice colmo di vino, lo benedisse, lo diede ai suoi discepoli dicendo: «Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio sangue per la Nuova ed Eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati». E aggiunse: «Fate questo in memoria di me».

Come potrebbero, queste parole meravigliose, non essere il cuore pulsante di ogni vita sacerdotale? Ripetiamole ogni volta come se fosse la prima! Facciamo in modo che non siano mai dette per abitudine. Esse esprimono l’attualizzazione più piena del nostro sacerdozio.

4. Celebrando il Sacrificio di Cristo, siamo costantemente consapevoli delle parole che leggiamo nella Lettera agli Ebrei: «Cristo, venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, [...] entrò una volta per sempre nel santuario non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente? Per questo Egli è mediatore di una nuova Alleanza» (9,11-15).

Le invocazioni delle Litanie a Cristo Sacerdote e Vittima si ricollegano, in qualche modo, a queste parole o ad altre della stessa Lettera:

Iesu,

Pontifex ex hominibus assumpte,

...pro hominibus constitute,

Pontifex confessionis nostræ,

...amplioris præ Moysi gloriæ,

Pontifex tabernaculi veri,

Pontifex futurorum bonorum,

...sancte, innocens et impollute,

Pontifex fidelis et misericors,

...Dei et animarum zelo succense,

Pontifex in æternum perfecte,

Pontifex qui (...) cælos penetrasti...

Mentre ripetiamo queste invocazioni, noi vediamo con gli occhi della fede ciò di cui parla la Lettera agli Ebrei: Cristo che mediante il proprio sangue entra nell’eterno santuario. Come Sacerdote consacrato in eterno dal Padre Spiritu Sancto et virtute, ora «si è assiso alla destra della maestà nell’alto dei cieli» (Eb 1,3). E da lì intercede per noi come Mediatore —semper vivens ad interpellandum pro nobis—, per tracciarci il cammino di una vita nuova, eterna: Pontifex qui nobis viam novam initiasti. Egli ci ama ed ha versato il suo sangue per lavare i nostri peccati: Pontifex qui dilexisti nos et lavisti nos a peccatis in sanguine tuo. Ha dato se stesso per noi: tradidisti temetipsum Deo oblationem et hostiam.

Cristo introduce nell’eterno santuario il sacrificio di se stesso, che è il prezzo della nostra redenzione. L’offerta, cioè la vittima, è inseparabile dal sacerdote. Mi hanno aiutato a meglio comprendere tutto questo proprio le Litanie a Cristo Sacerdote e Vittima, recitate nel Seminario. Ritorno costantemente a questa lezione fondamentale.

5. Oggi è il Giovedì Santo. Tutta la Chiesa si raduna spiritualmente nel Cenacolo, là dove si riunirono gli Apostoli insieme a Cristo per l’Ultima Cena. Rileggiamo nel Vangelo di Giovanni le parole pronunciate da Cristo nel discorso di addio. Tra le tante ricchezze di questo testo, vorrei soffermarmi sulla seguente frase rivolta da Gesù agli Apostoli: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (15,13-15).

«Amici»: così Gesù chiamò gli Apostoli. Così vuole chiamare anche noi, che, grazie al sacramento dell’Ordine, siamo partecipi del suo Sacerdozio. Ascoltiamo queste parole con grande emozione e umiltà. Esse contengono la verità. Prima di tutto la verità sull’amicizia, ma anche una verità su noi stessi che partecipiamo del sacerdozio di Cristo, come ministri dell’Eucaristia. Poteva Gesù esprimerci la sua amicizia in modo più eloquente che permettendoci, quali sacerdoti della Nuova Alleanza, di operare in suo nome, in persona Christi Capitis? Proprio questo avviene in tutto il nostro servizio sacerdotale, quando amministriamo i sacramenti e specialmente quando celebriamo l’Eucaristia. Ripetiamo le parole che Egli pronunciò sopra il pane e il vino e, mediante il nostro ministero, si opera la stessa consacrazione da Lui operata. Vi può essere un’espressione dell’amicizia più completa di questa? Essa si pone al centro stesso del nostro ministero sacerdotale.

Cristo dice: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16). Al termine della presente Lettera, vi offro queste parole come un augurio. Nel giorno commemorativo dell’istituzione del sacramento del Sacerdozio ci facciamo a vicenda l’augurio, cari Fratelli, di poter andare e portare frutto, come gli Apostoli, e che il nostro frutto rimanga.

Maria, Madre di Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote, con la sua assidua protezione sorregga i passi del nostro ministero, soprattutto quando la strada si fa ardua e la fatica pesa maggiormente. La Vergine fedele interceda per noi presso il Figlio suo, affinché non ci venga mai meno il coraggio di renderGli testimonianza nei diversi campi del nostro apostolato, collaborando con Lui, perché il mondo abbia la vita e l’abbia in abbondanza (cfr. Gv 10,10).

Nel nome di Cristo, con profondo affetto tutti vi benedico.

Dal Vaticano, il 16 marzo, quinta Domenica di Quaresima, dell’anno 1997, diciannovesimo di Pontificato.

Joannes Paulus PP. II

Romana, n. 24, Gennaio-Giugno 1997, p. 21-25.

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