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15-IX-1996,Omelia pronunciata in occasione della cerimonia di ordinazione sacerdotale di diaconi della Prelatura nella Basilica romana di Sant’Eugenio in Roma

1. Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore[1].

Queste parole del profeta Isaia annunciano la missione compiuta da Gesù nel mondo. Fattosi vero uomo, senza cessare di essere vero Dio, e unto dallo Spirito Santo quale Profeta, Sacerdote e Re, il Signore ha predicato la buona novella agli uomini; nel mistero pasquale della sua Morte e della sua Risurrezione ci ha liberato dai nostri peccati, rendendoci figli di Dio ed eredi della vita eterna. E, nel desiderio che il dono della Vita divina raggiungesse ogni uomo, ha voluto che il suo sacrificio redentore fosse perpetuato sulla terra. Così, nell’Ultima Cena, dopo aver trasformato il pane e il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue, ha affidato agli Apostoli un compito sublime: fate questo in memoria di me[2].

«Con queste parole —ha scritto di recente il Santo Padre Giovanni Paolo II— affidò loro il proprio sacrificio e lo trasmise, attraverso le loro mani, alla Chiesa per tutti i tempi. Affidando agli apostoli il Memoriale del suo sacrificio, Cristo li rese partecipi anche del suo sacerdozio»[3].

Oggi, in questa basilica romana, le parole di Cristo avranno ancora una volta pieno compimento. Mediante l’imposizione delle mani da parte del Vescovo e la preghiera consecratoria, lo Spirito Santo effonderà la unzione sacerdotale su questi trentaquattro diaconi, li conformerà a Cristo, Capo della Chiesa, e li invierà a predicare con autorità la parola di Dio, ad amministrare i sacramenti —penso ora in particolare a quello della Penitenza, sacramento del perdono divino—, ed a rinnovare il sacrificio della Croce nella celebrazione dell’Eucaristia. Sacramentalmente identificati con Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, questi nuovi ministri del Signore tra pochi istanti potranno applicare a se stessi, in tutta verità, le parole di Isaia: lo Spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri...

Nella lettera ai sacerdoti in occasione dello scorso Giovedì Santo, Giovanni Paolo II rammenta che «la vocazione al sacerdozio è (...) vocazione ad offrire in persona Christi il suo sacrificio, in virtù della partecipazione al suo sacerdozio»[4].

I presbiteri, infatti, sono «cooperatori dell’Ordine episcopale per compiere la missione apostolica affidata da Cristo»[5] ai Vescovi. Nel caso dei diaconi qui presenti, incardinati alla Prelatura dell’Opus Dei, tale missione si concretizzerà nel servizio sacerdotale ai fedeli e agli apostolati della Prelatura. Occorre però ricordare che, sebbene il Signore affidi ad ogni presbitero un ruolo preciso nell’economia generale della salvezza, tuttavia il sacerdozio ministeriale, nella sua realtà profonda, è ordinato al bene spirituale di tutta la Chiesa. Come afferma il Santo Padre, «oltre ai compiti che sono l’espressione del ministero sacerdotale, rimane sempre, al fondo di tutto, la realtà stessa dell’“essere sacerdote”»[6]: sacerdote per tutti e in ogni momento, proprio nella missione e attraverso il compimento della missione affidata ad ognuno.

Il sacerdote dunque, ogni sacerdote, sospinto dalla carità di Cristo[7], deve dilatare il proprio cuore fino ad abbracciare tutte le anime; dev’essere disposto a sacrificare se stesso per ognuna di esse, a somiglianza del Buon Pastore che offre la vita per le pecore[8]; deve spendersi con gioia per la gloria di Dio e al servizio di tutti, senza porre limiti al dono di sé cui è chiamato. E tutto ciò, in forza della specialissima identificazione sacramentale con Cristo operata in lui dal sacramento dell’Ordine: una realtà così profonda e viva, da coinvolgere tutto il suo essere fino al punto che, con parole del Beato Josemaría, si può affermare che «il sacerdote dev’essere continuamente un crocifisso»[9].

2. Mi rivolgo adesso a voi tutti, figli miei che tra pochi istanti riceverete il presbiterato. Non dimenticate mai l’insegnamento del nostro carissimo Padre: «Siete, in primo luogo, sacerdoti. Poi, sacerdoti. E sempre e in tutto, soltanto sacerdoti»[10].

Quando avrete ricevuto l’ordinazione sacerdotale, renderete Cristo presente fra gli uomini in ogni istante: non solo quando celebrerete la Santa Messa, quando accudirete le anime nel confessionale o quando predicherete la parola di Dio agli adulti e ai piccoli... Certo: in tutti questi momenti farete in modo specialissimo le veci di Cristo, Sacerdote eterno, ed agirete quali strumenti nelle sue mani, applicando i frutti della redenzione a tutte le anime. Vi ripeto però che il vostro sacerdozio non si esaurirà in questi atti, per quanto sublimi. E ricordate ancora ciò che il Beato Josemaría scriveva ai sacerdoti dell’Opus Dei: «La specifica vocazione con la quale siete stati chiamati tra i vostri fratelli, e alla quale liberamente avete risposto, vi costituisce in servitori di tutti in ciò che riguarda Dio»[11].

Le vostre attività, per quanto varie ed apparentemente eterogenee, devono essere sempre lavoro svolto da un sacerdote di Cristo; il vostro contegno, nel corso dell’intera giornata, dev’essere quello di un sacerdote di Cristo; persino i momenti del riposo dovranno essere informati dallo spirito sacerdotale. Come la consapevolezza della filiazione divina deve presiedere tutti i momenti della vita di un cristiano, così in noi sacerdoti la realtà del sacerdozio ministeriale dev’essere costantemente presente alla nostra coscienza.

Dunque, se dal momento dell’ordinazione renderete in ogni istante Cristo Sacerdote presente in mezzo al mondo, quanto più quando amministrerete i sacramenti e, soprattutto, quando celebrerete la Santa Messa! La presenza di Cristo nel sacerdote tocca allora la vetta più alta. Meditate le considerazioni che a questo proposito faceva il Beato Josemaría: in lui avete un meraviglioso modello per il vostro sacerdozio. Diceva nostro Padre: «Tutti noi sacerdoti, peccatori come me oppure santi come tanti altri, sull’altare non siamo mai noi stessi: siamo Cristo, Cristo che rinnova il Sacrificio del Calvario (...). Io, sull’altare, sono Cristo! Rinnovo in modo incruento il divino Sacrificio del Calvario e consacro in persona Christi, faccio le veci di Cristo, perché gli do il mio corpo e la mia voce, le mie mani, il mio povero cuore, tante volte macchiato e tanto desideroso di venire da lui purificato»[12].

Figli miei, celebrate la Santa Messa con molto amore. Tra poche settimane, il 1º novembre, il Papa Giovanni Paolo II celebrerà il cinquantesimo anniversario della propria ordinazione sacerdotale. Mentre vi apprestate ad unirvi al Santo Padre con la preghiera in questo giubileo, vi esorto a meditare alcune sue parole che ci indicano quale dev’essere la più grande aspirazione di un sacerdote.

Diceva il Santo Padre pochi mesi fa: «Il sacerdote è l’uomo dell’Eucaristia (...). Nell’arco di quasi cinquant’anni di sacerdozio ciò che per me continua ad essere il momento più importante e più sacro è la celebrazione dell’Eucaristia. È dominante in me la consapevolezza di celebrare all’altare in persona Christi. Mai nel corso di questi anni ho lasciato la celebrazione del Santissimo Sacrificio. Se ciò è accaduto, è stato soltanto per motivi indipendenti della mia volontà. La Santa Messa —il Papa lo sottolinea esplicitamente— è in modo assoluto il centro della mia vita e di ogni mia giornata»[13].

Come il nostro santo Fondatore, supplicate oggi Gesù di concedervi la grazia di non celebrare mai in modo abitudinario il divino Sacrificio. Vi rammento quel grido di un santo Vescovo che con tanta forza rimase impresso nell’anima del Beato Josemaría, ancora giovane sacerdote: «Trattátemelo bene, trattátemelo bene!»[14], Sforzatevi di mettere in pratica fedelmente i suggerimenti pratici con cui nostro Padre ci insegnava a trarre il massimo frutto possibile dalla celebrazione quotidiana della Messa. Ve ne ricorderò brevemente alcuni, nel desiderio di metterli in pratica anch’io.

In primo luogo, preparatevi con amore ogni giorno prima di salire all’altare. Rinnovate frequentemente il proposito di consacrare il pane e il vino in persona Christi, anche se —come sapete— è sufficiente farlo ora, una volta per sempre. Non lasciatevi prendere dalla fretta nella celebrazione del Santo Sacrificio: nessun innamorato cerca di sbrigarsi quando sta in compagnia della persona amata. Pronunciate le preghiere liturgiche con attenzione, nell’anelito di estrarre da ogni testo il nèttare che vi è racchiuso. Seguite con delicatezza le rubriche. Le vostre genuflessioni, i vostro inchini del capo, i baci all’altare siano espressione di fede e di amore. Il Beato Josemaría ci consigliava di accompagnare ognuno di questi gesti con un moto del cuore —una giaculatoria silenziosa— che ci aiuti a personalizzare il nostro amore: Adoro te devote, latens deitas!, Adauge nobis fidem, spem, caritatem!..., e tante altre che vi verranno in mente con spontaneità, perché siete innamorati.

3. Prima di finire, desidero congratularmi con i genitori, i fratelli e le sorelle dei nuovi sacerdoti. Tutti voi, compresi coloro che non hanno potuto essere presenti a questa cerimonia, sapete che il Signore vi ha mostrato la propria predilezione nel fatto di scegliere come suo ministro uno dei membri della vostra famiglia. Cercate di corrispondere a questo dono divino con un impegno di vita cristiana sempre maggiore, nella certezza di poter contare, d’ora in avanti, su un aiuto speciale: quello del vostro figlio o del vostro fratello che, da oggi, tutti i giorni vi terrà particolarmente presenti nella Santa Messa. Dimostrate la vostra gratitudine per tanta predilezione accostandovi alla Confessione con la dovuta frequenza e ricevendo la Santa Comunione con le disposizioni necessarie.

La stessa cosa raccomando a tutti voi qui presenti. Sarà un bel modo di ringraziare Dio per il dono di questi trentaquattro nuovi sacerdoti. Ed anche un bel modo di ricordare con gratitudine Mons. Álvaro del Portillo, in modo particolare in questa data, così cara ai fedeli della Prelatura, nella quale commemoriamo l’anniversario della sua elezione quale primo successore del Beato Josemaría alla guida dell’Opus Dei.

Chiediamo la protezione della Madonna, Madre dei cristiani e —per un titolo particolare— Madre dei sacerdoti. Lo facciamo, pregando per la Persona e per le intenzioni del Papa, con le stesse parole con le quali il Santo Padre Giovanni Paolo II affida a Lei il proprio giubileo sacerdotale e tutti i sacerdoti: «Maria, Madre di Cristo, che sotto la Croce ci hai accolti come figli prediletti con l’Apostolo Giovanni, continua a vegliare sulla nostra vocazione. A Te affidiamo gli anni di ministero che la Provvidenza ci concederà ancora di vivere. Sii accanto a noi per guidarci sulle strade del mondo, incontro agli uomini e alle donne. Aiutaci a compiere sino in fondo la volontà di Gesù, nato da te per la salvezza dell’uomo»[15]. Così sia.

[1] L. I (Is 61, 1-2).

[2] Lc 22, 19.

[3] Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo, nell’anno giubilare della sua ordinazione sacerdotale, 17-III-1996, n. 4.

[4] Ibid.

[5] Concilio Vaticano II, decr. Presbyterorum Ordinis, n. 2.

[6] Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo, nell’anno giubilare della sua ordinazione sacerdotale, 17-III-1996, n. 5.

[7] Cfr. 2 Cor 5, 14.

[8] Cfr. Vang. (Gv 10, 11).

[9] Beato Josemaría Escrivá, AGP, P10, n. 103.

[10] Ibid., n. 99.

[11] Beato Josemaría Escrivá, Lettera, 8-VIII-1956, n. 1.

[12] Beato Josemaría Escrivá, Parole in una riunione famigliare, 11-XI-1972 (AGP, P04, p. 752).

[13] Giovanni Paolo II, Testimonianza nel Simposio internazionale in occasione del 30º anniversario del decreto Presbyterorum Ordinis, 27-X-1995.

[14] Cammino, n. 531.

[15] Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti in occasione del Giovedì Santo, nell’anno giubilare della sua ordinazione sacerdotale, 17-III-1996, n. 9.

Romana, n. 23, Luglio-Dicembre 1996, p. 179-183.

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