envelope-oenvelopebookscartsearchmenu

Omelia pronunciata il 23 marzo 1996 nella Basilica di S.Eugenio, nel corso della solenne concelebrazione liturgica fatta in occasione del secondo anniversario del transito di Mons. Alvaro del Portillo

1. Ancora una volta ci raduniamo attorno all’altare, in questa basilica di Sant’Eugenio, per offrire il Santo Sacrificio della Messa per l’anima di Mons. Alvaro del Portillo, Vescovo Prelato dell’Opus Dei. Oggi si compie il secondo anniversario del giorno in cui il Signore lo chiamò a Sé, a poche ore dal rientro da quel pellegrinaggio penitente in Terra Santa nel corso del quale aveva seguito con un vivissimo desiderio di unione il cammino terreno di Gesù. Tutti noi, testimoni della sua vita, siamo convinti che da quel preciso momento don Alvaro gode della felicità ineffabile dell’eterno possesso di Dio. La commemorazione di quest’anniversario non è dunque per noi motivo di tristezza, ma di profonda gioia interiore. Nulla potrà cancellare il dolore del distacco. Tuttavia prevale la certezza che la morte di un uomo fedele a Dio e alla Chiesa, come don Alvaro, segna al di sopra di tutto il momento della sua nascita alla Vita con la maiuscola, giacché, come ci ricorda il prefazio della Messa di oggi, ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata[1].

Prendi parte alla gioia del tuo padrone[2]: con queste parole Gesù stesso annuncia il premio destinato al servo che ha governato fedelmente la casa. Ciascuno di noi anela ad ascoltarle dalle labbra del Signore, quando saremo chiamati alla sua presenza. È così che Gesù ha accolto don Alvaro. Ne possiamo essere sicuri, perché la sua fedeltà a Dio lo ha spinto per tutta la vita, prima ad accogliere con immensa docilità le ispirazioni dello Spirito Santo e, poi, a metterle in pratica con delicatezza esemplare e con generosissimo impegno. Proprio nella fedeltà, nodo vitale di tutte le virtù cristiane, troviamo la sintesi più completa della figura di don Alvaro, dapprima collaboratore più diretto e fedele del Fondatore dell’Opus Dei e, quindi, suo primo successore al vertice di questa famiglia di figli di Dio che è la Prelatura, voluta dal Signore al servizio della Chiesa.

2. Nella prima lettura della Messa abbiamo letto un passo tratto dal libro di Giobbe: Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro sul piombo, s’incidessero per sempre sulla roccia![3]. Lasciamo da parte l’esegesi letterale di questo testo e cerchiamo di trarne il senso spirituale più appropriato all’odierno anniversario.

Quando qualcuno desidera comunicare ad altri un messaggio, un messaggio destinato a durare di generazione in generazione, lo deve consegnare a dei mezzi sicuri, come i libri, che garantiscano la perfetta fedeltà della sua trasmissione. Il Beato Josemaría ci ha lasciato molti scritti, in cui espone con grande chiarezza lo spirito dell’Opus Dei. Ma, al di là di questo, egli si adoperò con instancabile zelo ad imprimerlo a fuoco nella coscienza e nella vita di tanti uomini e di tante donne, desiderosi di agire coerentemente con la propria dignità di figli di Dio in tutte le circostanze dell’esistenza.

Nel 1955, mentre, in una situazione caratterizzata da ingenti difficoltà economiche e da altre dure prove, fervèvano i lavori della costruzione della sede centrale della Prelatura, il Beato Josemaría ebbe a confidarci: «I monumenti che io voglio lasciare siete voi, figli miei; sono le anime quello che mi interessa». Egli veniva così a sottolineare che, in un’impresa soprannaturale, le realizzazioni materiali non servono a nulla se non sono sostenute da uno spirito chiaro, fermo, ben definito.

Lo spirito dell’Opus Dei, che il nostro Fondatore ricevette nella propria anima il 2 ottobre 1928, non si trova solo scritto nei libri e nei documenti, ma, per la misericordia di Dio, è soprattutto scolpito nei fedeli della Prelatura, laici e sacerdoti, che si sforzano ogni giorno di metterlo in pratica nelle situazioni in cui la Provvidenza divina ha voluto che la loro vita abbia a svolgersi. Ed è scolpito nell’impegno cristiano in mezzo al mondo delle innumerevoli persone che si accostano agli apostolati dell’Opera. Ancora una volta la parabola evangelica si è compiuta: l’Opus Dei, come il minuscolo granello di senape, poco a poco si è sviluppata fino a divenire albero frondoso in cui una vera moltitudine di anime trova rifugio spirituale[4].

Tutti noi, che colmiamo questa basilica, come tante altre persone nel mondo intero, siamo in qualche modo figli spirituali del Beato Josemaría Escrivá. In maggiore o minore misura, viviamo del suo spirito: lo attestano il nostro sforzo di condurre una vita autenticamente cristiana in mezzo al mondo, il nostro lavoro professionale compiuto con coscienza ed offerto a Dio, santificato e divenuto così strumento di santificazione propria ed altrui.

Se siamo fedeli a questo spirito cristiano —malgrado gli inevitabili errori personali che accompagnano sempre la condizione umana, e con il desiderio fattivo di correggerli—, contribuiremo a dare perenne attualità alle parole del libro sacro che ho appena ricordato.

3. «I monumenti che io voglio lasciare siete voi». Oggi rendiamo grazie a Dio, perché la vita di don Alvaro costituisce una testimonianza eloquente della profonda verità di queste parole. Don Alvaro è stato un monumento vivo di corrispondenza alla grazia di Dio e di fedeltà alla Chiesa, che il Signore ha voluto porre dinanzi ai nostri occhi. Le prime generazioni dei fedeli dell’Opus Dei, uomini e donne, furono formate personalmente dal Beato Josemaría, che seppe riversare in loro tutta la propria capacità di amore, di comprensione, di fortezza... Ebbene, don Alvaro rappresenta il paradigma più alto di questo piccolo gruppo di uomini e di donne fedeli che, nei primi anni, aiutarono il Beato Josemaría a fare l’Opus Dei. «Oltre ad essere Prelato dell’Opera e figlio prediletto di nostro Padre —ho scritto di recente e mi piace ripetere ora—, egli simbolizza e riassume in sé la seconda generazione dell’Opera»[5], poiché la prima generazione si esaurisce nella figura irripetibile del Fondatore.

Fin da giovanissimo, don Alvaro si identificò così intimamente con lo spirito dell’Opus Dei che, senza esagerazione, possiamo affermare che egli fu sempre il vir fidelis di cui la Sacra Scrittura tesse la lode[6]. Io sono testimone oculare di molte espressioni dell’assoluta fiducia che il nostro Fondatore riponeva in don Alvaro. Quando, ad esempio, bisognava prendere qualche decisione relativa al governo dell’Opera, se il Beato Josemaría non poteva occuparsi di persona dello studio del problema, immancabilmente indicava: «occorre che lo veda don Alvaro». Nutriva l’assoluta sicurezza che quel suo figlio avrebbe risolto la questione nel modo in cui egli stesso l’avrebbe fatto. Infatti don Alvaro aveva assimilato lo spirito dell’Opus Dei in modo tale e lo viveva con tale connaturalità, che si trovava sempre in perfetta sintonia con nostro Padre. Ecco perché possiamo dire che don Alvaro era il legame sicuro fra il capo e le membra, alle quali sapeva trasmettere con fedeltà piena lo spirito e le norme provenienti dal Fondatore.

Un altro ricordo affiora in questo momento alla mia memoria. Quando, molti anni or sono, il Beato Josemaría ritenne giunto il momento di ottenere il primo riconoscimento giuridico dell’Opus Dei da parte della Santa Sede, mandò a Roma don Alvaro, affidandogli la missione di avviare le opportune approvazioni canoniche. Proprio nello scorso mese di febbraio cadevano i cinquant’anni di quel viaggio di don Alvaro a Roma. Il suo non era un compito facile, in quanto l’Opus Dei rappresentava una novità nella vita della Chiesa ed occorreva rompere degli schemi ormai consolidati da una prassi secolare. Tuttavia, con la sua prudenza e la sua fortezza, col suo ottimismo e la sua serenità, con la bontà ed il sorriso così caratteristici in lui, don Alvaro eseguì egregiamente l’incarico del nostro Fondatore e, seguendo con esattezza i passi che il Beato Josemaría gli aveva tracciato, preparò le cose in modo che, giungendo a sua volta a Roma, egli potesse ricevere da tanti ecclesiastici della Curia romana un’accoglienza ricca di affetto.

4. Sorelle e fratelli carissimi, figlie e figli miei. Mentre offriamo la Santa Messa per il riposo eterno di don Alvaro, non tralasciamo di chiedere al Signore, per noi stessi e per tutti i cristiani, una lealtà indiscutibile verso Dio e verso la Chiesa: una lealtà come quella di don Alvaro. È una virtù necessaria tanto nella società civile quanto in quella ecclesiale, specialmente oggi, quando tanti cristiani, per ignoranza o per mancanza di formazione, non sanno essere fedeli agli impegni assunti con il Battesimo.

Il Beato Josemaría esaltava spesso l’importanza della virtù della lealtà, una virtù al tempo stesso umana e soprannaturale. E stimolava tutti i cristiani ad alimentarla nella propria vita, poiché, insisteva, la lealtà «costituisce la base della fedeltà. Di una fedeltà che è felicità»[7]. Nel 1974, alludendo all’esempio di don Alvaro del Portillo —che in quel momento non era presente— disse ad un gruppo di figli suoi: «vorrei che lo imitaste in molte cose, ma soprattutto nella lealtà. In questi ormai lunghi anni della sua vocazione ha avuto molte occasioni, parlando umanamente, di adirarsi, di provare fastidio, di essere sleale; ed invece ha avuto sempre un sorriso ed una fedeltà incomparabili. E tutto ciò per motivi soprannaturali, non per virtù umana. Sarebbe davvero bene che lo imitaste in questo»[8].

E come poté don Alvaro coltivare con tale esemplarità questa virtù, tanto importante? Grazie, tra l’altro, all’assiduità ed all’umiltà con cui ricorreva al Sacramento della Penitenza, dove impariamo ad adeguare sempre più perfettamente la nostra anima alle attese di Dio. Così, con Lui, diveniamo amici leali e servitori generosi degli uomini. Accostiamoci, dunque, con sollecita frequenza al grande Sacramento della Confessione: ecco il proposito che consentirà al Signore di operare sempre più efficacemente anche in noi.

Questa è la supplica che rivolgiamo oggi a Dio, attraverso la mediazione di Maria Santissima e l’intercessione del Beato Josemaría: concedici il dono di una fedeltà assoluta, totale, senza condizioni, alla nostra vocazione cristiana ed aiutaci, così, a consumare tutta la nostra vita al servizio di Dio, della Chiesa e delle anime, come don Alvaro. Amen.

[1] Prefazio dei defunti, I.

[2] Mt 25, 23.

[3] Gb 19, 1. 23-24.

[4] Cfr. Mc 4, 30-32.

[5] Lettera, 28-XI-1995, n. 10.

[6] Cfr. Prv 28, 20.

[7] AGP, P01 XII-1959, p. 52.

[8] Parole in una riunione familiare, 19-II-1974 (AGP, P01 III-1974, p. 18).

Romana, n. 22, Gennaio-Giugno 1996, p. 34-37.

Invia ad un amico