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Il 26 giugno, in occasione del 16º anniversario del piissimo transito del Fondatore dell'Opus Dei, il Prelato ha concelebrato la Santa Messa nella Basilica romana di Sant'Eugenio. Nel corso della celebrazione eucaristica ha pronunciato la seguente ome

Eminentissimi Signori Cardinali, Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi, fratelli e sorelle, figlie e figli miei dell'Opus Dei:

come ogni anno, siete accorsi numerosi a questa Santa Messa nell'anniversario del transito al Cielo del Venerabile Josemaría Escrivá. Da quando, il 9 aprile dello scorso anno, il Santo Padre proclamò le virtù eroiche del Fondatore dell'Opus Dei, celebriamo il suo dies natalis con una Messa di ringraziamento alla Santissima Trinità: gratitudine a Dio per le grazie di cui ha colmato l'anima del suo Servo, facendo di lui uno strumento eroicamente fedele del disegno della Redenzione. E gratitudine per il cammino, vigoroso ed attraente, che, con la propria lotta quotidiana, egli ha aperto ai cristiani che vivono in mezzo al mondo.

Ci sono parole che solo Iddio può pronunciare; mandati che Lui solo può imporre; promesse che nessun altro, al di fuori di Dio, è in grado di compiere. Fra queste parole ci sono quelle che abbiamo appena ascoltato nel Vangelo: mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Fra questi mandati, quello affidato da Gesù agli Apostoli: Andate e ammaestrate tutte le nazioni. A queste promesse appartiene quella in virtù della quale ci ha assicurato che sarebbe rimasto con noi fino alla fine dei tempi[1].

Quelle parole, quel mandato, quella promessa non erano soltanto per gli Apostoli. Gesù si rivolgeva a tutti i cristiani di tutti i tempi, a ciascuno di noi. Se davvero vogliamo essere discepoli di Cristo, dobbiamo trarne le conseguenze. Il loro significato non si presta ad equivoci: o il mandato di portare il Vangelo a tutte le nazioni è un'utopia irrealizzabile e astratta; oppure ha un senso reale, e allora segna un dovere indilazionabile per ogni cristiano. Disattenderlo vorrebbe dire svuotare la nostra esistenza e ridurla ad un inutile spreco.

Il Venerabile Josemaría Escrivá ci faceva meditare spesso su questa realtà. Il 2 ottobre 1928, quando il Signore gli fece vedere l'Opus Dei, si dischiuse dinanzi ai suoi occhi il panorama di un lavoro immenso, dalle dimensioni universali: un'avventura splendida al servizio della Chiesa e delle anime. «Siamo venuti a dire —affermava— (...) che la santità non è una cosa per pochi privilegiati: il Signore chiama tutti, da tutti aspetta Amore: da tutti, ovunque si trovino; da tutti, qualunque sia il loro stato, la loro professione o il loro mestiere. Perché questa vita normale, ordinaria, priva di apparenza, può essere un mezzo di santità: (...) tutti i cammini della terra possono essere occasione di un incontro con Cristo»[2].

Non esistono mezzi umani proporzionati ad una simile missione. Il nostro Fondatore, poi, in quei momenti era sprovvisto anche delle risorse umane indispensabili. Qualche anno più tardi osservò che, se avesse voltato le spalle al Signore dicendo: "è impossibile", sarebbe finito in un manicomio e avrebbe passato la vita a ripetere: "è impossibile, è impossibile...". Invece, fin dal primo momento, egli ebbe la certezza che il Cielo è impegnato perché l'Opera si compia[3] e la sua risposta fu sempre come quella di San Paolo: tutto posso in Colui che mi dà la forza[4]. Così, sostenuto dalla grazia di Dio e dall'impegno di orazione e di mortificazione di Mons. Escrivá, l'Opus Dei si è esteso nei cinque continenti ed ha illuminato con la luce del Vangelo la vita di milioni di persone. Oggi, grazie all'aiuto che egli ottiene per noi dal Cielo, le attività della Prelatura continuano a crescere, benedette dal favore divino.

In questo anniversario desidero invitarvi di nuovo a considerare l'esempio del Venerabile Josemaría Escrivá. In particolare, desidero richiamare alla vostra attenzione la fede e il coraggio con cui accolse la propria missione di servizio alla Chiesa. Anche noi, ciascuno in modo diverso, con la vocazione cristiana abbiamo ricevuto la missione di diffondere le esigenze, chiare e dolci, del Vangelo fra tutte le genti e di insegnare agli uomini a compiere con amore appassionato la Volontà divina. Dobbiamo domandarci: io, che cosa sto facendo al servizio di Dio e, per lui, al servizio degli altri? Come sto svolgendo la missione che dà alla mia vita il suo vero senso?

La maggior parte di noi non è stata mandata da Cristo a predicare in terre lontane. Ma tutti siamo invitati a donare noi stessi a coloro che stanno al nostro fianco nella famiglia, nella casa in cui abitiamo, nell'ambiente di lavoro. E' lì, nel luogo ove si consuma la nostra esistenza quotidiana, che dobbiamo "andare"; è lì che siamo chiamati ad insegnare, con la nostra vita, con la parola e con le opere, la dottrina ed i comandamenti di Cristo, che si condensano in uno solo: l'amore di Dio e l'amore del prossimo.

Sorelle e fratelli carissimi, lasciate che insista: Cristo desidera instaurare il suo Regno d'amore sulla terra per mezzo nostro. Vuole che la vita di tutti gli uomini, i loro rapporti famigliari, professionali e sociali, siano presieduti ed imbevuti non dall'egoismo, né dalle rivalità, dall'odio o dalla comodità, ma dall'amore. E' importante credere che non si tratta di un ideale irrealizzabile. Gesù stesso ha detto: mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra[5] e Gesù, come nostro Padre amava ripetere, non può mentire! Il Maestro divino ci ha insegnato che amare significa comprendere, scusare, perdonare, aiutare, donare se stessi e servire, come Lui ha fatto, fino a dare la vita. Ma, inoltre, Egli ci ha comunicato la forza che ci rende capaci di portare a termine questo programma. Dio lo "consacrò in Spirito Santo"[6] e Gesù, con la sua Passione e la sua Morte sulla Croce, ha ottenuto per noi il dono del Paraclito: l'Amore con la maiuscola, che abita nel nostro cuore e colma di Sé tutta la nostra vita. Ci trasforma, ci divinizza. Il Venerabile Josemaría Escrivá consentì allo Spirito Santo di prendere possesso della sua anima: sospinto da questa forza, si prodigò con eroico slancio nell'infiammare i cammini della terra con il fuoco dell'amore divino[7]. L'indigenza, il dolore, le contrarietà, non lo fermarono. Facendo proprie le parole di un classico castigliano, ci ammoniva circa la necessità di mettere amore dove non c'è amore, per raccogliere amore (cfr. San Giovanni della Croce, Lettere, 6-VII-1591), anche nelle circostanze apparentemente insignificanti offerte dal lavoro professionale e dalle relazioni famigliari e sociali[8].

Non dimenticate: lo Spirito Santo —lo abbiamo ascoltato nella seconda lettura[9] - desta in ciascuno di noi la consapevolezza di essere figlio di Dio e, pertanto, un altro Cristo, lo stesso Cristo, chiamato a servire con amore tutte le anime, a corredimerle con Gesù. E' necessario prendere coscienza della profonda dimensione apostolica racchiusa nella vocazione cristiana. Non è da cristiani chiudersi in se stessi e disinteressarsi di coloro che ci stanno accanto. Una domanda si impone: chi ritiene di essere, fra virgolette, un "buon cristiano" solo perché non fa del male a nessuno, ma intanto chiude gli occhi alle necessità spirituali e materiali del prossimo, è davvero "buono" e "cristiano"? Sa amare? Nella sua ultima enciclica[10] il Santo Padre ci esorta ad abbandonare la mentalità individualista che propaga il virus dell'indifferenza, della freddezza, dell'insensibilità ai problemi altrui. Vi ripeto: siamo tutti responsabili della salvezza di coloro che ci circondano. Ed è una gioia immensa l'adoperarsi con ogni sforzo per condurli a Cristo.

Qual è la radice di quell'indifferenza? Le risposte possono essere molteplici: l'egoismo, che ci può indurre a ritenere già abbastanza gravi i nostri problemi per darci pensiero anche di quelli degli altri; il timore di dover affrontare situazioni difficili o imprevedibili; la mancanza di tempo, una certa pigrizia... Ma esiste una risposta più radicale, una risposta insieme illuminante e incoraggiante. Riflettete: all'inizio consideravamo che Cristo ci ha detto: andate e ammaestrate tutte le nazioni... Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. Che cosa significa tutto questo se non che Lui stesso agisce attraverso di noi? Dunque, per portare a compimento la missione di evangelizzare il mondo, occorre unirsi a Cristo, come i tralci alla vite. Occorre conoscerlo, frequentarlo, fino ad amarlo con tutte le proprie forze. Può portare Cristo agli altri chi gli appartiene, chi si impegna a formarsi nella sua dottrina. Può parlare di lui agli altri chi parla con lui, chi prega in modo assiduo. Può comunicarlo agli altri chi lo cerca sinceramente; può farlo amare chi lo ama.

Se vogliamo che la nostra vocazione cristiana giunga al proprio pieno sviluppo, dobbiamo cercare di identificarci con il Signore, consentire che lo Spirito Santo formi Cristo in noi[11]. Dobbiamo, da un lato, estirpare dalla nostra anima gli ostacoli che paralizzano l'azione della grazia e, dall'altro, coltivare in essa gli elementi essenziali della maturità cristiana. Estirpare l'orgoglio, la pigrizia, l'ira, la sensualità con tutti i vizi ed i peccati; coltivare le virtù di Cristo: l'umiltà, il lavoro, la fedeltà, la santa purezza e tante altre, informate tutte dalla carità. Ma lo Spirito Santo ha bisogno della nostra collaborazione. Il processo dell'identificazione con Cristo si sviluppa a condizione che se ne percorrano le tappe obbligate, fra cui, anzitutto, la preghiera e i Sacramenti: la Penitenza, che ci purifica (permettete che insista nell'esortarvi ad un perseverante apostolato della Confessione), e l'Eucaristia, che ci dà forza e ci trasmette quel profumo di Cristo[12] che attira in modo tanto efficace gli altri.

Alcuni mesi or sono, nel ricevere dal Santo Padre l'ordinazione episcopale, ho scelto come motto un'esclamazione che ho ascoltato tante volte sulle labbra del nostro Fondatore: regnare Christum volumus!, vogliamo che Cristo regni!, vogliamo infiammare il mondo con l'amore di Cristo! Non è solo l'espressione di un'aspirazione destinata a rimanere tale, ma la formulazione di una certezza che nasce dalla fede: vogliamo e, con la forza dello Spirito Santo, possiamo contribuire al compiersi della Redenzione. Possiamo, come afferma il Santo Padre, edificare un'autentica civiltà dell'amore[13], l'unica civiltà degna dell'uomo. C'è chi cerca di costruire la pace nel mondo senza mettere nel suo cuore l'amore di Dio, senza servire le creature per amore di Dio, scriveva il Venerabile Servo di Dio Josemaría Escrivá e proseguiva: «Come è possibile realizzare una simile missione di pace? La pace di Cristo è quella del suo regno; e il regno di nostro Signore si fonda sul desiderio di santità, sull'umile disponibilità a ricevere la grazia, su una vigorosa opera di giustizia, su una divina effusione d'amore[14].

Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo[15]: lo ha promesso Gesù. Ed è rimasto realmente presente nella follia d'amore dell'Eucaristia —cosí piaceva dire al nostro Fondatore—, affinché noi possiamo divenire una sola cosa con Lui[16] e perciò capaci di amare e di donare noi stessi senza misura. E' ciò che avvenne letteralmente nella vita del nostro Fondatore. Nella sua umiltà e nella sua sincerità, egli poté dire di se stesso: di poche cose posso propormi come esempio. E tuttavia, in mezzo a tutti i miei errori personali, penso di potermi porre come esempio di uomo che sa amare[17]. Dio gli concesse un cuore grande e generoso, a misura del Cuore di Cristo. Lo concederà anche a noi, se ci accosteremo a Gesù con le disposizioni interiori con cui lo accolse Maria.

Il Venerabile Josemaría Escrivá amava invocare la Madonna con il titolo di Madre del bell'Amore, perché chi —si chiedeva— può essere migliore Maestra dell'Amore di Dio di questa Regina, di questa Signora, di questa Madre, che è nel rapporto più intimo con la Trinità: Figlia di Dio Padre, Madre di Dio Figlio, Sposa di Dio Spirito Santo, e che è al tempo stesso Madre nostra?[18]. Oggi la invochiamo in modo speciale, affinché protegga e colmi d'amore e di zelo il Romano Pontefice e i Vescovi del mondo intero, ai quali in primo luogo —in quanto successori degli Apostoli— competono l'onore e il dovere di annunciare il Vangelo per tutta la terra[19]. E la preghiamo per la Chiesa, affinché ognuno di noi, suoi figli, sappia portare a compimento, nelle situazioni della vita quotidiana, il mandato di Cristo: andate e ammaestrate tutte le nazioni. Amen.

[1] Cfr. Mt 28, 18-20.

[2] Josemaría Escrivá, Lettera, 24-III-1930, n. 2.

[3] Josemaría Escrivá, Istruzione, 19-III-1934, n. 47.

[4] Fil 4, 13.

[5] Mt 28, 18.

[6] Cfr. At 10, 38.

[7] Cfr. Josemaría Escrivá, Cammino, n. 1.

[8] Josemaría Escrivá, Amici di Dio, n. 9.

[9] Cfr. Rm 8, 14-17.

[10] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 1-V-1991, n. 49.

[11] Cfr. Gal 4, 19.

[12] 2 Cor 2, 15.

[13] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dives in misericordia, 30-XI-1980, n. 14; Paolo VI, Omelia, 28-XII-1975, in Insegnamenti di Paolo VI, XII (1975), p. 1568.

[14] Josemaría Escrivá, E' Gesù che passa, n. 182.

[15] Mt 28, 20.

[16] Cfr. Gv 6, 56-57; Sant'Agostino, Confessioni VII, 10.

[17] RHF 20.580, p. 493.

[18] Josemaría Escrivá, Forgia, n. 555.

[19] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23; Decr. Ad gentes, n. 29.

Romana, n. 12, Gennaio-Giugno 1991, p. 138-142.

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