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IL PAPA NELLA VITA DEL CRISTIANO

«Noi cattolici dobbiamo pensare che, dopo Dio e nostra Madre la Vergine Santissima, nella gerarchia dell'amore e dell'autorità viene il Santo Padre»[1]. Queste parole del Venerabile Servo di Dio Josemaría Escrivá tracciano un programma ben preciso dell'esistenza cristiana caratterizzato dall'amore, da quel camminare nella carità, che è il contrassegno dei figli di Dio[2]. Carità, la cui natura e dinamicità sono determinate dalla sua fonte, lo stesso Dono increato — l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato[3] -, e dal suo oggetto, Dio stesso, in primo luogo, e per Lui tutti i figli di Dio, prima fra tutti la Figlia, Madre e Sposa di Dio e, qui in terra, immediatamente dopo, il Papa.

Quanto vale un cuore umano? Quanto valgono i suoi amori. E il cuore del fedele cattolico è nobilitato dalla chiamata a questa gerarchia dell'amore: Dio, la Madonna, il Papa. La carità, così ordinata, diventa motore potente della vita quotidiana, di quel camminare nella carità, come dice S. Paolo assumendo un ebraismo espressivo proprio della quotidianità, cioè della condotta cristiana scandita, più che da accenti straordinari, dalla cadenza regolare di giornate e di attività senza sorprese.

Come dare un posto così rilevante al Papa nella nostra vita, se le occasioni di incontro personale con lui, o almeno di vicinanza fisica, avvengono, se avvengono, così di rado? Non potendo affidarci a momenti così singolari per esprimere l'affetto personale al Romano Pontefice, occorre approfondire le ragioni del suo posto così alto nella gerarchia dell'amore.

La prima ragione a venire in mente è il suo titolo di Vicario di Cristo. Tuttavia la parola "Vicario", che sembra dire molto, si rivela bisognosa di un arricchimento nella comprensione del suo contenuto. Basti pensare che il Concilio Vaticano II dice dei Vescovi che «reggono le Chiese particolari a loro affidate, come vicari e delegati di Cristo»[4]; e rispetto ai presbiteri insegna lo stesso Concilio che «sono segnati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di Cristo capo»[5].

Ora, non mi sembra che il popolo cristiano, con il suo senso di fede, veda il Papa soltanto come il primo nella gerarchia ecclesiastica, come colui che ne è al vertice. Anche se i sacerdoti, soprattutto nel momento della consacrazione dell'Eucaristia, hanno una particolare identificazione sacramentale con Cristo e «nei vescovi (...) è presente in mezzo ai credenti il Signore Gesù Cristo»[6], ciò nondimeno il ministero papale va visto in un'altra prospettiva: per ogni fedele il Papa non è come il suo parroco, sia pure di rango più elevato e con più potere, e neppure come il suo Vescovo, rivestito però di maggiore dignità. Il rapporto è di un altro genere e strettamente collegato alla stessa relazione con Cristo. E' questa relazione che dobbiamo ora mettere a fuoco, per trarne indicazioni più precise su che cosa significhi per il cristiano che il Papa sia il Vicario di Cristo sulla terra.

Speciale appartenenza a Cristo in virtù del battesimo

Il cristiano in virtù del battesimo appartiene a Cristo. E' l'evento battesimale a metterlo in un rapporto immediato con Cristo, le cui caratteristiche possiamo dedurre, con progressiva luminosità e nitidezza, attraverso l'analisi di una serie di testi neotestamentari.

Il primo tratto dell'appartenenza a Cristo emerge dalla risposta di Pietro alla domanda dei convertiti il giorno di Pentecoste: Che cosa dobbiamo fare, fratelli? E Pietro disse: Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo[7]. "Nel nome di Gesù Cristo" vuol dire che il battesimo è amministrato con l'autorità di Gesù e ad essa si attribuiscono gli effetti della remissione dei peccati e del dono dello Spirito Santo[8].

Gli stessi Atti degli Apostoli mostrano che il battesimo, oltre ad essere fondato sull'autorità di Gesù, implica anche l'invocazione del suo nome[9], vale a dire, il riconoscere in Gesù il Cristo e il collocarsi sotto la sua potestà.

Le lettere paoline ci fanno sapere che la potestà di Cristo, che agisce nel battesimo, raggiunge una profondità tale, che il battezzato è reso partecipe dello stesso evento pasquale realizzatosi in Cristo, cioè della sua morte e della sua risurrezione. Sia la lettera ai Romani che la lettera ai Colossesi sono particolarmente esplicite al riguardo[10]. Una tale partecipazione alla morte e alla risurrezione del Signore dà origine ad una nuova vita con Cristo e in Cristo[11].

Non si ferma qui San Paolo, ma ricorre a una metafora assai espressiva: quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo[12]. I destinatari della lettera paolina potevano ben capire questa metafora, poiché la si trova diverse volte nell'Antico Testamento nel senso di assumere una disposizione morale sia buona che cattiva[13]. Anche il linguaggio profano conosceva l'uso metaforico del termine "rivestirsi"[14]. Tuttavia le parole dell'Apostolo vanno oltre le disposizioni morali di imitazione di Cristo, per giungere ad una certa identificazione con Lui. Tanto è vero che diventiamo figli di Dio e ci uniamo agli altri battezzati fino al punto di essere uno in Cristo Gesù, superando ogni discriminazione sia religiosa (Giudeo o Greco), che sociale (schiavo o libero) e naturale (uomo o donna)[15].

L'essere uno in Cristo viene spiegato da San Paolo con la dottrina del corpo che è formato da tutti i battezzati[16]. L'immagine della collettività come un corpo poteva in qualche modo essere familiare ai destinatari delle lettere paoline, poiché veniva anche applicata dalla letteratura pagana sia all'intero cosmo che alla città o ad altre comunità umane[17]. Tuttavia Paolo non si ferma al senso della metafora profana e, oltrepassandola di gran lunga, presenta Cristo come il principio unificante di questo corpo, che viene perfino chiamato corpo di Cristo[18]. Le lettere agli Efesini e ai Colossesi precisano inoltre che Cristo è il capo del suo corpo che è la Chiesa[19].

Corpo di Cristo, dunque, perché Egli ne è il capo, suo principio unificante e vivificante, ma anche perché nel corpo di Cristo crocifisso è stato formato l'uomo nuovo, che include in sé Giudei e Gentili[20]. Quale scopo dell'attività redentrice del Signore l'Apostolo indica la creazione di un unico uomo nuovo in Cristo; e menziona la Croce per far comprendere come è nel corpo di Cristo sulla Croce che essa si realizza[21]. Lo sfondo battesimale di tutta la lettera agli Efesini mostra chiaramente che attraverso il battesimo ogni fedele si inserisce in questo processo salvifico.

Subito dopo, l'uomo nuovo creato in Cristo è presentato con il ricorso ad un'altra immagine, quella della costruzione, che ha come pietra angolare lo stesso Cristo; in essa i fedeli vengono edificati come tempio di Dio nello Spirito[22]. Occorre prestare attenzione al paragone dell'edificio, perché si trova anche nel testo della promessa del primato a Pietro. Con questa e altre immagini l'Apostolo ci ha fatto vedere in profondità, con tratti forti, diverse dimensioni dell'appartenenza a Cristo in virtù del battesimo.

Cristo e Pietro

Pur consapevoli dei limiti dell'approccio fin qui condotto, abbiamo delineato una risposta all'interrogativo: in quale rapporto con Cristo si trova il cristiano? Ma la domanda iniziale riguardava il rapporto con il Papa. La soluzione passa attraverso lo studio del rapporto tra Cristo e Pietro.

E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa[23]. L'autenticità di queste parole del Signore, assieme al versetto precedente e al seguente, è solidamente dimostrata non soltanto dalla loro presenza in tutti i codici più antichi di questo vangelo —il che sarebbe più che sufficiente—, ma anche dal loro evidente carattere semitico, confermato dai recenti studi comparativi con il vocabolario del Qumrân[24].

Il dialogo del Signore con Simon Pietro è così carico di riferimenti alla persona stessa dell'Apostolo da escludere qualunque interpretazione che trasferisca il senso della roccia[25] alla sola confessione di fede messianica o a Pietro come rappresentante di tutti i credenti[26]. Come'è noto, la metafora della roccia riferita a Dio è frequente nell'Antico Testamento[27]. Cristo applica quest'immagine a Pietro e dice che su di lui edificherà la sua Chiesa, assegnandogli una funzione che è propria di Cristo. Così spiega San Leone Magno: «Tu sei Pietro. Ciò significa che se io sono la pietra inviolabile, la pietra angolare che ha fatto dei due un popolo solo (Ef 2, 20.14) il fondamento che nessuno può sostituire, anche tu sei pietra, perché la mia forza ti rende saldo. Così la mia prerogativa personale è comunicata anche a te per partecipazione»[28].

La Chiesa di Cristo, presentata come una costruzione eretta da Lui stesso, è edificata su Pietro come su una roccia. Cristo ha edificato la Chiesa non soltanto istituendo i mezzi di salvezza e le strutture organizzative, ma anche e principalmente creando nel suo corpo sulla Croce l'uomo nuovo, il nuovo popolo di Dio erede delle promesse[29]. Quest'ultimo aspetto è maggiormente evidenziato nella prima lettera di San Pietro, sempre con l'immagine della costruzione: Stringendovi a lui [Cristo], pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo (...). Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato[30]. San Pietro applica ai battezzati i più alti titoli di nobiltà del popolo dell'antica alleanza. Essi adesso costituiscono il nuovo popolo messianico edificato da Cristo come tempio e sacerdozio santo, popolo che Dio si è acquistato. Come leggiamo in At 20, 28, è stata un'acquisizione con il suo sangue, cioè per mezzo del sacrificio redentore della Croce[31].

La Chiesa è di Cristo, perché è stata acquistata con il suo sacrificio redentore, perché l'ha edificata nel suo corpo sulla Croce. Perciò, quando Cristo dice: "la mia Chiesa", nell'aggettivo mia vibrano la forza e la drammaticità del Golgota. Aggiungere poi su questa pietra edificherò la mia Chiesa significa associare Pietro in modo singolare all'opera mirabile che avrebbe realizzato sulla Croce. In questo senso appare assai esatta e indovinata l'espressione "Cristo in terra", con la quale Santa Caterina da Siena amava designare il Papa[32].

Un testo classico sul ministero petrino è costituito dal dialogo riportato da Gv 21, 15-17: Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami più di costoro?» Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi ami?» Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti amo». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi ami?» Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle». Qui Pietro non rappresenta né tutti i discepoli né il gruppo più ristretto degli Apostoli, anche se a tutti noi viene chiesta una risposta di amore e tutti gli Apostoli avranno poi parte nella missione di pascere i fedeli. Questo dialogo interessa Pietro in modo del tutto personale: viene evocata, pur senza nominarla, la triplice negazione nella casa del Sommo Sacerdote, e ciò che chiede Gesù a Pietro è una risposta che corregga fino in fondo quelle negazioni.

Alla risposta di amore di Pietro il Signore corrisponde affidandogli i suoi agnelli, le sue pecorelle. Questo linguaggio era ben comprensibile alla luce di quanto Egli aveva detto di se stesso quale buon pastore: Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore[33]. Nel servirsi dell'immagine del buon pastore, non fa altro che attribuire a se stesso, come avverata, la profezia di Jahweh pastore del suo popolo e, con lui, del suo servo Davide[34]. Vi aggiunge, però, un elemento non esplicitato dalla profezia di Ezechiele: la donazione della sua vita in favore delle sue pecore. Inoltre il gregge iniziale sarà completato con altre pecore attualmente non appartenenti ad esso: E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore[35]. Il riferimento ai Gentili è chiaro, ma va sottolineato che l'ampliamento del gregge è posto in rapporto col sacrificio della propria vita da parte di Gesù, come viene indicato sia nel versetto precedente che in quello seguente[36].

Ebbene, come Gesù disse a Pietro che su di lui avrebbe edificato la sua Chiesa, e ciò avvenne sulla Croce, in modo simile adesso gli affida le sue pecore, ossia il gregge riunito col suo sacrificio. Pietro ha dato una triplice risposta di amore personale e Gesù Cristo corrisponde in maniera altrettanto personale: ciò che gli è costato addirittura la sua vita sul Golgota, proprio questo affida adesso a Pietro. Dunque, chi è Pietro per i membri del gregge a lui affidato? Di nuovo l'espressione cateriniana "Cristo in terra" ci sembra la risposta più esatta.

Pietro è presente nei suoi successori

Pietro non è soltanto il primo elemento di una catena storica di Vescovi sulla Sede Romana; egli coesiste con i suoi successori[37]. Quando nel Concilio di Efeso del 431 il legato papale proclamò che l'Apostolo Pietro «vive e giudica finora e per sempre nei suoi successori» e che il Papa Celestino «gli succede e ne tiene il luogo (= ne è vicario = topotêrêtês)»[38], esprimeva con sintetica chiarezza il senso della fede della Chiesa[39].

Il Papa, Vescovo di Roma, indipendentemente dal nome e dalla persona è sempre "Cristo in terra", perché in lui permane il ministero petrino, quel ministero che con accenti così personali Gesù Cristo affidò al Principe degli Apostoli. Su di lui il Signore ha edificato la sua Chiesa e questo fondamento non viene mai sostituito e tanto meno soppresso. Lo spiegava il Papa San Leone Magno, verso la metà del secolo V, in uno dei suoi celebri sermoni: «Pietro perseverando nell'ottenuta solidità della roccia, non abbandona il timone della Chiesa che gli è stato affidato (...) Pietro ora continua con maggiore intensità ed efficacia la missione che gli venne affidata e assolve tutti i compiti che gli furono assegnati (...) Se, pertanto, noi facciamo bene qualche cosa e la giudichiamo rettamente, se qualche cosa otteniamo dalla misericordia di Dio nelle nostre preghiere quotidiane, tutto ciò lo dobbiamo attribuire all'opera e ai meriti di colui del quale in questa Sede, che è sempre la sua, è presente il sacro potere, e del quale vive l'autorità»[40].

Il fedele cristiano per la sua appartenenza a Cristo, instaurata per mezzo del battesimo, si trova in un rapporto speciale con Pietro; con Pietro quaggiù, nella visibilità propria della Chiesa pellegrina, perché l'essere "Cristo in terra", nel modo caratteristico e proprio che corrisponde al Principe degli Apostoli, non viene mai meno, malgrado il suo martirio e, pertanto, la sua scomparsa fisica. Ciò avviene perché nei Romani Pontefici permane il ministero petrino: essi continuano ad essere Pietro e, quindi, "Cristo in terra".

Pietro nella vita quotidiana del cristiano

Le considerazioni precedenti ci hanno aiutato a capire meglio perché Pietro —dire il Papa e dire Pietro è in pratica lo stesso— occupi un posto così elevato nella gerarchia dell'amore. Un posto così vicino a Cristo, preceduto solo da quello della Madonna, trova la sua ragion d'essere nella peculiare relazione vicaria di Pietro rispetto a Cristo. Ora, così come l'essere in Cristo, che costituisce l'essenza della vita cristiana, trova espressioni molteplici nella quotidianità della nostra esistenza, analogamente il nostro rapporto con il "Cristo in terra" richiede di essere tradotto in atti concreti altrettanto quotidiani.

Più di qualunque pur ben ragionata argomentazione, sarà forse utile ricorrere all'esempio di vita vissuta del Venerabile Servo di Dio Josemaría Escrivá. Sacerdote ancora giovane aveva acquistato l'abitudine di dire tutti i giorni il rosario per la persona e le intenzioni del Romano Pontefice. Immaginava di trovarglisi accanto quando il Papa celebrava la Messa, e alla fine diceva una comunione spirituale col desiderio di ricevere il Santissimo Sacramento dalle sue mani[41]. Questa tangibile prova di fede ci fa capire che il suo motto «Omnes cum Petro ad Iesum per Mariam! — tutti, ben uniti al Papa, andiamo a Gesù, per mezzo di Maria»[42] non era una mera frase ben riuscita, ma esprimeva un reale anelito del suo cuore.

L'unione con Cristo, cercata con impegno nella propria esistenza, non può, non deve restare al margine del "Cristo in terra". Per molti versi, quale successore di Pietro, il suo rapporto con Gesù è talmente singolare da non poter essere condiviso con nessun altro; ma è altrettanto vero che ogni generazione di cristiani è chiamata a riprodurre l'atteggiamento orante della prima comunità di Gerusalemme: una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui [Pietro][43]. La supplica può salire incessantemente a Dio, perché oltre ai momenti di preghiera —sia comunitaria, come nella liturgia della Messa, sia individuale— tutte le attività umane, se svolte con rettitudine e offerte a Dio, si uniscono all'inno ininterrotto di lode e ringraziamento, di espiazione e di supplica che dal Golgota si innalza al Padre celeste[44].

L'edificio della Chiesa, costruito su Pietro, può essere così gravoso da sovrastare qualunque forza umana, ma nello stesso tempo la preghiera ininterrotta di tutta la Chiesa possiede una forza capace di sollevare qualsiasi carico, anche pesantissimo. Se poi la preghiera si incarna e, per così dire, si materializza nel sacrificio, allora viene ancor più arricchita dalla potenza della Croce. E' questa la convinzione che esprimono le parole di Giovanni Paolo II, nella sua meditazione sulla sofferenza: «La Chiesa vede in tutti i fratelli e sorelle di Cristo sofferenti quasi un soggetto molteplice della sua forza soprannaturale. Quanto spesso proprio ad essi ricorrono i pastori della Chiesa, e proprio presso di essi cercano aiuto ed appoggio!»[45]. In quest'allusione ai pastori, discretamente velata dall'uso del plurale, traspare la fiducia del Papa, confermata dall'esperienza personale, nel sostegno offertogli dalla fedeltà nel dolore di innumerevoli cristiani, anonimi per gli uomini, ma le cui preghiere, ben note a Dio, salgono a Lui come incenso di soavissimo odore[46].

L'unione affettiva ed effettiva con il Papa fa sì che la preghiera sia accompagnata dell'obbedienza. «Pensate, cari fratelli e sorelle, figlie e figli miei, che questa tremenda eredità, che Gesù ha lasciato al Papa, di pascere tutto il gregge, anche quello disperso e chi non Lo riconosce come Pastore, può essere alleggerita, sostenuta e perfino condivisa dall'obbedienza e docilità di noi che abbiamo il vanto, la fierezza e la fortuna di chiamarci cattolici»[47].

Accogliere sinceramente gli insegnamenti e le disposizioni del successore di Pietro è espressione piena e veritiera del desiderio di unione con Cristo, di accettazione della sua parola. Ciò non potrà che incidere nella condotta personale e diventare, attraverso l'esempio e la parola chiarificatrice, apostolato efficacissimo, che contribuisce efficacemente all'unità della Chiesa, poiché rende più salda la comunione dei fedeli con il Capo visibile della Chiesa. Qualora poi fosse necessario rettificare criteri di azione e opinioni anche radicate, tale fedeltà, che non di rado verrà a trovarsi in contrasto con mode di pensiero e valori generalizzati, sarà la dimostrazione reale che si poggia sul fondamento di roccia della Chiesa; e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa[48].

ANTONIO MIRALLES

Ordinario di Teologia Dogmatica

nell'Ateneo Romano della Santa Croce.

[1] Josemaría Escrivá, Forgia, Ares, Milano 1989, 2ª ed. it., n. 135.

[2] Cfr. Ef 5, 1-2.

[3] Rm 5, 5.

[4] Cost. dogm. Lumen gentium, 27a.

[5] Decr. Presbyterorum Ordinis, 2c.

[6] Cost. dogm. Lumen gentium, 21a.

[7] At 2, 37-38.

[8] Cfr. C. Spicq, Théologie Morale du Nouveau Testament, I, Gabalda, Paris 1965, p. 69.

[9] Vedi l'ammonizione di Anania a Saulo: Alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il suo nome (At 22, 16).

[10] Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo è risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione (Rm 6, 4-5).Con lui [Cristo] infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui siete anche stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti (Col 2, 12).

[11] Vivremo con lui (Rm 6, 8); viventi per Dio, in Cristo Gesù (Rm 6, 11).

[12] Gal 3, 27.

[13] Rivèstiti di forza (Is 51, 9). Il Signore regna, si ammanta di splendore; il Signore si riveste, si cinge di forza (Sal 92, 1). Sia coperto di vergogna e d'ignominia chi mi insulta (Sal 34, 26). Mi ero rivestito di giustizia come di un vestimento (Gb 29, 14).

[14] Cfr. F. Messner, La lettera ai Galati, («Commentario teologico del Nuovo Testamento», IX), Paideia, Brescia 1987, pp. 408-409.

[15] Cfr. Gal 3, 26-29.

[16] Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito (1 Cor 12, 12-13).

[17] Cfr. H. Schlier, La lettera agli Efesini, («Commentario teologico del Nuovo Testamento», X/2), Paideia, Brescia 1973², pp. 132-134.

[18] Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte (1 Cor 12, 27).

[19] Cfr. Ef 1, 22-23; 4, 15-16; 5, 23; Col 1, 18; 2, 19.

[20] Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo (...) per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia (Ef 2, 14-16).

[21] Cfr. Schlier, o. c., pp. 207-209.

[22] Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito (Ef 2, 19-22).

[23] Mt 16, 18.

[24] Cfr. J.—M. Casciaro Ramírez, Qumrân y el Nuevo Testamento (Aspectos eclesiológicos y soteriológicos), EUNSA, Pamplona 1982, pp. 64-66, 70-73, 135-139.

[25] Su questa pietra (pétra) edificherò la mia Chiesa. Pétra è il fondamento naturale sul quale si appoggia quello artificiale (themélion); la distinzione tra queste due fondamenta appare chiara nella parabola dell'uomo saggio che costruì la sua casa sulla roccia: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta (themélion) sopra la roccia (epì tên pétran) (Lc 6, 48).

[26] L'interpretazione di questo passo come promessa fatta a Pietro del primato di giurisdizione su tutta la Chiesa è stata solennemente definita dal Concilio Vaticano I, Cost. dogm. Pastor Aeternus, 18-7-1870, cap. 1 (DS 3053-3054).

[27] Cfr. Sal 30, 4; 2 Sam 23, 3; Is 17, 10.

[28] Tractatus IV in Natale eiusdem, 2: CCL 138, p. 19.

[29] E' ciò che abbiamo visto sopra seguendo i testi di Ef 2, 16.19-22.

[30] 1 Pt 2, 4-5.9.

[31] Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue (At 20, 28).

[32] «Voi sapete bene, che Cristo lasciò il vicario suo, e questo lasciò per rimedio dell'anime nostre; perché in altro non possiamo avere salute, che nel corpo mistico della santa Chiesa, il cui capo è Cristo, e noi siamo le membra. E chi sarà inobediente a Cristo in terra, il quale è in vece di Cristo in cielo, non partecipa il frutto del Figliuolo di Dio» (Santa Caterina da Siena, Le lettere, III, a cura di P. Misciatelli, C/E Giunti — G. Barbèra, Firenze 1970, pp. 207-208).

[33] Gv 10, 11.

[34] Perché dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura (...) Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia (...). Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore; io, il Signore, sarò il loro Dio e Davide mio servo sarà principe in mezzo a loro: io, il Signore, ho parlato (Ez 34, 11.16.23-24).

[35] Gv 10, 16.

[36] Offro la vita per le pecore (v. 15). Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo (v. 17).

[37] Cfr. M. Guerra, Los nombres del Papa. Estudio filológico-teológico de varios nombres del Papa en los primeros siglos del cristianismo, («Teología del sacerdocio», 15), Aldecoa, Burgos 1982, pp. 484-488.

[38] Acta Conciliorum Oecumenicorum, t. I: Concilium Universale Ephesenum, vol. I: Acta Graeca, pars III: Collectio Vaticana, ed. E. Schwartz, Walter de Gruyter, Berolini-Lipsiae 1927, p. 60, righe 32-34.

[39] Una parte di queste parole del legato papale, il presbitero Filippo, sono state riprese dal Concilio Vaticano I, Const. dogm. Pastor aeternus de Ecclesia Christi, cap. 2: DS 3056.

[40] Tractatus III in Natale eiusdem, 3: CCL 138, p. 12-13.

[41] «Durante años, por la calle, todos los días, he rezado una parte del Rosario por la Augusta Persona y por las intenciones del Romano Pontífice. Me ponía con la imaginación junto al Santo Padre, cuando el Papa celebraba la Misa; yo no sabía, ni sé, cómo es la capilla del Papa, y, al terminar mi rosario, hacía una comunión espiritual, deseando recibir de sus manos a Jesús sacramentado» (Carta, 9-I-1932, n. 20: citato da Ana Sastre, Tiempo de Caminar. Semblanza de Monseñor Josemaría Escrivá de Balaguer, Rialp, Madrid 1989, pp. 331-332).

[42] Josemaría Escrivá, Forgia, cit., n. 647.

[43] At 12, 5.

[44] «Tutte le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesù Cristo (cfr. 1 Pt 2, 5); e queste cose nella celebrazione dell'Eucaristia sono piissimamente offerte al Padre insieme all'oblazione del Corpo del Signore» (Concilio Vaticano II, Const. dogm. Lumen gentium, 34b).

[45] Giovanni Paolo II, Lett. apost. Salvifici doloris, 11-2-1984, n. 27: Enchiridion Vaticanum, 9, Dehoniane, Bologna 1987, n. 675).

[46] Cfr. Ap 8, 3-4.

[47] Alvaro del Portillo, Omelia 27 giugno 1988: Romana 4 (1988), p. 108.

[48] Mt 16, 18.

Romana, n. 10, Gennaio-Giugno 1990, p. 143-150.

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